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Leight Whannell scrive e dirige questo nuovo adattamento de L'Uomo Invisibile, riportandoci il mito dell'assassino guantato braccando Elisabeth Moss.
Nel recente passato il Cinema di genere si è schiantato contro il muro di filoni fatti di spettri, tavolette, jumpscare, possessioni, mockumentary e/o found footage, pov e tante altre amenità che sono state impiegate nel peggiore dei modi, cercando di emulare successi di pubblico, e quindi d'incassi, che sono stati più ascrivibili al caso, alla fortuna, agli astri, all'arrivare primi o a una commistione di fattori.
A complicare la faccenda ci si è messo il cinecomic, nello specifico quello Marvel, il cui merito e la cui forza è stata di sdoganare quella cosa fatta spesso per gioco da molti autori, di creare universi condivisi.
La Marvel ha adattato per il Cinema i rudimenti narrativi del comic seriale di stampo americano, portando al pubblico avvezzo alla formula una via del racconto riconoscibile e affascinando chi si avvicinava a quella mitologia tramite i film, introducendoli a una soluzione di storytelling dai larghi intenti.
L'horror, genere che insieme alla fantascienza è pioniere della serialità in sala, ha cercato di andargli dietro, seppur trovandosi a dovere affrontare una nuova generazione di racconto che funziona unicamente nella logica del fumetto e che ha piegato il Cinema alle sue regole per rendere possibile un tipo di massificazione virale unica.
Ovviamente possono esistere delle varianti e la chiave del successo e di una buona comunicazione è saper comprendere uno stilema per poi riadattarlo al proprio stile.
Eppure il Cinema di genere ha deciso di cavalcare le onde di un mare a lui sconosciuto, sfruttando quel genietto chiamato James Wan e sdoganando il Conjuring Universe.
Suona ridicolo.
Perché sostanzialmente lo è.
L'immaginario avviato, involontariamente, da James Wan si compone di alcuni dei film a mio avviso più ridicoli della Storia del Cinema di genere e da The Nun, passando per i tragici Annabelle e approdando a La Llorona, il Conjuring Universe ha stigmatizzato, esattamente come il cinecomic, la struttura dei film paranormali, ripetendo quasi fino al vomito uno stilema che di porta che sbatte in ombra che passa e culminando in volumi eccessivi, fa di carta straccia, per non dire l'altro, il Cinema di genere che tanti, come il sottoscritto, amano.
Il pubblico, anche se ha premiato alcuni di questi con buoni, o anche ottimi, incassi, ha cannibalizzato l'horror, arrivando poi a odiarlo e vomitarlo come spazzatura da luna park, trovandosi a disagio quando viene portato in sala a vedere Suspiria o Noi, cercando in essi cose che non dovrebbero proprio nemmeno annusare nell'aria, quando si parla di genere.
Universal, parlando di universi espansi, ha provato un attacco frontale a testa bassa, ed è stata subito arrestata dalla fredda accoglienza data al suo La Mummia, film che avrebbe dovuto avviare il Dark Universe dei famigerati mostri Universal.
Il problema di quel film, in soldoni, sta nel suo essere strutturato come un action-horror, una sorta di Mission: Impossible post-cinecomic, nel quale Tom Cruise e Russell Crowe non si discostano poi di molto dall'idea di Avengers, ma si allontanano anni luce dal Cinema di genere e dalla molto più interessante idea della Justice League Dark che Guillermo del Toro avrebbe voluto portare a schermo sfruttando i "mostri" dell'universo DC.
Il genere passa in secondo piano, diventando contorno, base di partenza per mettere i mostri in un contenitore appetibile ai gusti del pubblico di massa, cercando di strizzare l'occhio alle loro tasche e al loro amore nel modo più lascivo passibile.
Ci ha provato discretamente M. Night Shyamalan, unendo Unbreakable, Split e Glass, film che avevano in comune una derivazione palesemente fumettistica e che, per vizio di forma, avevano un vantaggio di costruzione della struttura generale dei film e dei personaggi che permetteva il crossover e l'unione degli universi.
Ma, come ho detto, non ha funzionato.
E perché mai avrebbe dovuto?
[Hyde... spacca!]
Questo lo sa benissimo anche Leight Whannell, sceneggiatore e regista di L'Uomo Invisibile, che riporta sul grande schermo il personaggio creato da H.G. Welles.
Leight Whannel, qualora non lo sapeste, è l'uomo che, guarda caso, ha scritto i migliori film del buon James Wan.
Saw, Dead Silence e i tre Insidious, arrivando a dirigere il terzo al posto di Wan, passo necessario che lo ha poi portato a farsi dare un budget per il notevole Upgrade.
Whannell, come ha recentemente dichiarato in un'intervista a Variety, non riesce a sopportare il modus operandi delle produzioni di genere di Hollywood, il cui sistema orbita attorno all'idea di inserire le icone del genere in ruoli assurdi, generalmente quelli più in auge, piuttosto che cercare riscritture degli stessi - come sembra aver fatto il Dracula BBC televisivo.
Nessuno vuole vedere Dracula supereroe e buono di Dracula: Untold.
Nessuno vuole vedere La Mummia agente del governo, Frankenstein madido di sudore e con tartaruga in vista e men che meno Dr. Jekyll in versione Hulk.
[Untold per una buona ragione]
Quello che un buon artista dovrebbe saper fare è prendere l'archetipo narrativo di un personaggio così iconico e potente, come quello di Dracula di Frankenstein o de L'Uomo Invisibile, smontarlo e ricomporlo secondo nuove idee e influenze proposte dal mondo moderno.
Quando non si va incontro a questa revisione, come è già successo in passato, quando la riscrittura non avviene e il personaggio stagna in stereotipi e scritture desuete, entra inevitabilmente la parodia.
Non per nulla John Carpenter lavorò all'adattamento, su commissione e quasi piovutogli tra le mani, di Avventure di un uomo invisibile, vagamente basato su un omonimo romanzo e con protagonista Chevy Chase.
[Non il miglior film di John Carpenter]
Leight Whannell non vuole nulla di tutto questo e rifiutando universi condivisi, riferimenti, trame incrociate e quant'altro, costruisce il suo film partendo dal personaggio inventato da H.G. Wells per creare un reboot della serie, composta da due capitoli, avviata negli anni '30.
La storia de L'Uomo Invisibile è molto semplice: Cecilia, interpretata da Elisabeth Moss, è la compagna di Adrian, un ricco e geniale scienziato le cui manie di controllo su di lei la spingono a inscenare una rocambolesca fuga.
Con l'aiuto della sorella si nasconderà da un amico di famiglia, ma soffrirà le conseguenze e i traumi lasciati dalla malsana relazione, fino a quando non viene a sapere che Adrian è morto suicida, lasciandole una fortuna in eredità.
Cecilia sembra potersi riprendere la propria libertà, ritrovando se stessa e iniziando a combattere i propri traumi, fino a quando la presenza dell'uomo invisibile non arriverà a tormentarla.
Chi è l'uomo invisibile?
Il marito è stato così geniale da ingannare la morte?
Chi le crederà mai?
Lo sceneggiatore e regista sembra essere perfettamente conscio di come uno dei motori del genere sia quello di veicolare i dubbi e le paure riguardo il tempo presente dell'autore.
Come lo zombie moderno inventato da George A. Romero è servito allo stesso autore, come a tutti coloro venuti dopo di lui, per esporre le inquietudini riguardo il mondo moderno e per svelare il vero volto della brava gente della società dei consumi e dell'american way.
Per Whannell l'uomo invisibile diventa occasione di mettere in scena le paure più truci di uno dei mali del mondo moderno: la violenza sulle donne.
L'Uomo Invisibile, anche dalla descrizione della trama, non è nient'altro che una elegante riscrittura del personaggio atta a dare potenza orrorifica nel mondo presente a un personaggio tanto iconico quanto desueto.
Stalking, ossessione, ma soprattutto violenza psicologica, diventano le armi di un mostro che per il mondo è invisibile e che invece è incredibilmente reale e pericoloso per la protagonista, resa via via sempre più impotente e lasciata sola da una società che non riesce a credere in alcun modo alla sua verità.
Il film ha molti pregi e uno su tutti, visto che abbiamo sdoganato il significato portante del film, è quello di non far pesare l'argomento a dare pericolosità e potenza al personaggio.
Uno dei problemi del veicolare la violenza sulle donne, come molti altri temi, tramite l'intrattenimento risiede nel non inimicarsi il pubblico e il film di Whannell lo dribbla molto bene.
L'Uomo Invisibile non ha ridondanze di messaggio, non spettacolarizza, non rende antagonistici i sessi e non celebra platealmente l'essere vittima della donna o il suo dramma.
E quando lancia dei messaggi non lo fa tramite la dadiscalicità della parola, ma affida tutto alle azioni e alle immagini dei personaggi, giocando sul livello di racconto sul quale ogni buon film si dovrebbe sorreggere.
[In Crimson Peak Guillermo del Toro porta una scena di omicidio che richiama moltissimo il giallo all'italiana con il killer mascherato, quasi sovrannaturale nella sua presenza]
In un certo senso, questo film torna all'assassino dalla mano guantata e dal cappellaccio, torna a Dario Argento, tanto quanto a Wes Craven e Mario Bava e trova enorme forza tanto quanto nello studio della regia quanto nella stesura della sceneggiatura.
Whannel decide di giocare in sottrazione e gira un thriller/horror che non eccede in nulla e che rimane misurato in ogni sua componente.
La macchina da presa inquadra le scene con garbo e quando si muove lo fa per spostare l'attenzione dello spettatore verso quadri di spazio negativo ben composti e nei quali ci si aspetta che accada qualcosa, poiché un pericolo esiste ed è perennemente presente nella tensione di scena fin da subito, ma in qualche modo riesce a non assecondare la grammatica dello spavento telefonato del recente horror.
L'Uomo Invisibile non è un "film di spavento".
Non è un film che fa saltare sulla sedia, quanto piuttosto un film di tensione, di costante tortura psicologica che va a snervare lo spettatore e che utilizza molto sapientemente le esplosioni di violenza.
In tutta la pellicola Whannell riesce a utilizzare un solo e unico jumpscare e lo fa esattamente quando serve e con un senso ben preciso.
La paura è fatta di silenzi e di suoni.
Il film comunica allo spettatore la presenza dell'Uomo Invisibile attraverso degli indizi sonori, mettendolo così sullo stesso piano della protagonista senza creare quel distacco, spesso fastidioso, tra la consapevolezza di un'ingenua ragazza wannabe regina dell'urlo e un pubblico spazientito.
Non sappiamo dove si nasconde l'uomo invisibile e a volte dubitiamo sia nella stanza o nella casa: quello che sappiamo è solo che le sue azioni hanno delle conseguenze e che non sembra esistere modo per fermarlo.
La sua mano invisibile è quasi come il tocco della morte, la paura atavica verso il buio che cela cose invisibili senza forma e senza volto, dalle quali ci rifugiamo.
Il sonoro, il lavoro di missaggio e di sound design è favoloso e più che della musica questo film si serve dei rumori e gioca con la composizione dell'immagine e della fotografia per creare un senso d'inquietudine con i silenzi, gli scricchiolii e il freddo di inquadrature nelle quali potrebbe succedere sempre qualcosa, tenendo lo spettatore in tensione evitando di dare molto spesso delle didascalie grammaticali che preannuncino lo spavento o l'azione.
Il film ha il carattere dello slasher, richiama lo Scream di Wes Craven che richiama il giallo e il mito dell'orrore all'itailiana citato poco sopra, facendo dell'assassino, del mostro, una presenza quasi sovrannaturale, impalpabile come la nebbia e, in questo caso, davvero invisibile.
[In Sei Donne per l'Assassino, il killer di Mario Bava non aveva volto, ma era presente in scena; ne L'Uomo Invisibile è sempre in scena, ma mai visibile]
Le sue azioni sono compassate e quando decide di colpire la violenza diventa veloce e brutale: ma il punto di tutto il suo agire resta la tortura psicologica, l'idea di essere stato invisibile anche prima, quando trovava piacere nell'entrare sotto la pelle delle persone a lui vicine, senza lasciare tracce.
In un certo senso il terrore più grande del film è dato proprio dall'idea di poter essere vittima di qualcosa di estremamente complesso da denunciare al mondo, in quanto privo di segni evidenti, ma anzi mettendo sul tavolo le conseguenze che ci portiamo dietro, rischiando di diventare noi l'oggetto del giudizio.
L'Uomo Invisibile trova il suo grande pregio in una sceneggiatura tanto semplice quanto solida e che quando sembra darci in pasto un problema di narrativa, si risolve con una spiegazione.
Che non è affidata alla parola, al dialogo, al monologo o alla scena palesemente pensata per dare soluzione a tutto, ma in un dettaglio che è un sospetto per noi tanto quanto per la protagonista.
Un film che evita di entrare nella psicologia de L'Uomo Invisibile, poiché alla sua radice questo non è, contrariamente ad altri, vittima di una diversità che lo ha reso deforme e mostruoso per il mondo, quanto piuttosto è ripugnante la sua volontà di essere invisibile.
Leight Whannell gira un horror elegante e firma un ritorno in grande stile di un personaggio che si libera delle ingenuità della sua origine e di un'iconografia declinata molto spesso in parodia, regalandoci una Elisabeth Moss in parte e incredibilmente convincente in ogni momento e portando al pubblico un horror che non ne svilisce l'intelligenza, ma anzi proponendo delle idee di racconto e delle tematiche molto accattivanti.
Un film che non costituisce il tassello di un puzzle parte di un mondo condiviso e che quando vuole mettere in scena dei richiami ai due film originali lo fa con grazia, evitando le terribili sottolineature da linea di dialogo e citando visivamente il mito dal quale tutto ha avuto origine.
L'Uomo Invisibile, prodotto dalla straordinaria Blumhouse, è un film che vi consigliosenza ombra di dubbio, un film da guardare al cinema cercando non una storia di mostri in quanto deformità della natura, ma in quanto deformità della psiche umana.