Da sempre i fratelli Coen hanno scelto di raccontarci l'America.
Non tanto gli Stati Uniti, quanto proprio quell'America che è stato mentale più che luogo geografico, un posto...
Da sempre i fratelli Coen hanno scelto di raccontarci l'America.
Non tanto gli Stati Uniti, quanto proprio quell'America che è stato mentale più che luogo geografico, un posto incredibilmente cinematografico e, nonostante tutto, terribilmente reale.
Ci hanno raccontato l'America romantica di un'epoca andata, quella molle e disillusa di fine millennio, quella delle opportunità e delle furberie, quella della violenza improvvisa e quella della provincia alienata, quella ipocrita e sfarzosa di Hollywood e quella della terra e del sangue del vecchio West: sicuramente leggendo queste righe avrete riconosciuto Fargo, Il Grande Lebowski, Non è un paese per vecchi, Mister Hula Hoop, Barton Fink, Ave Cesare!, Burn After Reading, L'Uomo che non c'era, A Proposito di Davis, Crocevia della Morte...
La Ballata di Buster Scruggs si inserisce perfettamente nel solco che Joel ed Ethan hanno tracciato da più di trent'anni.
L'umorismo nero e il gusto per il grottesco, le riflessioni sulla caducità dell'esistenza e sul senso stesso della vita, i racconti che non si concludono come vorremmo e che, anzi, spesso non si concludono se non lasciando un punto interrogativo nella testa dello spettatore.
Anche in questo caso è evidente che i Coen si siano divertiti tantissimo a scrivere e girare i sei episodi e spesso, durante la visione, succede che riescano a far divertire anche chi li guarda.
Nato come mini serie televisiva e trasformatosi in lungometraggio, La Ballata di Buster Scruggs nasconde però a mio avviso una riflessione molto più profonda, che potrebbe sfuggire guardando il film per mero divertimento: il film è profondamente agnostico.
Ogni episodio è introdotto da un'immagine tratta da un fantomatico libro, immagine accompagnata da un testo che poi ritroveremo nell'episodio stesso.
Ogni episodio tratta, seppur in maniera differente uno dall'altro, il tema della morte.
In tutti e sei gli episodi c'è almeno un omicidio, in quasi tutti è il protagonista a perire (fatto salvo per quello che vede protagonista un meraviglioso Tom Waits, dove però il morto alla fine c'è comunque) e nell'ultimo... a essere passati a miglior vita sono tutti gli occupanti di un lato della carrozza.
Carrozza che "che li avesse sentiti o meno, il cocchiere non ferma".
Un cocchiere senza volto che guida un viaggio dove la Morte incombe sui viaggiatori non solo in senso figurato, ma anche in senso fisico grazie al corpo buttato sul tetto.
Un viaggio che si conclude con i partecipanti ormai consapevoli, dove nessuno vuole scendere per primo.
I Coen non giudicano, non ci dicono se sia giusto o meno giudicare né vogliono dirci che ci sia qualcuno che ci giudicherà.
Non esiste nessuno che meriti di morire così come non esiste nessuno che non lo meriti.
La morte ne La Ballata di Buster Scruggs è presente dall'inizio alla fine e anzi, compie un perfetto cerchio che si apre e si chiude.
Si apre con la conclusione del primo episodio, dove vediamo il Buster Scruggs del titolo (Tim Blake Nelson) ascendere al cielo con tanto di lira e ali d'angelo, e si chiude con la fine dell'ultimo episodio, dove quella fermata della carontiana carrozza sa tanto di Purgatorio.
Chi aveva ragione e chi aveva torto nell'America del vecchio West?
Chi meritava la morte e chi la vita?
Era giusto il pensiero di un cacciatore di taglie?
E quello di un impresario che sfrutta la pena generata dalla visione di un uomo amputato?
E quello di un ladro, di un cercatore d'oro, di una povera donna indebitata?
Non è importante.
Non è importante perché per i Coen la morte tocca tutti indistintamente, la vita è questione di fortuna e non sappiamo se ci sia o meno qualcosa che guida i nostri destini, che ci indirizza nelle scelte, che ci fa prendere una strada piuttosto che un'altra.
E non lo è nel momento in cui ci salviamo da un cappio e dai pellerossa per poi incappare in un altro.
O se viviamo la nostra derelitta esistenza declamando Ozymandias per poi finire in un fiume sostituiti da un pollo.
La Ballata di Buster Scruggs è un gioiello dal punto di vista visivo ed è un vero peccato non aver potuto godere al cinema dello spettacolo reso magnificamente dal direttore della fotografia Bruno Delbonnel: uno che passa tranquillamente dal coloratissimo dolciastro de Il Favoloso Mondo di Amélie di Jean-Pierre Jeunet al desaturato e livido Faust di Aleksandr Sokurov, dal lattiginoso A Proposito di Davis dei Coen al leccatissimo e pulito L'Ora più Buia di Joe Wright.
Un vero pittore del quadro che non sbaglia una composizione neanche volendo, regalandoci un Old West sporco ma pettinato, cattivo ma formalmente rigoroso.
E che avrebbe meritato più metri quadri di schermo possibili, nelle sale cinematografiche.
Spettacolare in tal senso l'ultimo episodio, dove la fotografia passa dal rassicurante e caldo arancione del pomeriggio per diventare un minaccioso e greve blu notte, trasformandosi e cambiando la luce sui volti proprio sotto i nostri occhi e quasi senza farcene accorgere se non quando ormai è troppo tardi.
Il film va molto vicino all'essere uno dei migliori dei fratelli Coen: nonostante la sceneggiatura risenta della divisione in capitoli, che niente hanno a che fare l'uno con l'altro se non per l'ambientazione e il tema di fondo, la scrittura semplice dei personaggi che non evolvono né hanno il tempo per farlo rimane gustosa e in perfetto stile coeniano.
L'opera lascia un sapore amaro in bocca dopo averci ingolosito per più di due ore, ma ritengo che sia giusto così: le vite di tutti noi sono un regalo da gustare a fondo fino a che arriverà il momento di abbandonare questo piano terreno e muoverci, forse, su di un altro.
Non venitemi a dire che quel momento non sarà amaro, perché non ci credo.
E in questo caso il "non ci credo" ha un doppio senso assolutamente voluto.
Filman
5 anni fa
Il primo vero motivo che mi porta a dire questo è che un collegamento tra un episodio e l'altro così non si era mai visto. E' interessante l'idea del libro, che rientra perfettamente nelle corde da cantastorie dei fratelli Coen e accentua la sensazione di nostalgia e malinconia verso un mondo (quello del far west) che diventa quasi fiabesco, quasi mitologico.
Più nel concreto, l'idea di introdurre e concludere l'episodio con un mini prologo e un mini epilogo è semplicemente azzeccato, apre l'episodio incuriosendo e lo conclude con un colpo riassuntivo, dando forza a ciò che si vedrà e a ciò che si è visto: chi non si è emozionato scoprendo il senso della raffigurazione iniziale del quinto capitolo nel suo ultimo frame? Sembrerà una fesseria, ma la vacuità e l'isolamento circostanziale dei singoli racconti, o la velocità con cui si passa da uno all'altro senza che ci venga lasciato il tempo di assimilare ciò che abbiamo visto e prepararci a ciò che vedremo, è un problema narrativo vero troppo spesso lasciato al caso.
La differenza tra le varie "puntate" (nello stile, nei toni e anche nell'estetica se vogliamo) è vera. Questo approccio è accettabile e giusto quando il film è diretto da più registi, mentre qua è dovuto alla nascita dell'opera: i primi due episodi sono immediati, divertenti, televisivi; gli altri quattro si prendono il loro tempo necessario, spesso affondano nel dramma e cercano anche la credibilità storica, e per questo sono cinematografici. La sensazione che ho avuto assistendo a questa dissonanza è stata quella di star guardando il film più schizofrenico dei fratelli Coen, il più folle.
Poi ci penso su e mi chiedo se non ci sia un senso dietro.
Riguardo la filmografia dei registi e vedo come hanno affrontato un genere tanto "anziano" quanto emblematico paragonabile al western, cioè il noir. Miller's Crossing, Fargo, Il Grande Lebowski, L'uomo che non c'era, Ave,Cesare! sono tutti noir, ma quanto hanno in comune l'uno con l'altro? Stilisticamente nulla, ma ognuno ha dei cliché chiari e distinti, e ognuno decostruisce il genere a modo suo.
Probabilmente uno dei grandi traguardi artistici dei Coen è stato quello di proporre svariate versioni diverse dello stesso genere.
La Ballata di Buster Scruggs è indiscutibilmente un contenitore di cliché del western o simboli o rimandi allo stesso genere. Se ogni episodio fosse stato un film, diretto e distribuito ogni, che so, cinque anni, saremmo stati qua a dire che i Coen non hanno uno stile ben definito? Io credo di no. E forse ogni aspetto del mondo western ha la necessità di essere affrontato con una visione e un giudizio diversi, perché filtrati dall'immaginario collettivo o anche solo da quello dei due registi.
Forse sono io che cerco qualcosa di logico nel caos da cui è nata la suddivisione in parti di questo film, ma volendo filosofeggiare anche l'estetica di Pasolini era casuale e dovuta da pure incapacità tecnica, e anche la recitazione di Harrison Ford in Indiana Jones non nacque dal metodo Stanislavskij ma da un attacco di dissenteria.
E se c'è una cosa che i Coen ci insegnano è che il caso e il sopraggiungere caotico degli eventi sono l'essenza stessa della vita ;)
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ZERO
5 anni fa
Bella recensione comunque! =D
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