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L'uomo che uccise Don Chisciotte - Recensione: puro Gilliam

L'ultimo film di Terry Gilliam è un Gilliam puro, divertito, arrabbiato, soddisfatto 

Parlando de L'Uomo che uccise Don Chisciotte non si può prescindere dal fatto che il film abbia alle spalle 25 anni di tentativi, di fallimenti, di delusioni e di disgrazie e che ripetutamente è stato a un passo dal venire realizzato per poi dover ricominciare tutto dall'inizio.


Non si può perché il film è anche questo. 

 

L'ultimo lavoro di Terry Gilliam racchiude tutto il Gilliam-pensiero e rappresenta se stesso e il Cinema, insieme.  

 

 

 

 

Il regista Toby (Adam Driver) torna dopo dieci anni nei luoghi dove girò il suo primo film, quelle terre spagnole arse dal sole e dalla luce così intensa, scoprendo di non assomigliare più al ragazzo che era, rendendosi conto di aver perso la Passione non solo per il Cinema, ma una spinta emotiva verso qualcosa. 


Ritroverà il ciabattino che aveva reso attore e che oggi è convinto di essere il vero Don Chisciotte (Jonathan Pryce), ritroverà cresciuta la ragazza che all'epoca era appena quindicenne e cercherà di ritrovare se stesso. 
Il tutto combattendo con avidi produttori, oscuri e malvagi finanziatori russi, subdoli gitani, mogli fedifraghe e padri vendicativi, maschere e personaggi che mischiano la realtà e la fantasia.

 

È difficile raccontare il film perché è il film stesso che ci viene raccontato a pezzi, saltando da un tempo all'altro, passando dal sogno alla realtà alla rappresentazione al cinema, muovendosi in continuazione ad alta velocità e non dandoci troppo tempo per capire dove e cosa stiamo guardando.  

 

Ma è evidente che il discorso che vuole farci Gilliam sia una riflessione sull'arte e su cosa voglia dire essere artista. 


Su cosa vogliamo dimenticarci e cosa invece è giusto proteggere e mantenere, che sia la scintilla negli occhi di un giovane cineasta o l'amore di una donna conosciuta da bambina e poi perduta. 

 

Sull'energia, l'innocenza, la passione dei vent'anni che vengono poi mangiate e masticate dall'industria, dal denaro, dalla noia. 

 

 


Con L'uomo che uccise Don Chisciotte Terry Gilliam vuole anche dirci che l'arte può fare del male, può distruggere delle esistenze per colpa delle illusioni provocate: i personaggi di Angelica e Don Chisciotte non sono usciti indenni dall'incontro con il regista dieci anni prima, anzi. 

 

L'arte li ha elevati, li ha usati e li ha fatti cadere. 

 

Per motivi diversi entrambi hanno finito per condurre una vita non propria, continuando ad interpretare un personaggio (lui palesemente rintontito dall'età e dagli inganni, lei facendo il lavoro meno edificante che una donna possa arrivare a fare) ma senza essere davvero ciò che sono. 

 

I film, come ha detto lo stesso Gilliam durante la presentazione del film, "sono pericolosi".  

 

 

 

 

Tutto il film gioca su questa sovrapposizione di piani multipli, su quello che è e quello che non è, quello che sembra e quello che viene rappresentato, sul sogno che sembra reale e sulla realtà che si trasforma in un sogno, e c'è veramente di tutto: c'è il set del cinema con le sue lungaggini e i suoi contrattempi, c'è il teatro, c'è il film proiettato su una tenda dentro una carrozza, c'è il circo, ci sono le ombre fatte con la luce di un fuoco e ci sono le maschere sotto le quali si può nascondere chiunque... c'è addirittura la televisione con il DVD. 

 

Questa opulenza di richiami e rimandi non è scevra da cadute di tono, come spesso accade nei film di Gilliam: un primo atto spettacolare lascia spazio a un secondo più appoggiato, meno roboante anche se nelle intenzioni vorrebbe esserlo di più e qualche trovata non funziona perfettamente. 

 

Anche l'accennato riferimento ai potenti produttori che trattano le donne come proprietà personale, Jordi Mollà con Joana RibeiroStellan Skarsgård con la splendida Olga Kurylenko, pur se attuale e "weinsteniano" è fin troppo palese e risulta banale. 


Ma ci sono delle invenzioni e delle idee visive meravigliose e immaginifiche e un terzo atto che raggiunge l'apice del "Cinema dentro al Cinema", dove tutto si mischia e si trasforma e si compie e ricomincia da capo.

 

 

 

 

Il personaggio di Adam Driver compie un arco difficile ma credibile pur non discostandosi molto dal cliché dell'artista che ha perso se stesso, e in questo l'attore è davvero straordinario; il resto del cast (fatto salvo un Jonathan Pryce che fisicamente sembra nato per il ruolo) fatica a stargli dietro.

 

Driver/Toby corre, scappa, rincorre, si nasconde, si rivela e si ribella fino a giungere al terzo atto completamente trasformato, dove il tipico sguardo sbilenco e fuori bolla di Gilliam, con il fido Nicola Pecorini alla fotografia, trova la sua più riuscita rappresentazione. 

 

Le lenti anamorfiche - il formato del film è un 2.35:1 che però dà l'impressione di essere ancora più panoramico - vanno a distorcere luoghi e ambienti e torniamo a vedere il volto disorientato del protagonista in primissimo piano. 


Qualcosa che già conosciamo per averla vista in Brazil sullo stesso Jonathan Pryce, su Bruce Willis ne L'esercito delle 12 scimmie, su Johnny Depp in Paura e Delirio a Las Vegas, su Robin Williams ne La Leggenda del re Pescatore, sul protagonista doppio, triplo, quadruplo di Parnassus e su Christoph Waltz in The Zero Theorem

 

Quelle facce stralunate, spaesate, che non trovano ragione di ciò che gli accade intorno o che, se la trovano, è una ragione altra, che va al di là di loro e che al momento non comprendono e forse non sono interessati a farlo.


Un segno distintivo inconfondibile. 

 

 

 

 

Ma questa volta Terry Gilliam decide di metterci ancora di più: se all'inizio ho detto che il film racchiude tutto Gilliam è perché nel film c'è davvero tutto Gilliam. 

 

C'è un cavaliere minaccioso come nel re pescatore, che qui non sputa fuoco ma riflette mille volte la luce del sole, c'è un Jonathan Pryce in armatura come il Sam di Brazil, ci sono i salti temporali come L'esercito delle 12 scimmie e Banditi del Tempo, c'è l'elemento fiabesco presente in tutta la sua filmografia e c'è anche il ritrovamento dei personaggi in altri panni, come ne Le Avventure del Barone di Munchausen

 

E anzi Gilliam va ancora più indietro perché, e non posso averlo notato solo io, a un certo punto dal nulla spunta anche l'inquisizione spagnola, quella che "nessuno si aspetta" di un famosissimo sketch dei Monty Python.

 

Il regista si rivede nel personaggio di Toby e il discorso tocca anche il modo di fare Cinema oggi, ma appare evidente che si riveda anche nello stesso Don Chisciotte: 25 anni per portare a termine un progetto equivale a combattere una vita contro i mulini a vento. 

 

E se nei titoli di coda il direttore della fotografia, che sul set è il numero 2 dopo il regista, viene accreditato come "Nicola Sancho Pecorini" allora l'identificazione è dichiarata. 

 

 

 

 

Ha il sapore di un lascito, L'uomo che uccise Don Chisciotte, come se Gilliam volesse dirci che questo è il suo film


Ma non lo dichiara e nemmeno vuole spiegare nulla, sia nella vita che nella finzione: chi presentava la serata a Milano il 27 settembre al Cinema Anteo CityLife gli ha rivolto la domanda diretta

"Vuole darci una chiave di lettura del film?"

sentendosi rispondere con un secco 

"No! ...dovete pensarci da soli!"

Uno scrosciante applauso ha sottolineato le parole del regista.

Che proprio nel film lo fa dire al suo Don Chisciotte: "Pensi che spiegare... spieghi tutto?"

 

Perché in un film come questo non c'è nulla da spiegare: c'è solo da farsi trasportare, ammaliare e affascinare, perdonando le imperfezioni con affetto, ricordandoci quanto è stato cercato e voluto, quanta fatica e quanti anni sono stati impiegati per portarlo davanti ai nostri occhi, per farci viaggiare con il Cinema dentro al Cinema e attorno al Cinema, per guardare il grande schermo e ridere, partecipare, commuoverci. 


Perché Terry Gilliam è uno degli ultimi grandi visionari della Settima Arte, e come dice il suo protagonista cavalcando al tramonto 

"Io sono Don Chisciotte, e sono destinato a vivere per sempre". 

 

 

[tutte le foto dell'articolo, compresa la copertina, sono di Diego Lopez Calvin - Tornasol Films, per gentile concessione di M2 Pictures;

qui sotto le riprese della presentazione di Terry Gilliam a Milano, il 27 settembre 2018 presso il cinema CityLife Anteo]

 

 

Chi lo ha scritto

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8 commenti

Teo Youssoufian

6 anni fa

lo trovi nella pagina del film 😉

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Daniele Besana

6 anni fa

Eh, immagino! Io sul momento l'ho letta "solo" come un indicatore del passaggio temporale...alla fine... (spoiler)
.
 
.
 
 ...si stava parlando di improbabili terroristi islamici, mi stavo aspettando da un momento all'altro il salto ai mori secenteschi...

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Teo Youssoufian

6 anni fa

io sono scoppiato a ridere perché è stato il primo pensiero! 
anche perché in quel momento davvero "non me l'aspettavo" l'inquisizione spagnola! 😂

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Teo Youssoufian

6 anni fa

grazie ❤️

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Ambra

6 anni fa

Applausi❤️

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Daniele Besana

6 anni fa

Non posso che essere d'accordo con te come con Teo! Assistere finalmente alla proiezione di questo film è stata una vera e grande emozione, un'esperienza che andava oltre la semplice visione: come si dice anche nella recensione, non si può davvero scindere questa pellicola da tutte le peripezie - conoscendole -  che ha passato per vedere la luce; è un film a cui ho scoperto di tenere visceralmente dal primo fotogramma e forse anche da prima, un po' come fosse un caro amico che rivedi (cambiato) dopo molti anni..

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Teo Youssoufian

6 anni fa

'zzo, scrivere alle 4 di notte non è mai un bene! 😅
correggo subito, grazie!

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