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The Vvitch di Robert Eggers è stato uno di quegli esordi che lasciano presagire la nascita di una stella: assieme a pochi altri, tra cui Ari Aster e Jordan Peele, Eggers è riuscito a dare un nuovo lustro al mondo dell'horror americano, emergendo dal buco nero di jumpscare e banalità in cui pareva il genere fosse stato inesorabilmente risucchiato.
Non ci resta che attendere trepidanti l'uscita italiana di The Lighthouse, di cui potete trovare una recensione dal Festival di Cannes.
New England, 1630: il contesto è la materia del film stesso.
Robert Eggers ha trascorso quattro anni a documentarsi affinché il suo esordio fosse più accurato possibile, l'illuminazione naturale e i costumi cuciti a mano restituiscono all'opera un'aura autentica, priva di contraffazione e artificiosità.
Ormai è ben noto che la lingua che parliamo influenza l'architettura del nostro pensiero e dunque la composizione della società intera: in The Vvitch gli attori parlano un inglese arcaico, ostico nella sintassi e nelle locuzioni, è la lingua da cui prendono forma le prime comunità americane.
Folklore e religione si intersecano su più strati ma è negli interstizi che li separano a giacere la paura del Male, inevitabile a causa del peccato originale da cui l'umanità non potrà mai redimersi.
Per quanto la trama di The Vvitch possa considerarsi piuttosto lineare - A New-England Folktale infatti è il sottotitolo proprio a sottolineare quanto la storia segua uno schema tradizionale - lo spessore dell'opera è fornita dagli stessi protagonisti e dal concetto stesso di fanatismo.
La crescente paranoia di una famiglia inglese puritana impiantata sul suolo americano, freddo e indifferente, nelle foreste senza fine che non offre le dolci mele della patria natia, il fallimento del pater familias nell'adempiere al ruolo di guida impostogli da Dio, la curiosità infantile e adolescenziale verso l'ignoto e verso se stessi, sono tutti elementi che si sovrappongono al paranormale.
L'orrore dunque si pone a mezz'aria, tra il fanatismo religioso e l'entità fisica del Diavolo.
Come è ben noto le fiabe spesso sono l'espressione di un sistema di valori determinati dal contesto sociale di riferimento e dall'inconscio collettivo, imbellettati in modo tale da poter essere facilmente assimilati dai bambini.
Gli elementi fantasy e i personaggi stereotipati fungono da mezzo per dare una forma concreta a concetti perlopiù impalpabili.
Il simbolo più immediato in The Vvitch è sicuramente quello di Black Phillip, un caprone nero.
L'animale, rispetto agli altri che vediamo nella stessa politica, diventa una figura preponderante, idealizzato come un personaggio vero e proprio. Viene accusato di essere una delle cause di tutti i mali.
Possiamo affermare che Black Phillip assume letteralmente i connotati del capro espiatorio.
Nella Bibbia ebraica durante il Kippur, il giorno dell'espiazione, il popolo conduceva al tempio due caproni e tra questi il Sommo Sacerdote sceglieva quale sacrificare a Dio e quale destinare ad Azael, il Demone del deserto.
Il primo veniva subito ucciso, mentre il secondo veniva lasciato nel deserto carico dei peccati di tutta la comunità.
Metaforicamente dunque per capro espiatorio si intende una persona, o un gruppo di persone, a cui è attribuita ingiustamente una colpa collettiva in modo tale da celare i reali colpevoli e le reali motivazioni.
Lo sono state le donne durante i periodi più repressivi del cristianesimo; quanto più una donna si distaccava da un modello surreale e irraggiungibile di purezza quanto più veniva identificata con il Male, la tentazione sessuale che allontanava l'uomo dalla sua retta via.
Si può dunque fare un'analogia tra Black Phillip e Thomasin (Anya Taylor-Joy), la figlia maggiore nel fiore dell'adolescenza, entrambi vittime del pregiudizio.
Facciamo un passo indietro parlando della simbologia della capra.
La capra è stata una delle forme di Dioniso, la divinità greca dell'ebrezza.
In verità si tratta di una divinità molto sfaccettata e una delle più interessanti della mitologia ellenica.
Per quanto l'origine del dio non sia ancora chiara, l'ipotesi più accreditata è la seguente: nato da una delle tante relazioni extraconiugali di Zeus il dio ha vissuto una vita intera a scappare dall'ira vendicatrice di Era.
Per questa ragione Dioniso è sempre vissuto ai margini della società, rappresentato come una figura ambigua, in cui mascolinità e femminilità spesso si confondevano.
Dioniso perciò era il dio degli emarginati, della potenza dell'istinto, della natura tanto rigogliosa quanto distruttiva.
I Baccanali a lui dedicati erano un momento importante per le donne, in cui queste si liberavano dalle catene imposte dalla società.
Anche la divinità non olimpica Pan è strettamente associata alla capra: il dio pastore era infatti un satiro metà uomo e metà capra, talmente brutto che persino sua madre, la ninfa Driope, rifiutò di prendersene cura.
Come Dioniso è un dio dalla forte connotazione sessuale, infatti amava sia uomini che donne e, in caso di rifiuto, si abbandonava all'onanismo.
Pan è anche il simbolo della sessualità senza fini procreativi.
[Pan e Capra - Museo Archeologico Nazionale di Napoli]
Le allegorie del demonio, da Dante in poi, si sono ispirate molteplici volte all'aspetto di Pan.
Il cristianesimo, una volta annientato il politeismo, cercò in tutti i modi di eliminare ogni traccia residua dei trasgressivi culti, demonizzando ogni precedente usanza.
Le ninfe e i satiri che si abbandonavano in svaghi lussuriosi nelle foreste vennero bollati come streghe e stregoni in sabba infernali.
[Il sabba delle streghe, Francisco Goya (1821-1823), Museo del Prado, Madrid]
Saltando in avanti di parecchi secoli atterriamo nelle runioni segrete dei templari, dove i cavalieri vennero accusati di adorare l'idolo pagano Bafometto.
Fu una delle ragioni per cui durante la soppressione dell'Ordine la Santa Inquisizione accusò i templari di eresia.
Bafometto era rappresentato con testa di caprone e un corpo androgino, ancora una volta riesumando quell'ideale pagano per cui la vicinanza alla perfezione non si otteneva tramite una divisione netta tra gli opposti ma nella loro complementarietà.
Altri animali compaiono in The Vvitch e la loro presenza è sempre nefasta, o almeno così appare allo spettatore.
Gli animali sono, per antonomasia, il simbolo dell'istintualità, una forza indomabile che non può essere incasellata nei dogmi della religione e per questo bollata come negativa.
D'altra parte non possiamo dire se corvi e conigli siano davvero emissari del diavolo o se la messinscena rispecchi la suggestione e la paranoia della famigliola puritana.
Allo stesso modo, per quanto vediamo esplicitamente l'azione del Male, è piuttosto probabile che la verosimiglianza della rappresentazione sia un eccellente escamotage per descrivere un mondo irrazionale.
Attenzione, però: irrazionale non vuol dire necessariamente irreale.
Le streghe e i caproni parlanti sicuramente sono elementi fantastici, ma è altrettanto vero che la convinzione della loro esistenza ha contribuito realisticamente alla costruzione del mondo occidentale così come lo conosciamo, in particolare quello dell'asse anglo-americano.
In questo senso credenze e folklore hanno avuto un impatto assolutamente concreto.
Nel mondo dimenticato dalle agiografie, lontanissimi dalle contese di guerrieri e eroi, le suggestioni e le credenze religiose di derelitti e invasati hanno posto le fondamenta nella costruzione di una società talmente impaurita dalla decostituzione dell'ordine costituito da demonizzare chiunque se ne discosti.
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