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''La distinzione tra passato, presente e futuro è solo un’illusione ostinatamente persistente'': questa citazione di Albert Einstein si presenta come epigrafe di Dark, e forse ne rappresenta tutta l’essenza.
In Dark tutto ruota attorno alla concezione di tempo e alla percezione che abbiamo di esso.
Ma andiamo con ordine, anche se per quanto vi sembrerà assurdo il messaggio di fondo della serie è che non esiste un vero ordine.
2019.
La cittadina tedesca di Winden viene travolta - oltre che dalla manifestazione di bizzarri fenomeni - dalla misteriosa scomparsa prima di un ragazzo e poi di un bambino nelle vicinanze di una caverna nella limitrofa foresta.
Le indagini della polizia scoprono che esiste un legame proprio tra la caverna, la centrale nucleare che sovrasta la città e il recente ritrovamento di un cadavere.
Piccolo dettaglio: il corpo appartiene a un bambino scomparso 33 anni prima, ma l'età sembra essere la stessa di quella che aveva al momento della sparizione.
[Un allegro scorcio della periferia di Winden]
E qui entra in gioco il fulcro della trama: i viaggi nel tempo.
Grazie a questo espediente narrativo in Dark si assiste al passato e al futuro delle quattro famiglie protagoniste in sei diverse epoche, tutte scandite da 33 anni di distanza l’una dall’altra.
Questa, però, non è una semplice differenza numerica ma un vero loop temporale, un ciclo che si ripete ogni 33 anni e si abbatte su Winden e i suoi abitanti.
Proprio come un anatema.
Esattamente per questa ragione, uno dei motivi per cui trovo Dark molto interessante e affascinante è il fatto che ponga come concetto di base della propria narrativa la circolarità del tempo.
Una nozione per la quale passato, presente e futuro non sono causa né conseguenza dell’altro, bensì un tutt’uno dove - proprio come in un cerchio - non si riesce a definire quale sia l’inizio e quale la fine.
Nel mondo rappresentato da Dark per quanto si tenti di modificare degli aspetti di una linea temporale per migliorarne un’altra, tutto rimane esattamente come prima, perché tutto fa inevitabilmente già parte dello stesso ciclo.
E quale sarebbe un posto migliore per ambientare tutto ciò se non la piccola località di Winden (che in tedesco si può tradurre appunto come “intrecciare”) in cui le vite della maggior parte dei cittadini sono interconnesse da decenni?
Questa cittadina rappresenta la migliore allegoria del circuito chiuso dal quale sembra impossibile uscire, come in un destino già scritto.
Ma lo è anche letteralmente: le piccole realtà urbane sono proprio quelle che di solito recludono le vite delle persone, spesso senza una reale via d’uscita.
Se Dark fosse stata ambientata in una città di maggiori dimensioni l’effetto certamente non sarebbe stato lo stesso.
Ed è esattamente per la presenza di molteplici linee temporali, personaggi e gli intrecci fra di loro che Dark è stata definita ostica.
Ma niente di così complicato è stato allo stesso tempo altrettanto chiaro, soprattutto per certi accorgimenti di scrittura e di produzione.
Dark è stata co-creata, scritta e diretta per Netflix dalla coppia di fidanzati formata dal regista Baran bo Odar e dalla sceneggiatrice Jantje Friese (per capire quanto sia produttivo ideare e scrivere una serie di successo sotto lo stesso tetto citofonare a casa Nolan-Joy e chiedere di Westworld).
I due – assieme all’aiuto occasionale di altri quattro sceneggiatori – sono riusciti a produrre uno script molto attraente e solido.
I personaggi non sono sempre convincenti ma tutti gli sviluppi attorno le loro vite, anche quelli all’apparenza più assurdi, vengono giustificati sempre in modo coerente e sensato.
A supporto di ciò un casting quasi perfetto che, al fine di impersonare gli stessi personaggi in epoche diverse, ha individuato degli interpreti con delle impressionanti somiglianze tra loro.
La fotografia caratterizzata da movimenti di macchina fluidi e lenti, che si sofferma spesso sui primi piani degli attori, riesce nella doppia impresa di descrivere perfettamente - con l’aiuto di una scenografia impeccabile - i toni delle differenti ambientazioni storiche passate e future e rendere il più cupo, angosciante e opprimente possibile la realtà del presente in cui ogni personaggio si sente intrappolato e impotente davanti a degli avvenimenti che vorrebbe ma non riesce a cambiare.
La regia, d’altro canto, non è da meno: Baran bo Odar, regista di tutti e ventisei gli episodi, opta per una regia pacata e molto introspettiva lasciando che certi silenzi siano più significativi dei dialoghi.
Ad ogni modo, il complesso degli aspetti di produzione appena citati (ai quali aggiungerei anche una presenza quasi impercettibile di ironia) è tipico della cultura tedesca contemporanea e, a mio modesto avviso, penso sia degno di nota il fatto che abbia spopolato a livello internazionale in un panorama televisivo monopolizzato dalle major statunitensi.
Recentemente Dark è stata infatti scelta dagli utenti del sito aggregatore cinematografico Rotten Tomatoes come la migliore serie originale di Netflix di sempre, battendo concorrenti come Stranger Things, House of Cards e Mindhunter.
[Da sinistra a destra: il regista Baran bo Odar e la compagna, la sceneggiatrice Jantje Friese, creatori e sceneggiatori della serie]
In Dark viene effettuata anche una sagace, interessante e accurata operazione di simbolismo.
L’emblema principale e più ricorrente per indicare gli spostamenti temporali è la triquetra, che oltre a rappresentare le tre epoche in cui si svolge la trama della prima stagione, è un simbolo antichissimo legato al numero tre e in termini spirituali ricopre il significato di nascita, morte e rinascita e in quelli religiosi la Trinità divina.
In entrambi i casi, tutti gli elementi sono strettamente interconnessi fra loro creando un’entità unica, proprio come si può evincere graficamente.
Il cosiddetto ‘numero perfetto’ in Dark si ripresenta spesso anche con il numero 33, scelta non casuale per definire la differenza temporale tra un’epoca e l’altra.
Questo numero “maestro” è presente in maniera trasversale in diverse religioni (soprattutto in quella cristiana, secondo la quale è l’anno in cui Cristo è morto e risorto), ma anche nella massoneria.
[Il simbolo della triquetra a rappresentare le tre linee temporali conesse tra loro in Dark]
A questi simboli ne è connesso un altro, ossia la Tavola di Smeraldo raffigurata nel tatuaggio sulla schiena del personaggio Noah.
Secondo la tradizione questa tavola fu trovata in Egitto prima dell’età cristiana e il testo - secondo alcuni una rivelazione divina - attribuito a Ermete Trismegisto, in cui i Greci identificavano il dio Ermes e gli Egizi il dio Thot: significa letteralmente “Ermete il tre volte grandissimo”, ecco di nuovo il tre, che in base alla leggenda lo incise con un diamante su una lastra di smeraldo.
La traduzione latina fu effettuata nel XIII secolo e non solo cita letteralmente il numero tre, ma verso la fine anche una frase molto ricorrente e utilizzata per diversi motivi nella serie: Sic mundus creatus est (Così è stato creato il Mondo).
Con questa dicitura si vuole proprio evidenziare l’ineluttabilità degli eventi e la profonda interconnessione fra loro.
Il passato e il futuro si condizionano vicendevolmente in un loop infinito.
Altri riferimenti religiosi li possiamo trovare nella scelta dei nomi di certi personaggi, tutti di origine biblica e con un’analogia ben precisa con il loro ruolo in Dark.
Jonas è la traduzione di Giona, il profeta che a causa della disobbedienza a Dio finisce nel ventre di una balena (Jonas finisce in un luogo altrettanto buio, la caverna), Noah che come Noè è intenzionato a creare un nuovo mondo e infine Adam ed Eva, che proprio come i loro omonimi biblici sono i protagonisti di un certo tipo di Genesi.
[Una raffigurazione della Tavola di Smeraldo]
Penso che il punto forte di Dark risieda nella profondità dei temi trattati e declinati in chiave filosofico-scientitifica, che rappresentano la vera anima e il significato della serie.
Essendo una produzione tedesca, gli ideatori e sceneggiatori non potevano fare altro che prendere ispirazione dai lavori dei migliori filosofi e scienziati teutonici, avendo il proverbiale imbarazzo della scelta.
Per supportare l’escamotage dei viaggi nel tempo, viene presentata la teoria del ponte di Einstein-Rosen (detto anche cunicolo spazio-temporale o wormhole) basata sulla teoria della relatività del fisico tedesco.
Un wormhole sarebbe un tunnel spazio-temporale che permetterebbe a un corpo di viaggiare tra due punti distanti nell’universo a una velocità maggiore di quella della luce, e quindi teoricamente anche nel tempo.
Nonostante questa tematica sia stata già abbastanza abusata nel settore cinematografico, la serie la sviluppa in modo rigoroso come solo pochi altri prodotti recentemente hanno fatto sul piccolo e grande schermo: Dark intende spiegare che la complessità dell’esistenza risiede sì ai limiti della logica umana, ma sempre su basi scientifiche e non artificiose.
Inutile dire che la teoria del cunicolo spazio-temporale richiami alcuni paradossi scientifici, un paio dei quali compaiono nella serie.
Il più evidente è il cosiddetto paradosso ontologico della predestinazione o di ‘Bootstraps’, che prevede che le motivazioni alla radice del viaggio del tempo siano causate nella linea temporale d’arrivo dal viaggiatore stesso, formando un ciclo causale in cui non si distingue l’origine dalla fine.
[Il wormhole di Dark]
Questo paradosso viene spiegato attraverso un altro paradosso: quello cosiddetto ‘del nonno’.
Chiunque andasse indietro nel tempo non riuscirebbe a uccidere volontariamente o per caso un proprio avo perché – secondo il principio di autoconsistenza di Igor' Dmitrievic Novikov – il passato è immutabile.
Infatti, se questo diretto parente dovesse morire, non potrebbe procreare la persona che è andata indietro nel tempo ed è stata causa volontaria o meno della sua morte, entrando quindi in un circolo vizioso letteralmente paradossale.
Questo è altresì impossibile, inoltre, perché in una concezione di tempo circolare gli eventi sono determinati allo stesso tempo dal passato e dal futuro.
Anzi, tutti i tentativi di cambiamento degli avvenimenti finiscono per fare accadere gli stessi, proprio come le proverbiali profezie che si autoavverano.
Una possibile scappatoia a questo paradosso può essere tuttavia la teoria del multiverso che sta alla base di tutta la terza stagione di Dark.
Questa teoria fu presentata dal fisico statunitense Hugh Everett III nel 1957 e ipotizza l’esistenza di altri universi coesistenti fuori dal nostro spaziotempo.
In questo modo ogni azione volta a cambiare il passato creerebbe una dimensione parallela all’originale dove effettivamente gli eventi potrebbero accadere in maniera diversa.
Anche per questa ragione si pensa infatti che il numero di queste realtà sia infinito.
[Uno schema del 'Paradosso del Nonno']
Tutte queste teorie ovviamente stravolgono il concetto di causalità naturale, e con essa quella di tempo.
Perché se non esiste una correlazione lineare tra causa ed effetto, non può valere nemmeno il concetto di linearità del tempo.
E se questa certezza viene meno, la base di ogni religione cristiana (immuni invece Buddhismo e Induismo, dove la ciclicità del tempo è un cardine) si disintegra irrimediabilmente.
Ispirandosi a Così parlò Zarathustra di Friedrich W. Nietzsche, Bo Odar e Friese intendono ovviamente che il Dio che "è morto" non rappresenta la religione tout-court, bensì tutte quelle certezze che si pensava governassero il mondo, tra cui proprio la linearità del tempo.
E se il passato e il futuro sono una cosa unica significa che il futuro in quanto tale, in quanto progressione temporale, non esiste.
Non è assolutamente un caso, infatti, che No future sia proprio uno slogan della cultura punk utilizzato anche negli anni ’80, cioè una delle tre linee temporali principali della serie (e difatti viene utilizzato in alcune scene).
Come non si tratta di una casualità il fatto che la prima stagione di Dark sia stata ambientata nel 2019 e non nel 2017, anno di distribuzione della serie: esattamente 33 anni prima il disastro di Chernobyl avrebbe terrorizzato le giovani generazioni e minacciato il loro futuro.
Di conseguenza, si tratta di una scelta mirata e molto simbolica anche quella della presenza a Winden proprio di una centrale nucleare, che tra l’altro fornirà la materia prima per i viaggi tra le varie epoche.
[Il famoso filosofo tedesco Friedrich Wilhelm Nietzsche, fonte di ispirazione per i creatori di Dark]
L’assenza di futuro porta a forti dilemmi morali, come l’esistenza del libero arbitrio.
È proprio questo il messaggio di Dark preso dalla teoria dell’eterno ritorno dell’uguale del filosofo tedesco: se tutto è un continuo divenire infinito perché tutto è già accaduto così come doveva accadere, allora quanto peso hanno le nostre azioni e le nostre decisioni sulle nostre esistenze?
Quale senso e scopo hanno le nostre vite?
Il passato e il futuro sono solo illusioni.
Tutto ciò porta ad un aspetto molto particolare e affascinante: nella serie gli antagonisti sembrano coloro che vogliono modificare determinati accadimenti per fini e motivi personali, ma in realtà lo fanno solo perché ossessionati dalla concezione che hanno del corso degli eventi.
Si può quindi affermare che il vero antagonista sia proprio il Tempo.
La dinamica tra Bene e Male cambia in base all’influenza che il tempo ha sui protagonisti.
Per rendere tutto ancora più coerente, i creatori avevano deciso fin dal principio - scelta più unica che rara al giorno d’oggi in questo settore - che la serie si sarebbe dovuta sviluppare solo ed esclusivamente per tre stagioni, guarda caso giusto il numero perfetto al centro del simbolismo di Dark.
Il finale della serie non tradisce la propria anima: come nel più classico dei cicli, l'ultima puntata inizia esattamente come quella pilota e il numero tre torna a ricoprire un ruolo fondamentale nella soluzione di tutti gli intrecci.
Una soluzione che ci rivela che i confini della nostra mente sono molto più estesi di quanto pensiamo.
Il maggiore pregio di Dark, a mio avviso, sta proprio nell’indicare allo spettatore una riflessione esistenziale attraverso il pretesto del funzionamento scientifico del tempo.
Una riflessione non solo su quanto sia limitata la nostra percezione della realtà, ma anche sul rapporto che abbiamo con il tempo in generale e i sentimenti che le sue conseguenze ci provoca: la rabbia dopo essersi resi conto di avere sbagliato e voler tornare indietro, la tristezza causata dalla nostalgia per il passato, il dolore per aver perso definitivamente una persona cara e la paura per qualcosa che sappiamo che prima o poi dovrà arrivare anche per noi.
Un invito a prendere piena consapevolezza di tutti questi limiti e trovare il coraggio di vivere nel presente.
"Un uomo può fare ciò che vuole, ma non può volere che ciò che vuole".
[Arthur Schopenhauer]
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1 commento
Jacopo Troise
4 anni fa
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