#news
Riverdale, teen drama prodotto da Warner Bros. Television, CBS Television Studios, Berlanti Production e distribuito in tandem da The CW e Netflix, è stato il teen drama rivelazione del 2017, ha visto il suo blast mediatico con la seconda stagione e sembrava volersi riconfermare oltre la sfera del tuono all'inizio della terza, stregando il sottoscritto.
Eppure, nonostante le ottime premesse, alle porte dell'episodio che vedrà l'ultima apparizione della compianta icona Luke Perry e nonostante la conferma della produzione di una quarta stagione, lo show ha registrato un ulteriore trend negativo di ascolti.
Cosa succede?
Stiamo forse per darvi in pasto una buona ragione atta a rettificare, completamente, l'articolo idolatrante riservato alla serie?
Ni.
So che odiate la risposta, però portate pazienza e seguitemi.
La serie tratta dai leggendari fumetti di Archie Comics rimane comunque una delle cose più belle accadute in televisione, per quanto riguarda l'orfano panorama dei teen drama.
Spudoratamente citazionista, spesso glam fino al vomito e dotata di una delle migliori messe in scena mai sfoggiate per uno show dedicato al pubblico teen.
Inutile dirvi che la prima stagione, spudoratamente strutturata sull'ossatura di Twin Peaks, è un must watch, un piacere terreno capace di forgiare un corollario di personagi attraenti quanto amabili, odiabili e smaccatamente romantici nella loro classica rivisitazione identitaria.
Sarebbe stupido ribadire quanto la seconda stagione, tra Zodiac, Carrie e indizi di Psycho, abbia alimentato il fascino di alcuni personaggi e il mito di questa cittadina ambientata in un universo tutto suo, dove la realtà e il tempo presente e passato si mescolano per dare forma a una dimensione nuova, a tratti assurda e pin-up pronta a piegare, nella sua conclusione e nell'avvio della terza stagione, i delicati equilibri della sospensione dell'incredulità.
La sospensione dell'incredulità, un qualcosa che sfortunatamente molti recensori sembrano aver dimenticato di tenere in considerazione, lasciando il pubblico sprovvisto di un concetto fondamentale nella corretta valutazione e fruizione di un opera, è paragonabile a un ponte di legno atto a collegare le sponde di una foresta umida e inospitale, sorretto da corde sfilacciate, costituito da tavole di legno rese solide e al contempo fragili dall'equilibro creato dagli umori dell'ecosistema naturale, salvifica e pericolante via sospesa sopra un torrente le cui correnti sono letali.
Insomma, spezzare questo ponte tra lo spettatore e il racconto è maledettamente facile.
Nel corso della sua terza stagione, grazie alle cure di uno showrunner in preda agli spasmi tipici di una gallina alla quale è appena stata mozzata la testa, Riverdale è riuscito a spezzare un paio di tavole di troppo e recidere qualche corda strutturalmente cruciale.
Roberto Aguirre-Sacasa, la gallina di cui sopra forse tentato dal network, sembra essere caduto nel banale "inganno della cadrega", commettendo l'errore più banale della storia del mezzo televisivo e passando da uno show misurato e composto da un arco narrativo ben delineato e curato al tipico format da 22 episodi che, pur di tenere botta, butta nel mezzo qualsiasi stravolgimento narrativo, lasciandosi scrivere con una serie di spunti narrativi maldestramente mescolati in un fedora di pagliuzza di poliestere.
La terza stagione di Riverdale, seppur già in partenza tirata oltre il limite, spezza le redini del suo ponte quando abbandona quello che poteva apparire come una papabile espansione dell'universo Archie Comics - Le terrificanti avventure di Sabrina fa parte dello stesso mondo - per gettarsi in una sempre più improbabile sequela di archi narrativi a stravolgere ogni equilibrio, allontanando i personaggi non solo da loro stessi ma dal contesto la cui struttura sopra le righe si reggeva, dimenticando la cura di delicati funambolismi di caratteri e mood.
La serie diventa sconclusionata, la messa in scena, seppur di discreto livello, tende sempre più a perdersi in ricerche che non sono tali ma sembrano ricordare quei patetici video dove persone di mezza età si spintonano e si malmenano alla vista di una catasta di panettoni messi in offerta al discount.
La scrittura dei personaggi crolla, il tessuto narrativo trasborda la tazza e impiastriccia le mani e il biscotto incartato lasciato vicino al cucchiaino, la cittadina di Riverdale perde ogni sfaccettatura e interi gruppi di personaggi scompaiono in favore di teen che improvvisamente non sono più tali, mentre inimicizie e dogmi scritti in calce nel corso delle precedenti stagioni - e a volte puntate - vengono frantumati senza ragioni apparenti.
Le regole, quelle istituite nel dipanare l'universo narrativo, diventano polvere sotto lo schiocco di dita di uno showrunner che, nel mancare completamente di rispetto al suo pubblico, lo prende bellamente per i fondelli cercando di distrarlo con asfissianti linee narrative, macchiettizzando le maschere più rappresentative, destrutturando, in negativo, il racconto e il mood, accelerando l'incedere degli eventi e saltando da un intrigo all'altro come si farebbe nelle peggiori delle soap opera, sovrascrivendo i caratteri in base ai capricci di un deus ex machina palesemente ubriaco, convinto di stringere tra le mani il timone di una nave al centro di una tempesta, quando invece sta solo guidando con vigore le corna di una capra sbircia.
Apice raggiunto nell'episodio Chapter Fifty-Three: Jawbreaker, andato in onda il 17 aprile, dove il montaggio da soap sfoggiato lungo la puntata sboccia in una scelta criminale del sound design, riuscendo a regalare al piccolo schermo una delle peggiori e tragicomiche scene di pugilato mai viste.
Lo show The CW è perciò vittima del meccanismo televisivo che ha fagocitato qualsiasi serie tv prodotta negli anni '90 e nei primi anni 2000 e che continua a mietere vittime - in tutta onestà non troppo illustri - nel palinsesto televisivo più caciarone, quello che vuole disimpegnare il pubblico.
C'è qualcosa di male?
Non ci sarebbe nulla se lo show fosse partito con queste premesse, ma la situazione cambia drasticamente quando il pubblico, quello conquistato grazie a una fattura più interessante e stimolante, si trova tra le mani uno Smallville messo in braccio al gruppo di scribacchini idrofobi.
Riverdale sta facendo l'errore tipico di tutte le serie che hanno fallito e falliranno in futuro ricordando tragicamente, e ironicamente, proprio il tracollo narrativo di quel Twin Peaks ricalcato all'esordio.