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La regina degli scacchi: la rivincita degli scacchisti (e non solo)

Uno sguardo alla miniserie Netflix

Nel 1983 lo scrittore statunitense Walter Tevis diede alle stampe il romanzo The Queen's Gambit (noto in Italia con il titolo La regina degli scacchi).


Per chi non lo sapesse, alcuni romanzi di Tevis hanno dato spunto a diversi film, fra i quali si segnalano Lo spaccone (Robert Rossen, 1961), il suo sequel Il colore dei soldi (Martin Scorsese, 1986) e L'uomo che cadde sulla Terra (Nicolas Roeg, 1976).

 

 

[Lo scrittore Walter Tevis]

 

 

Un autore dunque molto apprezzato dal mondo del Cinema; per questo era solo questione di tempo prima che anche La regina degli scacchi ottenesse una trasposizione audiovisiva.

 

Ci andò vicino Heath Ledger: catturato dalla storia, l’attore voleva portarla sul grande schermo pensando ad Elliot Page come protagonista della pellicola.

Come è risaputo, nel gennaio del 2008 Ledger morì e di conseguenza anche il progetto si arenò.

 

 

La regina degli scacchi avrebbe potuto essere il suo esordio alla regia, ma le cose purtroppo sono andate diversamente.

 

 

[L'attore Heath Ledger]

 

 

Per alcuni anni non si è più parlato di tale trasposizione, fin quando nel 2019 Netflix non ha dato avvio alla realizzazione del progetto, ingaggiando Scott Frank (che aveva già collaborato con la compagnia per la miniserie Godless del 2017) come regista e sceneggiatore; la parte della protagonista è stata invece affidata ad Anya Taylor-Joy, nota soprattutto per la sua partecipazione all'horror The Vvitch, diretto da Robert Eggers nel 2015.


Con l'avvento di Netflix è cambiata anche la tipologia del prodotto: non più un film ma una miniserie, composta da sette episodi.

Tale struttura ha sicuramente permesso uno sviluppo più articolato del racconto.

 

La regina degli scacchi ruota attorno alla figura di Elizabeth Harmon, orfana del Kentucky dotata di grande talento per il gioco degli scacchi.

 

 

A questa naturale inclinazione ben presto si accompagnerà la dipendenza da psicofarmaci e alcool; un mix esplosivo, questo, che porterà Beth sull'orlo del precipizio: riuscirà la ragazza a riprendere il controllo della sua vita e battere la sua nemesi, il campione russo Vasily Borgov?

 

[Il trailer de La regina degli scacchi] 

 

 

Innanzitutto, è necessario smontare un pregiudizio che aleggia su La regina degli scacchi, per cui tale serie può essere apprezzata solo da chi sa giocare a scacchi: non è (completamente) vero.

 

Conoscere la differenza fra le diverse strategie, come la difesa siciliana e il gambetto di donna (tipo di apertura che dà il titolo originale alla serie) può garantire una visione più soddisfacente, ma oltre alle torri, agli alfieri e ai re c’è di più per cui emozionarsi.


E quel “di più” è Anya Taylor-Joy.

Non si può non lodare anche in questa sede la performance dell’attrice: la sua Beth è una ragazzina ingenua, all'apparenza mite, mentre nel suo animo cova lo spirito della competizione e un sentimento di rabbia, dovuto alla sua condizione.

 

Orfana di madre, Beth desidera avere il mondo sotto controllo.

Ma come insegna anche BoJack Horseman il concetto di controllo è un mito.

 

Se la protagonista non può plasmare il mondo a sua immagine e somiglianza, sono gli scacchi a soddisfare il suo bisogno di ordine, concedendole anche il modo per riscattarsi.

 

 

[Anya Taylor-Joy nei panni di Beth Harmon, protaagonista de La regina degli scacchi]

 

 

Riscatto individuale che va a intrecciarsi col riscatto sociale: la serie è ambientata negli anni '60, in cui la donna è ancora vista dagli altri perlopiù come angelo del focolare domestico: stando a quello che viene insegnato a Beth e alla sua amica Jolene (Moses Ingram) nell'orfanotrofio dove crescono, le mansioni principali riservate al sesso femminile riguardano principalmente la cura della casa e degli affetti familiari.

 

Beth però è troppo dotata e intelligente per sottostare ai diktat della società a lei contemporanea.

Gli scacchi e le sue regole, a lei insegnate dal custode dell'orfanotrofio Mr. Shaibel (Bill Camp), le saranno utili per sovvertire l'ordine costituito.

 

 

[La piccola Beth, interpretata da Isla Johnston, gioca con Mr. Shaibel]

 

 

Se già è difficile emergere come donna in un contesto simile, è ancor più difficile per una ragazzina imporsi nel mondo degli scacchi, dominato da figure maschili: in progressione Beth dovrà vedersela con il campione del Kentucky Harry Beltik (Harry Melling), con il campione degli Stati Uniti Benny Watts (Thomas Brodie-Sangster) e con il campione del mondo Vasily Borgov (Marcin Dorcinski).

 

Con i primi due l’ostilità si trasformerà in amicizia, ma lo scontro col terzo rappresenta il duello USA - URSS su scala ridotta: siamo nel periodo della guerra fredda, e anche ne La regina degli scacchi è impossibile trascurare questa rivalità internazionale.

 

 

[Il primo incotro fra Beth e Borgov]

 

 

A complicare la scalata al successo c'è poi la già citata dipendenza da psicofarmaci e alcool: La regina degli scacchi è dunque l'ennesima variazione sul tema della genialità che si accompagna alla sregolatezza.

 

Gli scacchi danno molto a Beth ma le chiedono altrettanto: mossa dopo mossa, partita dopo partita, la sua vita sembra inaridirsi e quel fuoco interiore che doveva alimentarla divora lentamente lei e ciò che la circonda.

 

 

[Beth in evidente stato confusionale]

 

 

Taylor-Joy è pertanto eccezionale nel restituire le contraddizioni di Beth: campionessa nel gioco degli scacchi, molto più debole e vulnerabile nel gioco della vita.

 

Come già anticipato, dopo Beth sono gli scacchi ad essere protagonisti.

 

Un gioco ritenuto noioso dal grande pubblico trova ne La regina degli scacchi il suo momento di gloria e la sua sublimazione.

 

 
 
 
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[La trasformazione di Anya in Beth per La regina degli scacchi]

 

 

Le partite (ispirate a incontri realmente avvenuti) risultano più avvincenti di quel che si possa credere, anche grazie ad alcune scelte di fotografia e montaggio - split screen in primis - certo non innovative, ma efficaci.

 

Gli scacchisti non sono trattati soltanto come anonimi giocatori, diventando inaspettatamente simili a rockstar, come Beth avrà modo di constatare nel suo soggiorno in Russia.

 

In generale, è tutto il comparto tecnico a innalzare la qualità della miniserie.

I costumi riflettono i look maschili e femminili dell'epoca, avendo spesso come modello capi disegnati proprio negli anno ‘60; nel caso di Beth, essi sono anche un evidente indicatore del suo status sociale.

 

Anche la colonna sonora, che affonda le proprie radici nel genere della musica classica, segue passo dopo passo l’evoluzione di Beth, amplificando i suoi stati d’animo o le tensioni che scaturiscono da incontri all’ultimo pezzo, come ha spiegato il compositore americano Carlos Rafael Rivera.

 

[Il tema musicale principale de La regina degli scacchi]

 

 

La regina degli scacchi ha debuttato su Netflix lo scorso 23 ottobre e in quattro settimane ha fatto segnare il record di visualizzazioni per la piattaforma streaming, sorpassando la quota di 62 milioni.

Non sono i numeri a decretare la grandezza di un film o di una serie televisiva, eppure tale record qualcosa deve pur significare.

 

In questo caso, significa che il pubblico ha premiato la bontà del prodotto.

 

 

[Beth in compagnia di Benny Watts]

 

 

In conclusione non voglio utilizzare per La regina degli scacchi il termine "capolavoro", ormai abusato; mi limito a dire che a mio avviso questa è una delle migliori serie del 2020 e - perché no - degli ultimi anni.


A dimostrazione di come Netflix sia bravissima, secondo il giornalista americano Lucas Shaw, a raccontare storie che riguardano aspetti specifici del mondo in cui viviamo.


E, dopo aver visto La regina degli scacchi, andiamo a tirare fuori la scacchiera dall'armadio.

 

 

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