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Data inizio produzione: 18/06/2018
Data fine produzione: 01/11/2018
Once upon a time... in Hollywood
Prima uscita: 21/05/2018 - Festival del Cinema di Cannes (FRA)
Distribuzione italiana: 18/09/2019
Sceneggiatura: Quentin Tarantino
Fotografia: Robert Richardson
Montaggio: Fred Raskin
Lingua: inglese
Colore e B/N
35mm, 16mm, 8mm
Aspect ratio: 2.39:1, 1.85:1, 1.33:1
Camere: Aaton A-Minima, Arriflex 435, Bolex, Panavision Panaflex Millennium XL2
Ottiche: Panavision Primo, Panavision C, S, T Series, Panavision Ultra Speed Golden, Panavision Normal Speed MKII, Panavision Ultra Speed MKII, Cooke Varotal, Angenieux
Budget: 90.000.000 $
Box Office Mondiale: in sala
#cinefacts
79%
#pubblico
82%
#film
Drammatico, Commedia
Maya Hawke, Austin Butler, Margot Robbie, Sydney Sweeney, Leonardo DiCaprio, Brad Pitt, Margot Robbie
Specifiche tecniche
0%
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Los Angeles, 1969: una stella televisiva in declino e il suo stuntman provano ad avere successo nel mondo del cinema, nel momento in cui l'epoca d'oro di Hollywood sta per sbiadire.
c'era una volta a hollywood
Quentin Tarantino
brad pitt
leonardo dicaprio
margot robbie
al pacino
timothy oliphant
james marsden
michael madsen
tim roth
Emile Hirsch
Dakota Fanning
bruce dern
mike moh
Margaret Qualley
Drammatico
commedia
cinema nel cinema
C'era una volta a... Hollywood è senza ombra di dubbio uno dei film più attesi, più chiacchierati e più anticipati degli ultimi anni: quando sul campo di gioco entra Quentin Tarantino le masse...
C'era una volta a... Hollywood è senza ombra di dubbio uno dei film più attesi, più chiacchierati e più anticipati degli ultimi anni: quando sul campo di gioco entra Quentin Tarantino le masse impazziscono, il web esplode e se in più il cast è quello della Champions League hollywoodiana si può immaginare a che livello siderale viaggino le aspettative.
Aspettative che spesso, nella vita come al cinema, uccidono il momento in cui poi ci si gusta quello che tanto si attendeva, e nella filmografia del regista di Knoxville C'era una volta a... Hollywood è a mio avviso l'opera meno tarantiniana e allo stesso tempo quella che più ne racchiude le manie, i feticci e gli amori.
Il film è costruito come un gigantesco ritratto di un'epoca che non c'è più: l'epoca in cui Hollywood stava riscoprendo una nuova identità, sballottata tra la fine del grande star system e l'inizio di quella che sarebbe stata poi denominata New Hollywood.
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La Los Angeles del 1969 che si vede in C'era una volta a... Hollywood è in pieno periodo Flower Power: le illusioni di un mondo felice sbattono la faccia contro l'orrore della Guerra del Vietnam, il movimento hippy fa proseliti ovunque e la protesta che si gonfia nelle strade si riversa anche nel Cinema, ammazzando i vecchi miti con la voglia di qualcosa di nuovo.
Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) è esattamente questo: un vecchio mito.
Protagonista di una serie western di successo si ritrova a fare i conti con il tempo che passa e con il fatto che non ha più ruoli da protagonista positivo che creino empatia con il pubblico, ma al contrario viene utilizzato come vecchia gloria da far prendere a pugni dal nuovo eroe di turno.
Accanto a lui c'è la sua controfigura e ormai amico fraterno Cliff Booth (Brad Pitt), che gli fa anche da autista e da balia.
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In C'era una volta a... Hollywood questi due personaggi sono soltanto dei vascelli che servono a Quentin Tarantino per trasportare lo spettatore all'interno di quel mondo e di quell'epoca, grazie a uno straordinario lavoro del reparto scenografia che ha riportato Los Angeles indietro nel tempo di mezzo secolo, grazie ai costumi, alle musiche e alla pellicola in 35mm, 16mm e addirittura 8mm utilizzata dal direttore della fotografia Robert Richardson per replicare quel tipo di pastosità d'immagine che oggi il digitale non riesce ancora a farci rivivere.
Il viaggio nel tempo e nel Cinema è accentuato da continui passaggi tra colore e bianco e nero e da un aspect ratio mai domo, che passa dal classico 2.39:1 fino al televisivo 1.33:1, facendo vivere il grande schermo di vita propria.
C'era una volta a... Hollywood è confezionato alla perfezione: da ogni inquadratura trasuda la passione del regista nei confronti di quell'epoca e del Cinema di quegli anni, e come spettatori assistiamo ad una vera dichiarazione d'amore che si traduce in lunghissimi quadri dedicati ai paesaggi, o al percorso in macchina da un luogo all'altro.
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E non solo il Cinema in quanto tale viene travolto dall'affetto tarantiniano, perché anche la televisione di quel momento, anche gli stessi mestieranti della televisione e del Cinema ricevono lo stesso abbraccio: con uno dei protagonisti che nella vita fa lo stuntman viene palesato l'amore nei confronti di chi il Cinema lo faceva davvero sporcandosi le mani e spaccandosi le ossa.
Tutto questo amore però va secondo me a inficiare il racconto, il cosiddetto storytelling.
Da sempre penso che Quentin Tarantino sia un grandissimo sceneggiatore di personaggi e un grande regista di attori: capace di dare vita a volti e maschere che, nonostante si vedano per un minutaggio risibile nel film, non vengono mai dimenticati.
I suoi personaggi sono solitamente il motore delle sue storie: ciò che a loro succede e come loro reagiscono ci spinge a volerne conoscere i destini, e la loro umanità a volte fin troppo terrena dà spesso luogo a monologhi irresistibili, battute memorabili e situazioni che rimangono impresse.
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In C'era una volta a... Hollywood tutto ciò viene meno perché Tarantino sceglie di illustrarci un mondo, piuttosto che raccontarci una storia.
Di conseguenza i suoi protagonisti sono quasi impalpabili e il loro destino mi ha appassionato meno del previsto durante la visione del film.
Le performance dei due attori principali sono però lo stesso clamorose: a mio avviso tra i due spicca di più Brad Pitt, grazie a un personaggio più rotondo, interessante e crepuscolare, con un passato orribile e un atteggiamento strafottente che conquista e che dà modo all'attore di sfoggiare le sue capacità, grazie anche a una delle scene più riuscite dell'intero film, girata come se fosse un western pur non essendolo.
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Leonardo DiCaprio inanella un'altra prova straordinaria, chiamato qui ad interpretare il ruolo di un attore vanesio, che si rende conto essere vicino alla fine dei suoi giorni di gloria ma che si rende poco conto di cosa gli succeda intorno, impegnato com'è su se stesso e il proprio ego, un po' sciocco e per questo anche molto tenero.
Los Angeles nell'estate del 1969 significa necessariamente anche Cielo Drive, Sharon Tate e Manson Family, e chiunque abbia sentito parlare della sinossi di C'era una volta a... Hollywood si è chiesto cosa e in che modo Tarantino avrebbe scelto di raccontare in merito, scegliendo Margot Robbie come Tate e inserendo nel cast dei personaggi del film anche Roman Polanski, Charles Manson e Jay Sebring, il parrucchiere presente tra le vittime della strage.
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Oltre a presentarci una Sharon Tate eterea e dolcissima nel suo infantile entusiasmo quando si guarda al cinema, C'era una volta a... Hollywood tiene fede al proprio titolo anche e soprattutto per quel che riguarda quel tragico momento, ma di questo si può parlare solo svelando una parte importante della trama e quindi lo farò solo dopo l'avviso 'Spoiler' che trovate poco più sotto.
Si può però tranquillamente dire che la scelta del titolo del film sia per Tarantino più una dichiarazione sul contenuto favolistico del film piuttosto che un omaggio al nostro - e al suo - sempre amatissimo Sergio Leone.
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Il regista regala ad ognuno degli interpreti un ruolo importante, anche se piccolo.
Timothy Olyphant, Margaret Qualley, Luke Perry, Nicholas Hammond, Kurt Russell e lo stesso Al Pacino hanno un minutaggio non così pesante nell'economia totale di C'era una volta a... Hollywood - e sono sicuro che vi innamorerete di un personaggio "piccolo" per importanza ed età - eppure su ognuno di loro è stato cucito un abito in grado di farli esprimere come fossero tutti dei co-protagonisti.
Sottolineando una volta di più l'amore del regista/sceneggiatore nei confronti degli attori che chiama a recitare.
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E menzione d'onore per Brandy, il cane: la Palm Dog di Cannes è assolutamente meritatissima.
Il nono film di Tarantino mi è parso quindi un meraviglioso gesto amorevole ricco di particolari gustosi dedicati agli amanti della Settima Arte: davvero qualunque cosa nel film può funzionare come rimando o citazione ma questa volta, a differenza dei film precedenti, le citazioni non sono delle riproposizioni di inquadrature o situazioni viste altrove, quanto piuttosto delle vere e proprie rappresentazioni di ciò che è stato nella realtà.
La cosa non mancherà di entusiasmare parte del pubblico, anche se è probabile che C'era una volta a... Hollywood diventerà il film che più polarizzerà i giudizi nella filmografia di QT.
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Dai cartelloni cinematografici alle automobili, dalle canzoni ai costumi, tutti gli elementi che riempiono C'era una volta a... Hollywood arrivano di peso da quell'epoca.
Anche i personaggi, perché possiamo vedere Steve McQueen (Damian Lewis) ad una festa presso la Playboy Mansion e Bruce Lee (Mike Moh) dietro le quinte di un film - in una scena che personalmente ho trovato un po' oltraggiosa, e ho capito il motivo della polemica nata dalla figlia del campione di arti marziali.
C'è spazio anche per l'Italia e per Sergio Corbucci, in una sequenza fondamentale del film.
È tutto meraviglioso e tutto lascia a bocca aperta... ma.
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L'impegno profuso nel creare questa splendida capsula del tempo ha probabilmente tolto concentrazione al racconto: i primi due atti di C'era una volta a... Hollywood appaiono spesso come un mero 'mostrare' senza sostanza, con addirittura molte inquadrature dedicate esclusivamente a farci vedere una strada, una scritta, un cartellone.
Mi è sembrato come se Quentin Tarantino, una volta scritto e prodotto il film, si fosse ritrovato in sala montaggio e avesse deciso assieme a Fred Raskin - suo fedele montatore dopo la scomparsa della mitica Sally Menke - di non tagliare via assolutamente nulla di quanto avesse girato.
Tanto è l'amore provato dal regista per quei momenti e quei luoghi, da lui solo fantasticati per ovvie ragioni anagrafiche, che ha voluto inserire qualunque cosa nel film, anche quei quadri e quelle scene che a ben guardare non portano il racconto da nessuna parte, ma anzi lo congelano nell'attesa che succeda qualcosa.
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Questa sensazione l'ho provata soprattutto nei primi due atti di C'era una volta a... Hollywood, perché il terzo atto diventa a tutti gli effetti cinematografico: i personaggi si muovono, evolvono, imparano, cambiano, e le cose succedono.
E succedono in maniera forte, decisa, esagerata e parossistica, spostando il film su un binario che fino a quel momento pareva corrergli accanto come una bellissima occasione che qualcuno aveva scelto di non cogliere.
Sia chiaro per coloro che non riescono a leggere tra le righe: il film mi è piaciuto e non poco, si ride molto e ci si emoziona, ci sono alcune sequenze girate in maniera impeccabile, le interpretazioni sono tutte strepitose e tecnicamente questo C'era una volta a... Hollywood è assolutamente ineccepibile, con tanto di alcuni splendidi movimenti di macchina 'nascosti' ai quali Tarantino ci ha ormai abituati, quelli che si mettono al servizio del film e che non si fanno notare come virtuosismi sterili.
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E credo sia evidente che C'era una volta a... Hollywood sia la dimostrazione del fatto che Tarantino abbia ancora tanto da dare al Cinema, e che quelle sue ormai famose dichiarazioni sul fatto di fermarsi dopo 10 film dovrebbero essere rinnegate perché sarebbe un vero peccato non vedere più sul grande schermo opere così pregne di cinefilia e cinematografia.
Ma durante la visione ho sentito la mancanza di una solida spina dorsale, di un racconto che fosse più grande delle immagini da cui ero travolto, di una sceneggiatura che oltre ad omaggiare volesse seriamente dirmi qualcosa.
E quel terzo atto così ispirato mi ha solo fatto notare ancora di più la differenza con ciò che lo precede.
All'inizio ho accennato alle aspettative e forse sono proprio loro che mi hanno tradito: sulla carta, conoscendo il Cinema di Tarantino visto finora, C'era una volta a... Hollywood avrebbe potuto seriamente essere il suo Capolavoro con la C maiuscola, perché ne aveva tutti gli elementi.
Penso invece che probabilmente lui stesso si sia emozionato all'idea di poterlo fare davvero.
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Un po' come quando la donna dei tuoi sogni, quella su cui hai fantasticato una cena che pensavi non sarebbe mai avvenuta, ti chiede improvvisamente di uscire: c'è sicuramente qualcuno in grado di gestire la cosa con scioltezza, ma moltissimi andrebbero nel panico e non saprebbero da dove iniziare.
C'era una volta a... Hollywood mi è parso quindi la splendida donna sempre rincorsa da Quentin Tarantino che finalmente sceglie di concedergli una serata assieme.
Lui si è emozionato troppo e ha voluto a tutti i costi urlare al mondo quanto l'abbia sempre amata, le ha fatto delle foto splendide - soprattutto ai piedi - e ne ha decantato a tutti l'eleganza e il fascino, mostrando loro quanto fosse splendida e simpatica e affascinante.
Ma si è dimenticato di ascoltarla parlare di se stessa.
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SPOILER
SPOILER
SPOILER
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Cercherò di non dilungarmi troppo oltre, ma ci tenevo a dire qualcosa su C'era una volta a... Hollywood senza i freni inibitori dello spoiler.
Innanzitutto credo che la scelta del finale sia una meraviglia: quell'inquadratura dall'alto con la macchina da presa che si allontana mentre compare il titolo del film sullo schermo e in sottofondo sentiamo una dolce musica... è esattamente quello che promette il titolo.
Una favola a lieto fine, dove i cattivi muoiono e i buoni sopravvivono, e dove il nostro eroe trova molto probabilmente un nuovo futuro esattamente come aveva preconizzato durante il film.
La vendetta di Tarantino nei confronti della Manson Family in C'era una volta a... Hollywood è di un'efferatezza incredibile: si percepisce quanto avrebbe voluto che andasse così, con tre morti nel peggiore dei modi e un accanimento pazzesco sui corpi e i volti dei wanna be killer.
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Quando Rick Dalton torna in scena con in mano il lanciafiamme la sala dove mi trovavo è esplosa in una risata liberatoria, perché nonostante Cliff Booth avesse già fatto presagire un cambio di registro grazie all'LSD che cominciava a fare effetto, le scene di violenza sul grande schermo erano davvero quasi insostenibili.
Poco prima del soggiorno italiano del personaggio di DiCaprio C'era una volta a... Hollywood a mio avviso inizia a decollare davvero, ma fino a quel momento - ripeto - mi è sembrato più che un film un affresco amorevole nei confronti della città e del sistema Cinema.
Certo, ci sono scene riuscite benissimo: una su tutte è quella di Cliff Booth che si reca allo Spahn Ranch occupato dai proseliti di Charles Manson.
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Girata come se fosse un vero western, con l'attesa per lo scontro frontale tra le due fazioni - in questo caso uno contro tutti - i momenti di quiete prima di una tempesta che però non arriva e anzi si infrange contro una realtà inaspettata, con un Bruce Dern esilarante nel ruolo del cieco maschilista al quale va benissimo tutto basta che ogni tanto qualcuna gliela dia.
Brad Pitt mette in mostra in quel momento tutto il proprio mestiere, oltre che quel suo fascino assurdo che fa traballare l'eterosessualità di qualunque uomo in sala, e si percepisce che Tarantino volesse metterla in scena esattamente come i registi italiani citati nel film stesso.
Il fatto che Charles Manson sia semplicemente una comparsa mi ha stupito al contrario: era quello che pensavo sarebbe stato prima che uscisse il trailer del film, che invece mi fece rivalutare il mio pensiero.
In realtà direi che ci avevo azzeccato, e l'ho trovata una scelta intelligente.
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Rendere Manson importante in un film che dichiara il proprio amore per quel periodo avrebbe stonato: il Male in C'era una volta a... Hollywood viene prima canzonato, poi preso a pugni in faccia e infine dato in pasto al cane e alle fiamme.
Viene eradicato del tutto e Manson, che era la rappresentazione stessa del Male in quella Los Angeles, compare come se fosse un fantasma, un'entità, qualcosa di impalpabile da dimenticarsi in fretta.
Ci sono personaggi che rimarranno nel nostro immaginario, pur senza avere la potenza espressiva di un Mr Wolf o di una O-Ren Ishii, come ad esempio quello di Julia Butters, la piccola attrice che ad appena 9 anni dimostra di saper stare in scena accanto a un mostro come Leonardo DiCaprio senza il minimo problema, in un ruolo irresistibile che funge allo stesso tempo da omaggio e da critica nei confronti degli attori bambini, professionali e preparati ma forse privati troppo presto del candore che la loro infanzia richiederebbe.
Il gioco di C'era una volta a... Hollywood tra realtà e fantasia, tra favola e fabula, l'incastro tra ciò che era e ciò che viene rappresentato per com'era è affascinante, ed è senza dubbio l'opera da un certo punto di vista più matura di Quentin Tarantino.
Sono ansioso di rivederla, perché vorrei lasciarmi andare alle immagini sapendo anticipatamente che non devo per forza cercare un racconto tra le pieghe di ciò che vedo, e forse così riuscirò davvero a godermela fino in fondo.
Perché, nonostante C'era una volta a... Hollywood mi sia piaciuto tanto, mi ha lasciato un retrogusto amarognolo di occasione mancata.
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La Recensione più entusiasta
di Pentothal
30 gen 2020
100%
Sono rimasto incantato durante tutta la visione, ti porta con sé in quel Hollywood che era negli anni 60', composta da sogni e abbagli.
Cast azzeccato ed eccezionali tutti, compresi Kurt...
Sono rimasto incantato durante tutta la visione, ti porta con sé in quel Hollywood che era negli anni 60', composta da sogni e abbagli.
Cast azzeccato ed eccezionali tutti, compresi Kurt Russell e Al Pacino che svolgono un ruolo minore.
Si resta tesi infine immaginando come potesse concludere la storia parallela di Sharon Tate...
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La Recensione più cattiva
di RayRJJackson
13 ott 2019
70%
Non uno dei migliori di Tarantino che abbia visto, ma è comunque abbastanza valido. Come tuffo nel passato in quell'epoca, è più o meno tutto molto simile, ma molte volte non proprio accurato. Un...
Non uno dei migliori di Tarantino che abbia visto, ma è comunque abbastanza valido. Come tuffo nel passato in quell'epoca, è più o meno tutto molto simile, ma molte volte non proprio accurato. Un buon prodotto, ma comunque non bello come mi aspettavo. Non apprezzabile comunque il revisionismo storico in un paio di scene, tra cui quella finale.
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di Pentothal
30 gen 2020
100%
Sono rimasto incantato durante tutta la visione, ti porta con sé in quel Hollywood che era negli anni 60', composta da sogni e abbagli.
Cast azzeccato ed eccezionali tutti, compresi Kurt...
Sono rimasto incantato durante tutta la visione, ti porta con sé in quel Hollywood che era negli anni 60', composta da sogni e abbagli.
Cast azzeccato ed eccezionali tutti, compresi Kurt Russell e Al Pacino che svolgono un ruolo minore.
Si resta tesi infine immaginando come potesse concludere la storia parallela di Sharon Tate...
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di Antonella
23 gen 2020
85%
non pensavo di poter entrare in sala e ridere guardandolo cosi tanto sinceramente, l'amore e l'omaggio di Tarantino è palese e penso che sia condiviso da molti.
Le scene come quelle in cui...
non pensavo di poter entrare in sala e ridere guardandolo cosi tanto sinceramente, l'amore e l'omaggio di Tarantino è palese e penso che sia condiviso da molti.
Le scene come quelle in cui dedica pochi minuti, discostandosi dal racconto, per mostrare l'accensione delle luci su Los Angeles è una delle cose più belle mai viste in un film.
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di RayRJJackson
13 ott 2019
70%
Non uno dei migliori di Tarantino che abbia visto, ma è comunque abbastanza valido. Come tuffo nel passato in quell'epoca, è più o meno tutto molto simile, ma molte volte non proprio accurato. Un...
Non uno dei migliori di Tarantino che abbia visto, ma è comunque abbastanza valido. Come tuffo nel passato in quell'epoca, è più o meno tutto molto simile, ma molte volte non proprio accurato. Un buon prodotto, ma comunque non bello come mi aspettavo. Non apprezzabile comunque il revisionismo storico in un paio di scene, tra cui quella finale.
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09 ott 2019
80%
Un Tarantino maturo mette in scena una bella favola, dove la realtà dei fatti si mescola alla finzione e ne tira fuori un film fantastico. Di Caprio eccezionale, Brad Pitt con un personaggio cucito...
Un Tarantino maturo mette in scena una bella favola, dove la realtà dei fatti si mescola alla finzione e ne tira fuori un film fantastico. Di Caprio eccezionale, Brad Pitt con un personaggio cucito addosso.
Assolutamente soddisfatto di tutto quello che ho visto.
Finale che lascia a bocca aperta per la scelta fatta, anche se potrebbe effettivamente essere soggetta a differenti punti di vista per quanto riguarda spiegarla. Ma forse, quello più sensato è il voler portare rispetto a Polansky e sopratutto a Sharon Tate non mettendone in scena la morte di quest'ultima.
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di Marco Natale
26 set 2019
100%
Una pellicola che è un chiaro amore per il Cinema. Tarantino per 2 ore e 40 ti immerge nella Hollywood degli anni 60 cambiando spesso formato. Su schermo vedrete bene la differenza tra la serie anni...
Una pellicola che è un chiaro amore per il Cinema. Tarantino per 2 ore e 40 ti immerge nella Hollywood degli anni 60 cambiando spesso formato. Su schermo vedrete bene la differenza tra la serie anni 40, i film panoramici o gli spot rispetto alla tv. Chi conosce bene il contesto storico o coglie le citazioni tipo l'omaggio a Corbucci avrà un valore aggiunto. Chi non conosce ne il contesto storico o di cosa stanno parlando ci credo che non capisca nulla. Il film è meraviglioso e ha un finale bomba
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23 set 2019
81%
Gran film, divertente, con dialoghi, montaggio e fotografia brillanti, ai quali Tarantino ci ha abituato, i protagonisti Rick e Cliff sono caratterizzati alla grande e fanno fare una figura sontuosa...
Gran film, divertente, con dialoghi, montaggio e fotografia brillanti, ai quali Tarantino ci ha abituato, i protagonisti Rick e Cliff sono caratterizzati alla grande e fanno fare una figura sontuosa a Leo e Brad, in particolare ho adorato il personaggio interpretato da quest'ultimo, soprattutto nelle scene cazzutissime con Bruce Lee e nel ranch di Manson.
SPOILER
Il finale sanguinoso e fracassone è la quintessenza del Tarantinismo, coronato da Di Caprio in azione col lanciafiamme. Infine, le scene con Margot Robbie nei panni di Sharon Tate rappresentano un tributo delicato, elegante e romantico all'attrice scomparsa e fanno emergere tutta la sensibilità artistica di Tarantino dal suo coloratissimo repertorio di "vaffanculo", "cazzo", sangue, pallottole, corpi trivellati, lanciafiamme, macchine, piedi, culi, sigarette, whiskey e cibo per cani.
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di Nibbio
20 set 2019
88%
Con questo film mi sarei aspettato il Tarantino più cazzone che sia mai esistito: mi sarei aspettato un film con molta azione e molto "mainstream" come struttura (come Django, per intenderci).
Con questo film mi sarei aspettato il Tarantino più cazzone che sia mai esistito: mi sarei aspettato un film con molta azione e molto "mainstream" come struttura (come Django, per intenderci).
Cosa ho visto invece? Non ho visto un altro film, ho visto il cinema.
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20 set 2019
80%
Uno di quei film che dimostrano come chi sostiene che fruire di una pellicola a casa su un piccolo schermo sia equiparabile alla visione in sala, si sbagli di grosso... ogni scenografia è curata nei...
Uno di quei film che dimostrano come chi sostiene che fruire di una pellicola a casa su un piccolo schermo sia equiparabile alla visione in sala, si sbagli di grosso... ogni scenografia è curata nei minimi dettagli, ti fa immergere totalmente fra i colori delle strade della Los Angeles di quegli anni, ti sembra proprio di essere lì, tra il fumo di una sigaretta, l'aria impolverata del set di un western, con le musiche che ti avvolgono e che ti fanno venir voglia di ballare, per una bellissima esperienza visiva e sonora totale.
La qualità delle interpretazioni è elevatissima: Pitt e DiCaprio ai massimi livelli, il primo scultoreo, potente, testa calda, il secondo fragile, lunatico, disperato, entrambi perfettamente calati nel personaggio; Margot Robbie perfetta, seppur appaia per meno, ma tanto basta per esprimere tutta la dolcezza e la bellezza di Sharon Tate. Tutti gli altri interpreti sono azzeccati e si fanno notare anche se in piccoli ruoli: dai più navigati Al Pacino, Bruce Dern, Luke Perry, Damian Lewis, Timothy Olyphant, ai più giovani Maya Hawke, Dakota Fanning, Margaret Qualley (rivelazione!). Menzione onorevole per i due "piccolini": una Julia Butters pazzesca, capace di affrontare lunghi dialoghi e scene anche forti senza fare la minima piega, e Brandy, cucciolone docile e letale al contempo, in una parte di assoluto rilievo, a cui non ci si può non affezionare, in una delle migliori interpretazioni a 4 zampe di sempre. E infine i due la cui visione, anche per pochi minuti, non può che far sorridere nostalgicamente ogni fan di Tarantino che si rispetti: Kurt Russell e Michael Madsen, ma anche Zoë Bell, attrice e stuntwoman già vista in Death Proof, Kill Bill, Inglourious Basterds, Django Unchained e The Hateful Eight.
Tarantino è riuscito a trasmettermi il forte entusiasmo che ha messo nella sua opera, forse la più ricercata e articolata della sua filmografia in termini di accuratezza storica, rendendo interessante anche le parti che possono ritenersi più noiose e pesanti o in cui non succede niente di particolarmente decisivo ai fini della trama (più o meno le prime due ore di film 😂). Poi nell'ultima parte del film Tarantino da sfogo alla brutalità che tutti aspettavano e che sembrava non arrivasse mai, ma arriva così forte che non può lasciare indifferenti anche chi è abituato alla visione di quel tipo di scene.
Tantissime le scene che rimangono impresse, più per le scelte registiche e le interpretazioni degli attori: le (tante) scene in macchina con i dialoghi tra Rick e Cliff, il giro della mdp nel ciak ripetuto con Cliff e James Stacy (interpretato da Timothy Olyphant), la scena diventata iconica già dal trailer con la commozione di Rick dopo le parole della piccola Trudi, Rick al posto di Steve McQueen ne La grande fuga, la spassosa scena omaggio a Bastardi senza gloria, Sharon Tate che si riguarda al cinema, Rick che sbrocca nella roulotte per non essersi ricordato le battute, la tensione della scena con Cliff allo Spahn Ranch e le sue scazzottate lì e con Bruce Lee, il climax che porta all'epilogo della vicenda.
Insomma, il film a me è piaciuto molto e non ha deluso le mie aspettative, seppur con i limiti illustrati nella recensione; spero di poterlo riguardare presto, magari in v.o., anche se devo dire che il doppiaggio mi sembra sia stato fatto abbastanza bene.
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4 anni fa
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17 set 2019
75%
C'era una volta a... Hollywood è senza ombra di dubbio uno dei film più attesi, più chiacchierati e più anticipati degli ultimi anni: quando sul campo di gioco entra Quentin Tarantino le masse...
C'era una volta a... Hollywood è senza ombra di dubbio uno dei film più attesi, più chiacchierati e più anticipati degli ultimi anni: quando sul campo di gioco entra Quentin Tarantino le masse impazziscono, il web esplode e se in più il cast è quello della Champions League hollywoodiana si può immaginare a che livello siderale viaggino le aspettative.
Aspettative che spesso, nella vita come al cinema, uccidono il momento in cui poi ci si gusta quello che tanto si attendeva, e nella filmografia del regista di Knoxville C'era una volta a... Hollywood è a mio avviso l'opera meno tarantiniana e allo stesso tempo quella che più ne racchiude le manie, i feticci e gli amori.
Il film è costruito come un gigantesco ritratto di un'epoca che non c'è più: l'epoca in cui Hollywood stava riscoprendo una nuova identità, sballottata tra la fine del grande star system e l'inizio di quella che sarebbe stata poi denominata New Hollywood.
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La Los Angeles del 1969 che si vede in C'era una volta a... Hollywood è in pieno periodo Flower Power: le illusioni di un mondo felice sbattono la faccia contro l'orrore della Guerra del Vietnam, il movimento hippy fa proseliti ovunque e la protesta che si gonfia nelle strade si riversa anche nel Cinema, ammazzando i vecchi miti con la voglia di qualcosa di nuovo.
Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) è esattamente questo: un vecchio mito.
Protagonista di una serie western di successo si ritrova a fare i conti con il tempo che passa e con il fatto che non ha più ruoli da protagonista positivo che creino empatia con il pubblico, ma al contrario viene utilizzato come vecchia gloria da far prendere a pugni dal nuovo eroe di turno.
Accanto a lui c'è la sua controfigura e ormai amico fraterno Cliff Booth (Brad Pitt), che gli fa anche da autista e da balia.
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In C'era una volta a... Hollywood questi due personaggi sono soltanto dei vascelli che servono a Quentin Tarantino per trasportare lo spettatore all'interno di quel mondo e di quell'epoca, grazie a uno straordinario lavoro del reparto scenografia che ha riportato Los Angeles indietro nel tempo di mezzo secolo, grazie ai costumi, alle musiche e alla pellicola in 35mm, 16mm e addirittura 8mm utilizzata dal direttore della fotografia Robert Richardson per replicare quel tipo di pastosità d'immagine che oggi il digitale non riesce ancora a farci rivivere.
Il viaggio nel tempo e nel Cinema è accentuato da continui passaggi tra colore e bianco e nero e da un aspect ratio mai domo, che passa dal classico 2.39:1 fino al televisivo 1.33:1, facendo vivere il grande schermo di vita propria.
C'era una volta a... Hollywood è confezionato alla perfezione: da ogni inquadratura trasuda la passione del regista nei confronti di quell'epoca e del Cinema di quegli anni, e come spettatori assistiamo ad una vera dichiarazione d'amore che si traduce in lunghissimi quadri dedicati ai paesaggi, o al percorso in macchina da un luogo all'altro.
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E non solo il Cinema in quanto tale viene travolto dall'affetto tarantiniano, perché anche la televisione di quel momento, anche gli stessi mestieranti della televisione e del Cinema ricevono lo stesso abbraccio: con uno dei protagonisti che nella vita fa lo stuntman viene palesato l'amore nei confronti di chi il Cinema lo faceva davvero sporcandosi le mani e spaccandosi le ossa.
Tutto questo amore però va secondo me a inficiare il racconto, il cosiddetto storytelling.
Da sempre penso che Quentin Tarantino sia un grandissimo sceneggiatore di personaggi e un grande regista di attori: capace di dare vita a volti e maschere che, nonostante si vedano per un minutaggio risibile nel film, non vengono mai dimenticati.
I suoi personaggi sono solitamente il motore delle sue storie: ciò che a loro succede e come loro reagiscono ci spinge a volerne conoscere i destini, e la loro umanità a volte fin troppo terrena dà spesso luogo a monologhi irresistibili, battute memorabili e situazioni che rimangono impresse.
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In C'era una volta a... Hollywood tutto ciò viene meno perché Tarantino sceglie di illustrarci un mondo, piuttosto che raccontarci una storia.
Di conseguenza i suoi protagonisti sono quasi impalpabili e il loro destino mi ha appassionato meno del previsto durante la visione del film.
Le performance dei due attori principali sono però lo stesso clamorose: a mio avviso tra i due spicca di più Brad Pitt, grazie a un personaggio più rotondo, interessante e crepuscolare, con un passato orribile e un atteggiamento strafottente che conquista e che dà modo all'attore di sfoggiare le sue capacità, grazie anche a una delle scene più riuscite dell'intero film, girata come se fosse un western pur non essendolo.
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Leonardo DiCaprio inanella un'altra prova straordinaria, chiamato qui ad interpretare il ruolo di un attore vanesio, che si rende conto essere vicino alla fine dei suoi giorni di gloria ma che si rende poco conto di cosa gli succeda intorno, impegnato com'è su se stesso e il proprio ego, un po' sciocco e per questo anche molto tenero.
Los Angeles nell'estate del 1969 significa necessariamente anche Cielo Drive, Sharon Tate e Manson Family, e chiunque abbia sentito parlare della sinossi di C'era una volta a... Hollywood si è chiesto cosa e in che modo Tarantino avrebbe scelto di raccontare in merito, scegliendo Margot Robbie come Tate e inserendo nel cast dei personaggi del film anche Roman Polanski, Charles Manson e Jay Sebring, il parrucchiere presente tra le vittime della strage.
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Oltre a presentarci una Sharon Tate eterea e dolcissima nel suo infantile entusiasmo quando si guarda al cinema, C'era una volta a... Hollywood tiene fede al proprio titolo anche e soprattutto per quel che riguarda quel tragico momento, ma di questo si può parlare solo svelando una parte importante della trama e quindi lo farò solo dopo l'avviso 'Spoiler' che trovate poco più sotto.
Si può però tranquillamente dire che la scelta del titolo del film sia per Tarantino più una dichiarazione sul contenuto favolistico del film piuttosto che un omaggio al nostro - e al suo - sempre amatissimo Sergio Leone.
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Il regista regala ad ognuno degli interpreti un ruolo importante, anche se piccolo.
Timothy Olyphant, Margaret Qualley, Luke Perry, Nicholas Hammond, Kurt Russell e lo stesso Al Pacino hanno un minutaggio non così pesante nell'economia totale di C'era una volta a... Hollywood - e sono sicuro che vi innamorerete di un personaggio "piccolo" per importanza ed età - eppure su ognuno di loro è stato cucito un abito in grado di farli esprimere come fossero tutti dei co-protagonisti.
Sottolineando una volta di più l'amore del regista/sceneggiatore nei confronti degli attori che chiama a recitare.
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E menzione d'onore per Brandy, il cane: la Palm Dog di Cannes è assolutamente meritatissima.
Il nono film di Tarantino mi è parso quindi un meraviglioso gesto amorevole ricco di particolari gustosi dedicati agli amanti della Settima Arte: davvero qualunque cosa nel film può funzionare come rimando o citazione ma questa volta, a differenza dei film precedenti, le citazioni non sono delle riproposizioni di inquadrature o situazioni viste altrove, quanto piuttosto delle vere e proprie rappresentazioni di ciò che è stato nella realtà.
La cosa non mancherà di entusiasmare parte del pubblico, anche se è probabile che C'era una volta a... Hollywood diventerà il film che più polarizzerà i giudizi nella filmografia di QT.
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Dai cartelloni cinematografici alle automobili, dalle canzoni ai costumi, tutti gli elementi che riempiono C'era una volta a... Hollywood arrivano di peso da quell'epoca.
Anche i personaggi, perché possiamo vedere Steve McQueen (Damian Lewis) ad una festa presso la Playboy Mansion e Bruce Lee (Mike Moh) dietro le quinte di un film - in una scena che personalmente ho trovato un po' oltraggiosa, e ho capito il motivo della polemica nata dalla figlia del campione di arti marziali.
C'è spazio anche per l'Italia e per Sergio Corbucci, in una sequenza fondamentale del film.
È tutto meraviglioso e tutto lascia a bocca aperta... ma.
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L'impegno profuso nel creare questa splendida capsula del tempo ha probabilmente tolto concentrazione al racconto: i primi due atti di C'era una volta a... Hollywood appaiono spesso come un mero 'mostrare' senza sostanza, con addirittura molte inquadrature dedicate esclusivamente a farci vedere una strada, una scritta, un cartellone.
Mi è sembrato come se Quentin Tarantino, una volta scritto e prodotto il film, si fosse ritrovato in sala montaggio e avesse deciso assieme a Fred Raskin - suo fedele montatore dopo la scomparsa della mitica Sally Menke - di non tagliare via assolutamente nulla di quanto avesse girato.
Tanto è l'amore provato dal regista per quei momenti e quei luoghi, da lui solo fantasticati per ovvie ragioni anagrafiche, che ha voluto inserire qualunque cosa nel film, anche quei quadri e quelle scene che a ben guardare non portano il racconto da nessuna parte, ma anzi lo congelano nell'attesa che succeda qualcosa.
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Questa sensazione l'ho provata soprattutto nei primi due atti di C'era una volta a... Hollywood, perché il terzo atto diventa a tutti gli effetti cinematografico: i personaggi si muovono, evolvono, imparano, cambiano, e le cose succedono.
E succedono in maniera forte, decisa, esagerata e parossistica, spostando il film su un binario che fino a quel momento pareva corrergli accanto come una bellissima occasione che qualcuno aveva scelto di non cogliere.
Sia chiaro per coloro che non riescono a leggere tra le righe: il film mi è piaciuto e non poco, si ride molto e ci si emoziona, ci sono alcune sequenze girate in maniera impeccabile, le interpretazioni sono tutte strepitose e tecnicamente questo C'era una volta a... Hollywood è assolutamente ineccepibile, con tanto di alcuni splendidi movimenti di macchina 'nascosti' ai quali Tarantino ci ha ormai abituati, quelli che si mettono al servizio del film e che non si fanno notare come virtuosismi sterili.
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E credo sia evidente che C'era una volta a... Hollywood sia la dimostrazione del fatto che Tarantino abbia ancora tanto da dare al Cinema, e che quelle sue ormai famose dichiarazioni sul fatto di fermarsi dopo 10 film dovrebbero essere rinnegate perché sarebbe un vero peccato non vedere più sul grande schermo opere così pregne di cinefilia e cinematografia.
Ma durante la visione ho sentito la mancanza di una solida spina dorsale, di un racconto che fosse più grande delle immagini da cui ero travolto, di una sceneggiatura che oltre ad omaggiare volesse seriamente dirmi qualcosa.
E quel terzo atto così ispirato mi ha solo fatto notare ancora di più la differenza con ciò che lo precede.
All'inizio ho accennato alle aspettative e forse sono proprio loro che mi hanno tradito: sulla carta, conoscendo il Cinema di Tarantino visto finora, C'era una volta a... Hollywood avrebbe potuto seriamente essere il suo Capolavoro con la C maiuscola, perché ne aveva tutti gli elementi.
Penso invece che probabilmente lui stesso si sia emozionato all'idea di poterlo fare davvero.
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Un po' come quando la donna dei tuoi sogni, quella su cui hai fantasticato una cena che pensavi non sarebbe mai avvenuta, ti chiede improvvisamente di uscire: c'è sicuramente qualcuno in grado di gestire la cosa con scioltezza, ma moltissimi andrebbero nel panico e non saprebbero da dove iniziare.
C'era una volta a... Hollywood mi è parso quindi la splendida donna sempre rincorsa da Quentin Tarantino che finalmente sceglie di concedergli una serata assieme.
Lui si è emozionato troppo e ha voluto a tutti i costi urlare al mondo quanto l'abbia sempre amata, le ha fatto delle foto splendide - soprattutto ai piedi - e ne ha decantato a tutti l'eleganza e il fascino, mostrando loro quanto fosse splendida e simpatica e affascinante.
Ma si è dimenticato di ascoltarla parlare di se stessa.
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SPOILER
SPOILER
SPOILER
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Cercherò di non dilungarmi troppo oltre, ma ci tenevo a dire qualcosa su C'era una volta a... Hollywood senza i freni inibitori dello spoiler.
Innanzitutto credo che la scelta del finale sia una meraviglia: quell'inquadratura dall'alto con la macchina da presa che si allontana mentre compare il titolo del film sullo schermo e in sottofondo sentiamo una dolce musica... è esattamente quello che promette il titolo.
Una favola a lieto fine, dove i cattivi muoiono e i buoni sopravvivono, e dove il nostro eroe trova molto probabilmente un nuovo futuro esattamente come aveva preconizzato durante il film.
La vendetta di Tarantino nei confronti della Manson Family in C'era una volta a... Hollywood è di un'efferatezza incredibile: si percepisce quanto avrebbe voluto che andasse così, con tre morti nel peggiore dei modi e un accanimento pazzesco sui corpi e i volti dei wanna be killer.
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Quando Rick Dalton torna in scena con in mano il lanciafiamme la sala dove mi trovavo è esplosa in una risata liberatoria, perché nonostante Cliff Booth avesse già fatto presagire un cambio di registro grazie all'LSD che cominciava a fare effetto, le scene di violenza sul grande schermo erano davvero quasi insostenibili.
Poco prima del soggiorno italiano del personaggio di DiCaprio C'era una volta a... Hollywood a mio avviso inizia a decollare davvero, ma fino a quel momento - ripeto - mi è sembrato più che un film un affresco amorevole nei confronti della città e del sistema Cinema.
Certo, ci sono scene riuscite benissimo: una su tutte è quella di Cliff Booth che si reca allo Spahn Ranch occupato dai proseliti di Charles Manson.
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Girata come se fosse un vero western, con l'attesa per lo scontro frontale tra le due fazioni - in questo caso uno contro tutti - i momenti di quiete prima di una tempesta che però non arriva e anzi si infrange contro una realtà inaspettata, con un Bruce Dern esilarante nel ruolo del cieco maschilista al quale va benissimo tutto basta che ogni tanto qualcuna gliela dia.
Brad Pitt mette in mostra in quel momento tutto il proprio mestiere, oltre che quel suo fascino assurdo che fa traballare l'eterosessualità di qualunque uomo in sala, e si percepisce che Tarantino volesse metterla in scena esattamente come i registi italiani citati nel film stesso.
Il fatto che Charles Manson sia semplicemente una comparsa mi ha stupito al contrario: era quello che pensavo sarebbe stato prima che uscisse il trailer del film, che invece mi fece rivalutare il mio pensiero.
In realtà direi che ci avevo azzeccato, e l'ho trovata una scelta intelligente.
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Rendere Manson importante in un film che dichiara il proprio amore per quel periodo avrebbe stonato: il Male in C'era una volta a... Hollywood viene prima canzonato, poi preso a pugni in faccia e infine dato in pasto al cane e alle fiamme.
Viene eradicato del tutto e Manson, che era la rappresentazione stessa del Male in quella Los Angeles, compare come se fosse un fantasma, un'entità, qualcosa di impalpabile da dimenticarsi in fretta.
Ci sono personaggi che rimarranno nel nostro immaginario, pur senza avere la potenza espressiva di un Mr Wolf o di una O-Ren Ishii, come ad esempio quello di Julia Butters, la piccola attrice che ad appena 9 anni dimostra di saper stare in scena accanto a un mostro come Leonardo DiCaprio senza il minimo problema, in un ruolo irresistibile che funge allo stesso tempo da omaggio e da critica nei confronti degli attori bambini, professionali e preparati ma forse privati troppo presto del candore che la loro infanzia richiederebbe.
Il gioco di C'era una volta a... Hollywood tra realtà e fantasia, tra favola e fabula, l'incastro tra ciò che era e ciò che viene rappresentato per com'era è affascinante, ed è senza dubbio l'opera da un certo punto di vista più matura di Quentin Tarantino.
Sono ansioso di rivederla, perché vorrei lasciarmi andare alle immagini sapendo anticipatamente che non devo per forza cercare un racconto tra le pieghe di ciò che vedo, e forse così riuscirò davvero a godermela fino in fondo.
Perché, nonostante C'era una volta a... Hollywood mi sia piaciuto tanto, mi ha lasciato un retrogusto amarognolo di occasione mancata.
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Emanuele
18/10/2024
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30/04/2024
Emanuele
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