"A picture with a smile - and, pheraps, a tear."
È così che Charlie Chaplin introduce al suo primo lungometraggio, trattando una storia tanto ingenua quanto coinvolgente.
"A picture with a smile - and, pheraps, a tear."
È così che Charlie Chaplin introduce al suo primo lungometraggio, trattando una storia tanto ingenua quanto coinvolgente.
Innanzitutto, per esaminare il valore e l’importanza di quest’opera bisognerebbe calarla nel contesto storico in cui nasce: siamo nel 1919, Chaplin si ritrova alle spalle una carriera già ricca di cortometraggi ed una fama senza pari, per merito dell’amatissimo personaggio del vagabondo Charlot, da lui stesso creato. In questo periodo Charlie dà una svolta alla sua vita ed esce da una situazione difficile, dando vita ad un’opera che, dopo più di un anno di riprese, si dimostra essere della durata superiore ai 60 minuti.
E probabilmente questa pellicola si mostra così trascinante proprio a causa della dedizione che Chaplin mette nel corso di tutto il periodo di produzione.
I temi dell’abbandono e del legame delle famiglie improvvisate costituiscono la base su cui si incentra tutta la narrazione. Il primo, presente già dalle prime scene del film, rispecchia in parte anche l’inquietudine di Chaplin, perché l’empatia che si tende a creare nei confronti di una madre (rea di aver abbandonato il proprio figlio) vuole rappresentare, per il regista, una sorta di redenzione nei confronti della memoria di sua madre stessa (che non vede da quando ha abbandonato l’Inghilterra).
Ma a mio parere è la forza del legame tra padre e figlio adottivo che giustifica il successo della pellicola: Chaplin rischia di non trattare adeguatamente i temi, con la sua decisione di mescolare commedia e dramma, ed invece dà vita ad un suo personale stile, trovando il giusto equilibrio tra gag divertenti e momenti tragici. Probabilmente il merito è dato anche dal coinvolgimento che l’attore/regista/montatore (e chi più ne ha più ne metta) ha avuto nella stesura della sceneggiatura ed al rapporto che ha instaurato con il piccolo Jackie Coogan.
Il cast vanta personaggi molto vicini alla vita dell’attore “tuttofare”: tra nomi noti ed emergenti, l’attenzione è da focalizzare su 3 elementi.
Primo fra tutti il già citato Coogan, che involontariamente diede vita all’opera, fornendo a Chaplin l’ispirazione per il soggetto del film, in seguito ad un’esibizione nel vaudeville (pseudo-commedia con parti cantate e ballate) da parte del giovane bambino. Le capacità espressive di Jackie rendono il film ancora più autentico, arrivando addirittura a spezzare il cuore nelle scene più drammatiche.
Edna Purviance è la protagonista dell’opera, la donna che si ritrova ad accudire un figlio che non è in grado di mantenere, e che si trova dunque costretta ad una scelta tragica. L’attrice era una vecchia fiamma di Charlie e nel periodo di produzione inizia a bere, fattore che porterà Chaplin a prendere le distanze per gli anni a seguire.
Lita Grey, una tra le più giovani attrici presenti nell’opera, sarà invece la futura seconda moglie di Chaplin. È stato curioso scoprire che in fase di riprese la donna aveva appena 12 anni, e che con il trucco fu resa dalle apparenze una ragazza più matura, a tal punto da sembrare “un angelo tentatore”.
A rendere questo film un capolavoro è stata anche la scelta, azzeccatissima, della colonna sonora di accompagnamento: nei tempi del cinema muto, ancor più di adesso, le musiche dovevano svolgere un ruolo fondamentale e contribuire a dare pathos alla scena; qui si alternano brani dolci a pezzi tragici, rispecchiando il carattere tragi-comico dell’opera e dando una maggiore armonia ad un film che mostra, a tutti gli effetti, quanto il cinema sia anche arte.
E se le musiche sono così riuscite nella pellicola, il merito è di Chaplin stesso, che durante la riedizione del 1971 si occupò personalmente di comporre la colonna sonora (oltre che tagliare delle scene da lui ritenute troppo “melodrammatiche”, accorciando la durata del film a 52 minuti).
(Piccolo Cinefact: ero curioso di sapere se fosse presente una musica di accompagnamento nella versione originale del 1921, ed effettivamente durante la proiezione, nonostante non esistessero ancora i brani composti da Chaplin, era presente un’orchestra che riproduceva dal vivo dei brani scelti dal regista stesso, alternando musica classica e contemporanea.)
In conclusione “The Kid” è un film che si porta egregiamente alle spalle il suo secolo di vita. Una pellicola che ha permesso di associare il termine “cinema” a quello di “arte”. Un’opera divertente, ed al contempo profonda, che insegna come strappare un sorriso anche dal dramma, dimostrando che le difficoltà si superano. E dietro l’umorismo del film nasce dunque una riflessione, una constatazione da parte di Chaplin su quanto la vita possa essere crudele ed ostile verso chiunque, anche nei confronti di una creatura vulnerabile come un bambino.
Non posso che consigliare questo film a chi vuole cimentarsi nella conoscenza del cinema muto, ma anche a coloro che vorrebbero vedere l’evoluzione e la storia che ha portato il cinema ad essere quello che è oggi.
Contiene spoiler