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Tim Burton ha una lunga relazione odi et amo con la Disney, un rapporto che si è evoluto e trasformato sin dagli albori della sua carriera, quando faceva parte dell'esercito di animatori, fino ad oggi, nel ruolo di uno dei registi più attivi nella trasposizione di brand più o meno di successo.
Per chi vi parla, Alice in Wonderland è indubbiamente il film più deludente della filmografia del regista, nonostante la presenza di tocchi interessanti, mentre Dumbo sembra calzare alla perfezione alla sua figura di stramboide.
"È la mia storia di animatore, il mio problema. Una strada a doppio senso, dico bene?" ha detto nel corso di una recente intervista rilasciata a IndieWire.
"Piaccio alla Disney ma sono pagato per essere uno stramboide vagamente accettato."
Burton si lega quindi all'elefantino dalle grosse orecchie quasi per osmosi, trovando in questa storia, intrisa di una triste gioia, un fascino per lui particolare.
"Mi sono legato a quel tipo di personaggio sin dall'inizio," ha detto il regista.
"Ho cercato di mantenere i tratti che amavo, l'immagine di questo carattere non si adatta davvero per essere divorata da una larga compagnia d'intrattenimento per famiglie...
I vecchi film Disney ti davano tutto: gioia, felicità, tristezza, morte, paura.
I ragazzini fuggirebbero urlando da Pinocchio [riferendosi alla visione del film, ndr].
Oggi la gente dice, 'Oh, è ancora troppo pauroso.'"
Il discorso di Burton è, in un certo senso, assolutamente centrato.
Con lo spostarsi delle produzioni e dei tempi, la Disney è diventata sempre più attenta a tenere fuori dalla porta qualsiasi sentimento vagamente spiacevole, rendendo le sue favole sempre più assurde nelle loro eccessiva ingenuità, riflettendo una società americana, da noi poco visibile, dove ogni traccia di sentimento negativo viene messa al bando.
La storia ci ha insegnato come solo grazie a Pixar, primo grosso acquisto della casa di Walt, il gigante del Topo ha cominciato ad apprendere come il pubblico avesse bisogno di sentirsi dire altre cose, storie emotivamente complesse capaci d'intrattenere sia i genitori che il pubblico dei più piccoli, molto più intelligente di quanto non si pensi.
Inside Out è forse il culmine di questa lotta contro l'oppressione barbarica dei sentimenti negativi, insegnando a tutto il mondo come la tristezza sia del tutto normale, parte di vita e passaggio necessario da accettare all'interno di una sana esperienza umana - e non da affogare con psicofarmaci prescritti da dubbi terapisti.
In tutto questo discorso, Dumbo è sicuramente una delle opere più rappresentative di una Disney che non aveva paura di raccontare una storia, per certi versi, anche crudele, tessendo un parallelo forte tanto quanto i passaggi spaventosi del sopracitato Pinocchio.
Chi è quel genitore che non fa vedere i vecchi film Disney ai propri figli, poichè troppo adulti e complessi?
Tanti, qualora vi fosse sorta spontanea la domanda, e molti appartengono proprio a quella generazione cresciuta attraverso quei cartoni.
A proposito dell'approccio della produzione, "Stanno realizzando molte cose alla Disney," ha detto Burton.
"Dumbo è una di quelle più difficili, giusto?
Una cosa che mi piace di Dumbo è proprio una di quelle che non si può riproporre, per molte ragioni.
Se qualcuno, uno dei ragazzi con i quali sono cresciuto, mi dovesse chiedere, 'cosa ricordi di Dumbo?' Risponderei 'lui che si sbronza di champagne'.
Ma, politicamente parlando, quella cosa non la puoi fare adesso".
Le bolle di champagne e le allucinazioni con gli elefanti rosa sono state sostituite con un trucco da circo che non vi sveleremo in osservanza della nostra politica spoiler free.
"Ho cercato di capire come potevo risolvere, in modo organico, questa cosa, guardando ad un contesto più reale," ha dichiarato a riguardo.
"Sembra una stupenda maniera per farlo.
Forse sono stato a Las Vegas troppo spesso.
Mi sono allucinato, in passato, anche senza droghe... può succedere!"
Parlando invece dell'empatia creata dal piccolo Dumbo, passata non attraverso la parola ma grazie ai suoi occhi pieni di stupore
"È come se stesse guardando un film di fantascienza con sguardo alieno."
"Il punto è che hai bisogno di un po' di tristezza, di malinconia per andare da qualche parte.
Vuoi sentire una connessione.
Ho cercato di tenere il lato emotivo reale, senza strafare."
Burton ha proseguito parlando del rapporto con il cast e la messa in scena di un film largamente affidato ai VFX.
"Mi sono sentito a mio agio con questo film.
Realizzare un live-action è una cosa diversa.
Sei costantemente alla ricerca del giusto tono.
Ho cercato di rendere complementari degli attori che sembrassero strambi con l'elefante animato.
Una parte molto difficile è sicuramente legata alla messa in scena di personaggi che si esibiscono in azioni ordinarie e straordinarie, nonostante siano vittime di evidenti fragilità, comuni a tutti noi.
"Holt torna dalla guerra senza un braccio e senza moglie," ha detto Burton riferendosi al personaggio di Colin Farrell, impegnato in scene nelle quali doveva cavalcare e tirare il lazo senza l'ausilio di un braccio.
"Staremmo ancora girando se non avessimo avuto quel lusso extra [parlando dei VFX, ndr]."
"Eva Green non amava le altezze," riferendosi ai problemi di vertigini avuti dall'attrice sul set.
"Non voleva esibirsi con il trapezio.
È affascinante e stupefacente la dedizione utile a fare tutta quella roba.
È come cavalcare uno di quei tori meccanici ma che se ne va per tutta la stanza!".
Ovviamente, girare un film dove il protagonista non può essere sul set e non lo sarà fino alla post produzione, deve essere stato qualcosa di completamente nuovo per Burton.
"Appiccicare il protagonista solo alla fine di tutto è strano."
"Diventa ansiogeno. Solitamente giri la tua scena e puoi vederla subito. Qui, invece, fino a quando non ottieni il risultato finale, non sai com'è. Credi di saperlo, stai lavorando per ottenere qualcosa ma non lo sai e non saprai com'è fino a quando non lo consegnano [parlando del risultato finale della scena, ndr]."
Burton ha dovuto quindi lavorare alacremente con gli animatori in modo tale da ottenere quanto stava cercando, dal suo protagonista, in sede di animazione.
"Cerchi le emozioni più semplici - quasi come un haiku - e di non antropomorfizzare eccessivamente la cosa.
Devi fare un passo indietro rispetto a quando fai pura animazione. È sembrato corretto quando soggettivamente giusto, avendo preso così tanto tempo."
Il regista sembra aver imparato dalla brutta esperienza avuta con Alice nel Paese delle Meraviglie, definita da lui stesso come
"La cosa più caotica di sempre: non aveva tecnica. Dovevamo testarlo.
Volevo che la regina avesse quella testa grossa.
Disney non potè testare il film; era la prima volta che succedeva.
Non c'era nulla da testare.
Stavamo incidendo musica e sonoro su roba che non c'era.
Era come un puzzle.
Arrivava tutto da ogni direzione: la grossa testa veniva dall'Asia, le grosse dita... non avevamo fatto motion capture, dove puoi vedere cosa avrai alla fine."
Quando interrogato se Disney avesse sollevato dubbi sui toni eccessivamente tristi del suo Dumbo, Burton ha detto
"È la solita roba."
"Sono come un vecchio poliziotto: 'non posso sopportare la sua m***a!'
Nightmare Before Christmas, o qualsiasi altro film io faccia, sono troppo dark.
Quanto di dark c'è è l'animale tenuto prigioniero.
Ci sono passato nel corso di tutta la mia vita, con le anteprime.
Ho il mio semplice modo di fare.
So cosa posso ottenere.
Sono per la veridicità di ciò che funziona con commedia e risate e quello che non può.
Quando invece si va giù lungo il cammino del dark, può essere fuorviante.
Quando entri nel tono delle cose: Batman è troppo dark.
Questo Batman è più leggero del precedente.
Come può essere leggero e più oscuro?
Mi confonde e disorienta."
Dumbo è da oggi in tutti i cinema.
Siete pronti?
1 commento
Angela
5 anni fa
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