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Lei (Her), di Spike Jonze con Joaquin Phoenix e Amy Adams, è il film che nel 2013 mise d'accordo critica e pubblico.
Pur non demolendo i botteghini, costato 23 milioni di dollari ne incassò 47 in tutto il mondo.
Her vinse l'Oscar per la Miglior Sceneggiatura Originale nel 2014 e conquistò praticamente chiunque lo vedesse, per una riuscita mescolanza di messa in scena rigorosa, scenografie futuriste ma non troppo, le interpretazioni impeccabili dei sempre bravi Joaquin Phoenix e Amy Adams... e molto probabilmente per quella sottile sensazione di empatia nei confronti del protagonista.
Siamo ormai abituati ad avere a che fare con le intelligenze artificiali e con le voci elettroniche, si tratti del navigatore satellitare o di Siri, e sono sicuro che più di una persona abbia con loro stretto un legame che va al di là del semplice rapporto "umano - oggetto".
Il film di Jonze è arrivato 45 anni dopo uno dei più famosi rapporti personali tra uomo e macchina: il kubrickiano 2001: Odissea nello Spazio e il suo temibile HAL 9000, ma anche dopo Blade Runner e la liaison tra Deckard e Rachel e dopo S1m0ne, un secondo me sottovalutato film di Andrew Niccol (il regista e sceneggiatore famoso soprattutto per Gattaca e The Truman Show) dove Al Pacino finiva per innamorarsi di una sua attrice creata digitalmente, quasi al punto di non riuscire a "eliminarla".
E volendo anche il rapporto che si riesce a creare tra lo spettatore e il piccolo protagonista di A.I. - Intelligenza artificiale può essere portato ad esempio.
Tutti esempi validi di connessione empatica con un qualcosa di impersonale, di non vivo fino in fondo: un oggetto creato dall'uomo che "pensa" e "ragiona" entro i limiti datigli dall'uomo stesso, una macchina alla quale siamo noi a dare una veste "umana" e che personalizziamo perché, evidentemente, non in grado di rapportarci con qualcosa se non prima di averlo umanizzato facendo finta di non sapere che sia inanimato.
Basterebbe pensare a tutte le volte che ognuno di noi inveisce contro il proprio smartphone o il proprio computer quando non funzionano come dovrebbero, come se al posto di essere "macchine" fossero delle cose con un proprio pensiero e delle proprie volontà.
Ma c'è un film italiano che, più degli altri, pare sia l'antesignano diretto di Her.
È I Love You, un film di Marco Ferreri del 1986.
La storia è semplice: lo 'scapolo d'oro' Christopher Lambert perde interesse nelle relazioni con le donne, che grazie al suo aspetto non gli mancano, e si innamora perdutamente di un portachiavi che ha le fattezze di un volto di donna con le labbra rosse e carnose e che se "chiamato" con un semplice fischio risponde, con una voce registrata ma sensualissima, sussurrando un dolcissimo "I love you".
Il punto di partenza, la situazione sentimentale del protagonista, è radicalmente diverso.
Ma il rapporto che creano i protagonisti del film di Spike Jonze e di Marco Ferreri è davvero molto, molto simile, nonostante la Samantha di Her sia notevolmente più strutturata del portachiavi di I Love You e nonostante la voce di Scarlett Johansson non sia paragonabile alla frasetta del film di Ferreri.
Però, con le dovute differenze e le debite proporzioni, la scena in cui Lambert indossa un maglione rosso non può che farci pensare all'outfit di Joaquin Phoenix.
Non sto sostenendo che Jonze abbia plagiato Ferreri, il film dell'americano nasce diverso e viaggia altrove, ma sicuramente c'è ben più di una coincidenza che lega i due film, soprattutto dal punto di vista dell'ossessione che finisce per sconvolgere la vita dei protagonisti.
Da spettatore mi chiedo se ogni tanto, quando si incensano i film hollywoodiani, non sarebbe il caso di dare visibilità e risonanza alle opere italiane che li hanno preceduti.
Per pura curiosità o gusto per l'aneddotica, ma anche per far riscoprire oggi dei Maestri, come lo fu Ferreri, che troppo spesso dimentichiamo di aver avuto.
2 commenti
Benito Sgarlato
6 anni fa
Grazie Teo 😉
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Teo Youssoufian
6 anni fa
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