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Il colore venuto dallo spazio - Recensione: un B movie divertente, ma con troppe pecche

Il film di Richard Stanley adatta per il grande schermo un racconto horror di H.P. Lovecraft

Il colore venuto dallo spazio è un film di Richard Stanley che adatta per il grande schermo un racconto horror di H.P. Lovecraft.

 

Lovecraft, scrittore la cui fama è cresciuta con il tempo, divenendo mito per molti lettori e maestro di molti scrittori e registi contemporanei legati alla letteratura e al Cinema horror. 

 

Un autore che non solo ha inventato una mitologia e una branca orrorifica tra le più celebrate e conosciute, ma che è anche uno dei più difficili da trasmigrare verso un altro medium. 

 

La sua scrittura diventa complessa poiché il mito degli antichi e di Cthulhu, un motore immaginifico che unisce molte delle sue opere, vive di non raccontato, di non scritto, di fusione tra conoscenza del nostro mondo e ignoranza totale verso altri, scolpendo i gargoyle di una letteratura che spazia dalla fusione di fantascienza e fantastico, al sovrannaturale.

 

Formando quello stampo orrorifico che, al tempo, non puntava semplicemente a terrorizzare il lettore, ma cercava di farlo levandogli da sotto i piedi le certezze che l'evoluzione che la ricerca scientifica stava portando avanti, insinuando dubbi riguardo la nostra stessa esistenza e il tessuto della nostra realtà. 

 

I suoi orrori sono innominabili, le fattezze degli abomini sono indescrivibili e tutto si racchiude in quella branca orrorifica del racconto assurdo, strambo, della weird fiction che, quando era in vita, non veniva concepita dai suoi contemporanei e che, come anticipato, solo i moderni autori hanno cominciato ad apprezzare. 

 

 

 

 

Lovecraft è sostanzialmente un passo fondamentale per qualsiasi amante del genere ma i suoi lavori sono spesso ritenuti infilmabili, poiché mettere in scena, e quindi tradurre in racconto per immagini un orrore inesplicabile, diventa quantomai complesso. 

 

Come si fa?

Come si descrive una figura mostruosa talmente brutta da trascendere la comprensione umana e quindi divenendo impossibile da descrivere?

 

La domanda tormenta i migliori registi di genere e molti altri appassionati, da decenni. 

 

I film tratti o ispirati dai racconti di Lovecraft sono davvero molti, ma solo una manciata di questi sono ben riusciti o quantomeno meritevoli di essere guardati, anche quando imperfetti, e molti di loro trovano una diversa chiave di lettura per mettere in scena quei miti e quegli archetipi narrativi. 

 

Il Seme della Follia di John Carpenter si siede molto comodamente sul trono di una delle migliori trasposizioni ispirate alla poetica e alla logica orrorifica di Lovecraft di sempre.

 

Un film che mette in discussione la realtà e che via via lungo la trama la sfilaccia sempre di più.

 

 

[Fan art dedicata a Il Seme della follia di John Carpenter]

 

 

La saga di Sam Raimi de La Casa e il suo L'armata delle Tenebre, si basano sul mito del Necronomicon, fittizio libro dei morti che Lovecraft ha disseminato qua e là in molti dei suoi racconti, ampliando quella cosmologia divenuta poi patrimonio di molti altri autori. 

 

I film di Raimi passano da toni orrorifici a toni sempre più sopra le righe, fino a sfociare alla comicità.

 

Il buon Lucio Fulci ha dedicato tre film alla sua passione per Lovecraft e alla letteratura gotica, descrivendo in quella che è poi diventata famosa come Trilogia della Morte la fine del nostro mondo razionale e il sorgere di uno sempre più insano e folle.

 

Paura nella città dei morti viventi...e tu vivrai nel terrore! L'Aldilà! e Quella villa accanto al cimitero, se avete la pazienza di capire che sono opere del 1980 e del 1981, sono un passo essenziale se volete recuperare questa mitologia, approfondendo un horror basato sul distacco dalla realtà in favore di un disfacimento del nostro mondo e la presa di potere di un universo popolato da orrori truculenti.  

 

 

[Da Quella villa accanto al cimitero, di Lucio Fulci]

 

 

Lo stesso Dario Argento, nel girare Inferno, ritenuto in tutto il mondo uno dei film dell'orrore migliori di sempre, ha messo in scena un film dove la realtà non esiste e il disfacimento di questa è il tema portante di tutto il film e la nota che segue durante tutta la narrazione, portando lo spettatore in un luogo inusuale e inaspettato, cancellando ogni connessione con il giallo classico e con la razionalità di molto Cinema horror moderno. 

 

Re-Animator di Stuart GordonThe Bride of Re-Animator e Beyond Re-Animator di Brian Yuzna, tutti tratti dall'opera di Lovecraft Herbert West, rianimatore, sono dei film di culto tra commedia e orrore che ogni amante dell'autore e del genere conosce e, in parte, celebra.

 

Insomma: esistono ottimi film.

 

Ma ce ne sono anche di pessimi e la ragione, per chi vi scrive, si divide tra la difficoltà nel mettere su pellicola una poetica così surreale e astratta e un pubblico contemporaneo troppo spesso intollerante all'orrore e che ingenuamente continua a cercare un filo logico in un genere che, sia chiaro, molto spesso è fantastico e non ha nulla a che vedere con la logica e la razionalità. 

 

 

[Re-Animator va guardato: non per niente ve l'ha consigliato il Fois, il nostro redattore espertone di horror]

 

 

Se desiderate trovarla, evitate anche certi biopic, poiché anche Bohemian Rhapsody è una discreta opera di finzione e invenzione, per non parlare di certi drammi italiani dove il quotidiano è messo in mano a famiglie con interni arredati che nemmeno la messa in scena di Wes Anderson e protagoniti di una situazione sociale economica da far sembrare Blade Runner un film storico. 

 

In Lovecraft il disfacimento di una realtà consolidata e della conoscenza e delle certezze che abbiamo su di essa, soprattutto quando sostenuta da scienza e razionalità, è il tema principale del racconto e pilastro di tutta la narrazione: non va cercata una forma di racconto lineare, logica e che aderisca alla classica struttura di racconto filmico o orrorifico, portandoci invece in un regno dove il carattere, la storia dietro i protagonisti.

 

Non ha molta importanza: quello che conta è l'escalation a condurci verso un orrore sempre più grande. 

 

In un certo senso, tale logica è anche presente nel recente The Lighthouse che tanto avete sentito esaltare sulle pagine e nel podcast di CineFacts.it.

 

Il colore venuto dallo spazio è uno dei racconti più celebrati di Lovecraft nel quale la vita rurale di una famiglia viene stravolta dalla caduta dal cielo di un colore, mai visto, che va via via a distorcere il loro quotidiano. 

 

[Trailer ufficiale de Il colore venuto dallo spazio]

 

 

Il racconto di Lovecraft, uno dei più semplici in termini di complessità di elementi e avvenimenti da portare in scena è al contempo uno dei più difficili, poiché la sola idea di ritrarre un colore che non si è mai visto è decisamente impossibile. 

 

Il regista Richard Stanley decide innanzitutto di non rispettare il tempo del racconto portando tutto al presente: per farlo, per cercare di dare una sfumatura di assurdo e contesto a questo adattamento, decide di descrivere una famiglia rurale americana tagliata fuori dal mondo contemporaneo. 

 

Il capofamiglia, interpretato dal caro Nicolas Cage, è un personaggio improbabile che basa la sopravvivenza della sua famiglia sulla coltivazione di qualche ortaggio e l'allevamento di un gruppo di alpaca, elemento che è presente per tutta la pellicola e funge da grimaldello per diversi momenti assurdamente comici e addirittura per citare La Cosa di Carpenter

 

Il resto del nucleo familiare, escluse le peculiarità del personaggio di Cage, è piuttosto stereotipato: il ragazzetto stonato di erba, la ragazzina dark in contrasto con la sua crescita adolescenziale, il bambino con gli occhiali da vista enormi e la donna in carriera... malata di cancro. 

 

 

 

 

Il primo asino, o forse dovrei dire alpaca, casca proprio con la scrittura de Il colore venuto dallo spazio

 

Perché se non era certamente necessario dare una forte caratterizzazione ai personaggi, come non era necessaro descriverne ampiamente le loro storie personali e i loro contrasti, si rende incredibilmente essenziale giostrarli con mestiere all'interno della pellicola, raccontando anche quelli secondari, interessanti ma anch'essi molto inquadrati in certi stilemi, che per lo più passano di quando in quando lungo il racconto e non hanno una funzione organica ben delineata all'interno degli eventi ma sono un mero, e difettoso, collante a legare il tutto. 

 

La sceneggiatura è poco coesa nella descrizione degli eventi e l'escalation folle alla quale sono soggetti tutti i personaggi, come gli effetti che il colore ha su ognuno di loro, è mal scritta e sbadatamente messa in scena, dimenticando completamente di creare un unico flusso narrativo e semplicemente accorpando una serie di eventi affascinanti ma mal raccontati. 

 

E il primo forte elemento a sottolineare ciò è la presenza di un personaggio che funge da voce narrante ad aprire e chiosare il racconto, ma la cui entrata in scena e il cui impatto sulla storia è quasi inesistente e sembra estraneo, quando invece dovrebbe essere essenziale a tenere insieme il filo della narrazione. 

 

Tutto Il colore venuto dallo spazio non ha a mio avviso il giusto ritmo, non ha i respiri che l'horror dovrebbe avere, soprattutto quando dovrebbe cercare di creare tensione con un mostro visibile, invisibile o sconosciuto - perché fare un omaggio a La Cosa se non lo avete capito?

 

 

 

 

Un personaggio come Ezra, una sorta di sciamano complottista stonato, è sfruttato male nonostante anche il suo apporto all'intera storia avrebbe potuto essere molto più ampio e centrale, per veicolare il mito di queste presenze lovecraftiane. 

 

Un tremendo peccato, considerando come le idee, sulla sceneggiatura de Il colore venuto dalloo spazio, ci fossero. 

 

Tralasciando l'elemento comico offerto dagli alpaca, il personaggio di Cage è perfetto.

 

Un uomo già di per sé disconnesso dalla realtà, e non per motivi sovrannaturali, che incarnando sbadatamente gli ideali più green e tolleranti del presente, quando comincia a perdere se stesso per diventare l'opposto di quello che è e in cui crede, inizia a parlare e muoversi come Donald Trump

 

La figlia, invece, sembra cercare protezione conforto negli scritti del Necronomicon ma nulla ha davvero densità e conseguenza e la sua coscenza di "adepta" al libro dei morti non la porta ad avere alcuna comprensione di quello che sembra stia accadendo attorno a loro.

 

Richard Stanley ha coscentemente preso una via à la Raimi, fondendo la voglia di portare a schermo il vero orrore, con elementi di comicità sopra le righe e ci riesce molto bene per molti versi. 

 

 



Il colore venuto dallo spazio incarna il fascino di tutte quelle produzioni orrorifiche americane di Serie B, piene di idee e soluzioni di narrativa, che portano finalmente al pubblico qualcosa di davvero diverso e che potrebbe ricordare agli appassionati la logica di molto Cinema anni '80 e '90 portato avanti da sopracitati registi quali Brian Yuzna e Stuart Gordon e che ha formato anche un autore tanto fantasioso quale James Gunn.

 

Stanley intrattiene e diverte il pubblico, portandogli una storia di vero stampo lovecraftiano, non dimenticando di mettere in scena decentemente gli abomini e le deformazioni descritte nel racconto, dando al colore la palette del viola, trasformando la casa di campagna della famiglia protagonista in un luogo via via sempre più alieno, alienando gli stessi personaggi e rendendoli sempre più bipolari, folli e senza scordare di riempirli di sangue e affliggerli con deformazioni. 

 

Il colore venuto dallo spazio cade, però, nelle mani poco esperte di Stanley

 

Il film è quello che una volta sarebbe stato chiamato "un film da cassetta". 

Ovvero un film direct-to-video girato da qualche mestierante poco esperto e dal tocco televisivo - che ora ha quasi poco senso dire - e dedicato a un pubblico di irriducibili appassionati del genere e del sottogenere in esame. 

 

Il film non è sempre ben inquadrato e la regia tende a essere piatta - cosa che non direi di Raimi, Gordon o Yuzna - vanificando la bella messa in scena di alcuni momenti e nonostante alcuni practical effect ben fatti e bene inseriti nel contesto. 

 

 

 

 

Inutile dire che il cast de Il colore venuto dallo spazio è praticamente non diretto e Cage, tenuto un po' a freno, funziona quando deve andare sopra le righe e quando deve dare quel senso di calma follia da eroe cult che sorge in alcune scene, ma nelle poche pose nelle quali deve dire le più semplici battute, sembra il fantasma dell'attore che abbiamo visto funzionare in molti altri film. 

 

In definitiva il film riesce a mio avviso a rimanere in bilico tra il brutto e il bello, sospeso tra due regni che semplicemente lo rigettano, costringendolo a vivere in un limbo nel quale possono entrare gli amanti di un certo cinema di genere di Serie B e che non rimarrà sicuramente nel cuore dell'ampio pubblico per via di evidenti difetti che lo minano. 

 

Un film che può piacere anche a chi accetta l'imperfezione di un'opera e di come il Cinema non sia solo stile e classe, di come per divertirsi con un racconto affascinante, a volte, bisogna saper lasciar correre - d'altra parte sappiamo che Internet ha reso famosi film molto più ignobili e davvero realizzati male, come l'insostenibile The Room di Tommy Wiseau. 

 

Il colore venuto dallo spazio è dunque un film che consiglio comunque di vedere perché è dannatamente divertente, di intrattenimento e che racconta una di quelle belle storie dell'orrore che si leggono sotto un plaid in inverno, rievocando il fascino del vecchio che racconta una storia di fantasmi un po' ingenua, ma alla quale crediamo moltissimo poiché ancora bambini.

 

Un film che ha degli evidenti difetti, ma che trova anche il suo fascino nell'essere un B movie dell'orrore con delle belle idee visive e qualche guizzo narrativo, ma una sceneggiatura che in alcuni punti avrebbe giovato di uno script doctor capace di darle più coesione, anche nella follia. 

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