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Come annunciato da diversi mesi, è in fase di lavorazione un biopic su Hulk Hogan, forse il lottatore di wrestling più celebre della storia, nella cui canotta gialla si calerà Chris Hemsworth.
La futura uscita del film, che verrà distribuito da Netflix, rafforzerà ulteriormente l’esistente legame fra Cinema e wrestling, un’arte e una disciplina che hanno in comune più di quanto si potrebbe pensare.
Prima di dedicarci a parlare del tema, è doverosa una breve introduzione sul wrestling e sul suo funzionamento.
[Hulk Hogan vs. Rocky Balboa: lo spiezzerà in due?]
Partiamo dalle basi: per quei pochi lettori che ancora non lo sapessero: ciò che accade in uno show di wrestling è predeterminato.
I match sono coreografati, i segmenti extra-ring sono concepiti a tavolino, i lottatori interpretano un personaggio (generalmente face o heel, buono o cattivo).
Ogni momento dello spettacolo viene discusso da un team creativo, che decide quali lottatori devono vincere gli incontri, quali rivalità devono manifestarsi, chi deve dire cosa al microfono.
[Anche l'imponente André the Giant è stato attore: qui in La Storia Fantastica]
A questo punto, le somiglianze col Cinema dovrebbero essere lampanti: i lottatori, come gli attori cinematografici, seguono un copione, scritto da un gruppo di sceneggiatori deputati allo sviluppo delle storie mostrate di settimana in settimana.
Per essere un buon wrestler non basta quindi solo la bravura sul ring, la capacità di rendere credibili i colpi dati e ricevuti (senza possibilmente farsi male, anche se l’infortunio è sempre dietro l’angolo); serve anche quella che negli USA definiscono mic skill: l’abilità oratoria.
Naturalmente, se si vuole godere a pieno dell’esperienza che il wrestling può offrire, lo spettatore deve - detto in parole parole - credere alla veridicità di quanto viene raccontato, ignorando la finzione che si cela dietro.
E non è forse lo stesso meccanismo al quale ci affidiamo mentre guardiamo un film?
Nessuno, nel bel mezzo della visione di Bastardi senza gloria, penserebbe a sottolineare il carattere antistorico della morte di Adolf Hitler.
Chiaramente sappiamo che in Mamma ho perso l’aereo non è un vero film quello che Kevin guarda alla televisione, eppure davanti allo schermo siamo convinti del contrario; e che dire degli scheletri di Poltergeist, che… Ops, no: quelli erano veri!
[Ma NoN è AcCadUtO DaVveRo!!!]
Fino agli anni ‘90, nell’allora WWF (poi diventata WWE, con la E che sta per Entertainment, il che è tutto dire), c’era grande impegno per mantenere la Kayfabe.
Dicesi Kayfabe (definizione tratta dall’utile dizionario redatto da Tuttowrestling) “l’abitudine - diffusa nel mondo del wrestling - di non far trapelare all'esterno dell'ambiente del wrestling stesso tutti i segreti, per far sì che gli show siano più realistici possibile”.
Questo atteggiamento è andato via via sgretolandosi nell’ultimo ventennio.
Come il Cinema, anche il wrestling nacque alla fine del XIX secolo, anche se i primi incontri furono organizzati non in Europa bensì oltreoceano; i primi contatti fra i due mondi avvennero poi negli negli anni ‘50 e ‘60 del ‘900, ma sono gli anni ‘80 a rendere saldo il rapporto che perdura ancora oggi.
In particolare, diversi sono i lottatori che hanno legato il proprio nome a opere cinematografiche destinate ad avere grande successo ai botteghini e non solo: fra questi, ricordiamo Hulk Hogan, Jesse Ventura e Roddy Piper.
Nel 1982, Hogan partecipò a Rocky III (Sylvester Stallone, 1982): un piccolo ruolo quello di Thunder Lips, combattente che Rocky Balboa sfida in un match d’esibizione, tuttavia importante per la spinta in termini di popolarità presso il pubblico. Due anni dopo, l’Hulkster diventò per la prima volta campione del mondo in WWE.
Jesse Ventura, soprannominato The Body per il suo fisico scultoreo, prese parte a Predator, film action del 1987 di John McTiernan: il lottatore recitò - a fianco di Arnold Schwarzenegger - nelle vesti di Blain, uno dei soldati che si ritrovano a fronteggiare la temibile creatura aliena in una giungla dell’America Centrale.
Sua è una delle battute che hanno contribuito a rendere il film un cult: “Non ho tempo per sanguinare”, ad oggi senza dubbio una delle frasi più celebri del Cinema action.
[Jesse Ventura non ha tempo per sanguinare]
L’anno successivo fu Roddy Piper, riottoso wrestler canadese (nonostante entrasse in scena con kilt e musica scozzese) a recitare davanti alla cinepresa per Essi vivono di John Carpenter, certamente uno dei film più riusciti del regista statunitense.
Alla morte di Piper, avvenuta nel 2015, Carpenter lo ricordò come grande lottatore e soprattutto grande amico.
Chi incarna alla perfezione il binomio lottatore-attore è ovviamente The Rock, all’anagrafe Dwayne Johnson: il People’s Champ era dotato di un carisma fuori dal comune, che lo rese un simbolo della Attitude Era, probabilmente il periodo di massimo splendore della WWE, in cui gli show della federazione di Stamford proponevano contenuti per un pubblico adulto, allontanandosi dal mood cartoonesco e patinato degli anni precedenti.
Ebbene, le qualità di The Rock non passarono inosservate agli occhi degli studios cinematografici: nel 2001 la Universal Pictures propose a Johnson di partecipare a La Mummia - Il ritorno, sequel del fortunato La Mummia, diretto da Stephen Sommers qualche anno prima.
The Rock accettò e interpretò la parte del Re Scorpione.
Con grande successo, a giudicare da quel che accadde dopo: l’anno seguente fu dedicata una pellicola esclusivamente al Re Scorpione, con The Rock mattatore assoluto. Il resto è storia.
Oggi Dwayne Johnson è divenuto uno degli attori più pagati di Hollywood (il più pagato nel 2019, secondo la rivista Forbes), diventando un’icona del cinema action contemporaneo grazie alla sua presenza in franchise come Fast & Furious e Jumanji.
Da segnalare anche l’ascesa di Dave Bautista, pluricampione WWE che prima ha ottenuto critiche favorevoli per le sue prove nel Marvel Cinematic Universe (ricoprendo il ruolo di Drax, uno dei Guardiani della Galassia), per poi approdare al Cinema d’autore lavorando con Denis Villeneuve in Blade Runner 2049.
Chi sta cercando di ripercorrere le orme di The Rock senza ottenere la stessa fama - almeno in ambito cinematografico - è invece John Cena, protagonista di alcuni film prodotti dalla WWE Studios.
La WWE possiede anche una casa cinematografica, che garantisce alle sue stelle apparizioni sul grande schermo e che ha recentemente realizzato insieme ad altri produttori Una famiglia al tappeto (Stephen Merchant, 2019) progetto biografico sulla figura di Paige, una delle lottatrici più influenti degli ultimi anni con protagonista Florence Pugh.
Il wrestling, dunque, non solo presta i suoi performer al mondo del Cinema, ma può anche essere argomento trattato dal Cinema stesso.
In questo caso, l’esempio più fulgido che si possa fare è The Wrestler, toccante pellicola diretta da Darren Aronofsky nel 2008 e vincitrice del Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia.
The Wrestler mostra uno spaccato della vita di Randy “The Ram” Robinson, atleta dal passato glorioso ma ormai sul viale del tramonto.
A seguito di un infarto, Randy smette col wrestling, cercando di vivere un’esistenza tranquilla e recuperare il rapporto con la figlia Stephanie, trascurata a causa del suo lavoro; quando però si accorgerà che la normalità non fa per lui, accetterà un ultimo match, ben consapevole che potrebbe essere l’ultima corsa a causa delle sue precarie condizioni fisiche.
Nel film di Aronofsky la cinepresa scende dal ring, percorre la rampa d’ingresso per poi entrare nel backstage: la pellicola allestisce una rappresentazione cruda e lucida di un mondo fatto non solo di luci e di folle festanti, ma anche di ombre, di dolore e di demoni (che prendono spesso la forma di droghe e sostanze dopanti).
Mickey Rourke è convincente nei panni di Randy, uomo spezzato nell’animo e in cerca di un riscatto che solo il ring può dargli.
Il wrestling - o comunque una sua variante - ha una discreta importanza anche nel primo Spider-Man di Sam Raimi, datato 2002.
La sequenza della lotta nella gabbia fra Peter Parker (Tobey Maguire) e Bone Saw (il quale altri non è che "Macho Man" Randy Savage, wrestler in auge negli anni ‘90) sembra marginale, ma va ricordata per almeno due motivi: innanzitutto, segna il debutto di Peter con la celebre tuta blu e rossa (sebbene sia ovviamente un rudimentale prototipo); inoltre, il mancato intervento del protagonista nella rapina ai danni del promoter dell’evento innesca la catena degli eventi che porterà alla morte dell’amato zio Ben.
[L'Uomo Ragno sfida Sega Ossa McGraw: dream match]
Chi è in cerca di leggerezza potrebbe allora gustarsi (il condizionale è d’obbligo) Super Nacho (Jared Hess, 2006), in cui un monaco si improvvisa luchador per una nobile causa: film demenziale, esso si basa per lo più sulla fisicità e sui tempi comici del protagonista Jack Black.
In chiusura di questa breve carrellata, è doveroso accennare a L’altra sporca ultima meta, firmato nel 2005 da Peter Segal.
Remake di Quella sporca ultima meta, lungometraggio del 1974 di Robert Aldrich, questo film con protagonista Adam Sandler è peculiare per il suo cast: vi recitano infatti contemporaneamente vecchie (ma non troppo) glorie del wrestling come Goldberg, Kevin Nash, Steve Austin e The Great Khali.
Il film in sé è a mio avviso dimenticabile, ma gli appassionati sicuramente dovrebbero dargli una chance: se non vogliono farlo per la qualità del prodotto, lo facciano almeno per Da Man e Stone Cold.
E ora non ci resta che attendere il biopic su Hulk Hogan: cosa faremo quando l’Hulkamania si scatenerà su di noi?
Andremo al cinema, naturalmente!
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4 commenti
Marco Batelli
1 anno fa
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Marco Batelli
4 anni fa
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Valerio Dp
4 anni fa
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Marco Batelli
4 anni fa
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