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Ho visto la vita [quando ho scritto tutto ciò non potevo sapere che avessi anche visto quello che sarebbe stato fino ad ora il mio film preferito].
Potete credermi, chi di voi l'ha visto, che ancora nelle orecchie ho il silenzio di Amour e del suo finale.
Nelle orecchie tutto è ovattato, e fra lo stomaco e la gola ho ancora un nodo amarissimo.
So che piano piano tornerò alla mia giornata, ai miei crucci di universitario sotto tesi, mi si schiarirà la mente e tornerò alla vita.
Ma per il momento, intanto che scrivo, spero rimanga in questa apnea.
Pensavo di commuovermi di più, perché a me hanno sempre commosso le scene finali dei film, dove i vecchi salutano drammaticamente i propri cari e quello che han fatto, ripercorrendo con la memoria le persone della loro vita (penso al finale di Big Fish, o di Youth).
Ma questo Amour è diverso, ed è esattamente come doveva essere.
Non è un film, mi rifiuto di crederlo.
Michal Haneke ci ha mostrato ciò che non meritava di esserlo. Mostrare implica che non ha inventato nulla.
L'ha rivelato.
Perché Amour è perfetto?
Perché non c'è nulla di cinematografico.
Nulla di stucchevole: e certo non mi metterò io - a venticinque anni - a parlarvi dell'amore che dura decenni.
È la sporca, sudicia realtà.
Quella delle case di tutti i vecchi, nei mattini di dicembre, quando chi vive il proprio tempo sta studiando o andando al lavoro e da loro, invece, tutto è cristallizzato da anni in un antico presente.
Pensate all'arredamento delle loro case.
I vecchi la Storia l'hanno abbandonata da un po'.
Amour è perfetto perché alle finestre le tende mostrano sempre quello spiraglio sul mondo di chi è una settimana che è chiuso nella sua casa e gli sembra che quello - il mondo - non esista davvero più (pensate all'aura di un film come The Dreamers, pensate a questi strani giorni di quarantena).
Amour è perfetto perché l'unico momento che riconosciamo come tradizionalmente artistico (quello dei quadri) scopriamo poi essere stato nient'altro che una rassegna dei dipinti che stavano da anni appesi alle loro pareti, ormai anch'essi - come il mondo - cancellati dalla loro attenzione.
Amour è perfetto perché non c'è un movimento di macchina che voglia fare notare la sua presenza, ma piuttosto una lunga catena di inquadrature a camera fissa.
Haneke si mimetizza, scruta, si nasconde, documenta
Amour è perfetto perché non c'è una sola nota di musica extradiegetica (e con tutto il mio cuore ho sperato che non arrivasse nei titoli di coda; non è arrivata).
E questa è la vita, e la sua fine è il più delle volte tutto meno che spettacolare.
Nel silenzio di un'inquadratura fissa Haneke dice cosa succede in casa dei nostri nonni quando dai pianerottoli li salutiamo, chiudono la porta alle nostre spalle, e tornano a indossare la loro espressione stanca di vecchi e a dirsi l'un l'altro quello che si sono detti di nascosto per decenni.
Sono senza parole, ho queste soltanto, e sento che sono esatte, come lo è Amour.