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Introduzione: il mito
L’Enciclopedia Treccani fornisce la seguente definizione della parola mito:
2. Idealizzazione di un evento o personaggio storico che assume, nella coscienza dei posteri o anche dei contemporanei, carattere e proporzione quasi leggendarî, esercitando un forte potere di attrazione sulla fantasia e sul sentimento di un popolo o di un’età.
Cosa è stata l’America per noi italiani?
Una terra leggendaria, un porto d’arrivo per i disperati esuli del Mezzogiorno e delle campagne venete, un lido di opportunità, di riscatto, dove poter “fare fortuna”.
Un rischio, un azzardo.
Un nuovo mondo dove potersi finalmente imporre e non più subire, dove trasferire i valori della famiglia e dell’onore.
E ancora, la terra dei ruggenti anni ’20, del progresso, dell’economia in ascesa, dei cocktail e del jazz, dei primi elettrodomestici, di Broadway, di Hollywood e del grande cinema classico, di Elvis e Sinatra, di Roosevelt e Kennedy, della Summer of Love e della California hippie.
America, per noi, ha significato liberazione dal nazifascismo, progresso e boom economico.
Un modello, un sogno, un ideale.
[Il trailer internazionale di C'era una volta in America]
Ma non è stato solo questo.
Un doppio filo, ambiguo e ancora non del tutto risolto, ha collegato il vecchio mondo al nuovo.
America è stata anche esportazione della mafia, controllo di intere città da parte di famiglie italo-americane, il traffico di alcool durante il Proibizionismo e di droghe più avanti.
E ancora, la questione razziale, il crollo di Wall Street, la grande crisi, la bomba atomica, la guerra fredda, il Vietnam e la Corea, lo zio Sam e il crollo del sogno sessantottino.
Una contraddizione storica e sociale profonda, quasi lacerante, che ha fatto e farà sempre discutere.
Una contraddizione che Sergio Leone è riuscito a rievocare e rappresentare in quello che molti considerano il suo grande capolavoro.
Dopo il successo della Trilogia del Dollaro, riconosciuto e acclamato sia in patria che all’estero, il passo successivo di Leone non sarebbe dovuto essere un altro western.
La lettura del romanzo autobiografico The Hoods di Harry Grey (pseudonimo di Herschel Goldberg) aveva scaturito una vera e propria ossessione per un nuovo soggetto, che si sarebbe discostato nettamente da tutto ciò a cui il regista romano ci aveva abituato.
L’autore del libro era un gangster operante all’epoca del proibizionismo.
La sua storia, assimilabile a un romanzo di formazione, stimolò subito il suo interesse.
Proprio in quel periodo, però, il nostro Sergio ricevette un’offerta importantissima per la produzione di un quarto western, con un cast stellare e la possibilità di girare alcune scene nelle stesse location dei film di John Ford, suo grande mito e modello. C’era una volta il West e, più tardi, la travagliata produzione di Giù la testa, occuparono il regista, distogliendolo temporaneamente dal suo grande progetto.
Ma la scintilla era ormai innescata.
Il terzo capitolo della Trilogia del Tempo è stato il risultato di oltre dieci anni di ideazione, scrittura, produzione e riprese.
Un’enormità che si riflette nella lunghezza del film: 220 minuti nella versione distribuita in Italia nel 1984, che diventano 246 nella versione restaurata ed estesa con scene inedite nel 2012, a fronte delle oltre 10 ore di pellicola girata.
Un aspetto che non ha certo incoraggiato il suo successo immediato, soprattutto negli Stati Uniti, dove venne distribuito in un aborto lungo poco più di due ore e rimontato senza seguire l’ordine delle scene voluto dal regista.
Inutile dire che fu un fiasco assoluto.
La versione a cui mi riferirò sarà proprio quella restaurata con circa 46 minuti di scene recuperate dall’oblio del tempo.
Scene che offrono una visione ancora più chiara e ampia sulla trama, oltre che a fornire spunti di riflessione e collegamenti meravigliosi.
E chissà quale sarebbe stato il risultato se Leone avesse perseguito il progetto originale: due film da tre ore ciascuno.
Meglio non pensarci.
Il cast fu scelto con grande accuratezza: secondo le varie testimonianze, Leone cercò di unire attori famosi e con grande esperienza alle spalle (Robert De Niro e Joe Pesci su tutti) e nuovi volti come Elizabeth McGovern nel ruolo di Deborah, che fu preferita a Claudia Cardinale proprio per questo motivo.
Jennifer Connelly interpreta Deborah da ragazzina.
La scelta ricadde su di lei dopo che il regista la vide danzare, e fu colpito dalla sua bravura.
Fu il trampolino di lancio per la sua carriera: l’ennesima scommessa vinta dal nostro Sergio, che ha trasformato praticamente ogni attore che gli sia passato davanti in una celebrità.
Clint Eastwood e Lee Van Cleef insegnano.
Fatte le dovute premesse di rito, entriamo in una storia che parte dai chiassosi quartieri ebraici della New York degli anni ’20 e arriva fino a una modernità completamente mutata, passando per un periodo storico fondamentale per la società americana: l’era del proibizionismo.
David “Noodles” Aaronson è cercato da una banda di gangster, che arrivano a freddare la sua amante e torturare un suo amico, “Fat” Moe, fino a ottenere il suo nascondiglio: una fumeria d’oppio cinese.
Lo spettatore viene trascinato tra i fumi inebrianti di questa sostanza tanto di moda in quel periodo, e proprio lì ha inizio la magia.
Il flashback è un espediente narrativo che viene utilizzato consapevolmente fin dai tempi di Omero.
È stato strumento fondamentale per la costruzione delle vicende nella letteratura e nel teatro per oltre due millenni.
Anche il Cinema ha saputo valorizzarne, fin da David W. Griffith, la potenza e l’efficacia evocativa.
Eppure Sergio Leone è riuscito a cambiarne l’essenza, basando un’intera pellicola su qualcosa che va oltre il semplice ricordo degli eventi da parte di un personaggio e la relativa manifestazione allo spettatore.
Arrivando a schematizzare fino all’osso, il nocciolo narrativo del film può essere suddiviso in tre periodi:
- La giovinezza di Noodles e le avventure con la sua banda giovanile nei quartieri ebraici della New York degli anni ’20;
- La maturità di Noodles e le sue attività illecite insieme alla stessa banda nell’epoca della fine del proibizionismo;
- La vecchiaia e il ritorno di Noodles a New York e l’incontro con il suo passato.
Nel mezzo, il vuoto.
Allo spettatore non viene mostrato nulla e ben poco viene raccontato.
Sappiamo che, tra il primo e il secondo periodo, Noodles ha scontato la sua pena in carcere per l’omicidio di Bugsy, il capo di una banda di ragazzi rivale, per vendicare la morte dell’amico Dominic.
Tra il secondo e il terzo, Noodles è costretto ad allontanarsi dalla City e far sparire le sue tracce per trentacinque anni.
Un espediente narrativo che cancella l’esistenza del protagonista dalla società in questi due periodi vuoti.
E così anche nelle nostre menti.
Tre epoche della vita di un uomo che si intrecciano e si richiamano tra loro nei suoi pensieri.
Non dimentichiamo che siamo sempre lì, nella fumeria d’oppio, la mente inebriata.
Noodles inizia a ricordare, forse a sognare, forse a immaginare.
Oggetti (una mattonella smossa nel bagno), suoni (lo squillo di un telefono), musiche (il motivo suonato dal suo amico Cockeye), ma anche odori, sensazioni e pensieri si mescolano tra di loro e prendono forma nell’oggetto-pellicola, con un ordine e una sequenza impossibili da definire: perfettamente logici o puramente arbitrari?
Tra un ricordo e l’altro, tra un’immagine e l’altra, tra un’azione e l’altra c’è sempre un collegamento preciso.
Sembra di assistere alla proiezione di un puro flusso di coscienza che venga orchestrato magistralmente da un direttore, organizzando il tutto nella maniera più naturale possibile.
Prima parte: giovinezza
Il ponte di Brooklyn si erige maestoso sulla babele del quartiere ebraico, ricostruito con una cura e una maniacalità da lasciare a bocca aperta.
Ogni dettaglio, dalla bancarella di dolciumi allo straccio del piccolo Fat, ci riporta dentro quel mondo.
I fumi delle strade, i tombini, le case, i vestiti, gli oggetti. Potremmo giurare di esserci stati, di essere arrivati a percepire anche gli odori e i sapori di qualcosa che abbiamo sempre potuto solo immaginare e che Leone ci ha fatto vivere.
Noodles fa parte di un gruppetto di amici cresciuti sulla strada, uniti da una profonda amicizia e dal bisogno di sopravvivere.
Il modo più semplice, a quei tempi, era quello di unirsi alla banda più forte del quartiere, in quel caso quella di Bugsy.
Ma per Noodles, il piccolo Dominic, Cockeye, Patsy e il nuovo arrivato Max, per arrivare in alto si deve lavorare da soli.
Viene dunque formata una società, con l’obbligo di versare la metà di tutte le entrate future in una valigetta che verrà custodita nella stazione.
Cinque ragazzi che sembrano aver già ben chiaro come funziona il mondo: arrivano a ricattare un poliziotto, dare fuoco a un’edicola, collaborare con la malavita nel traffico dell’alcool con una trovata geniale, scontrarsi duramente con la banda rivale.
Una serie di azioni, di atteggiamenti e di comportamenti che non riescono tuttavia a nascondere la loro vera natura: quella di ragazzini cresciuti troppo in fretta, a volte incapaci di nascondere la loro ingenuità e la loro inesperienza.
Mentre fuori Noodles si comporta come un vero duro, a casa si rifugia dietro un muro di mattoni che separa il bagno dal magazzino dove la giovane Deborah, sorella di Fat, danza sulle note di un vecchio grammofono.
La sua bellezza e la sua eleganza diventano lo spettacolo quotidiano di un ragazzino alle prese con il suo primo amore, ma che non ha il coraggio di manifestare.
Anzi, tutto quello che riesce a fare è reprimere un sentimento e sacrificarlo alla sua vita da delinquente di strada.
E questo, forse, sarà il suo più grande rimpianto.
I ricordi di Noodles ci vengono mostrati così, in una maniera incredibilmente genuina, come quelli di un anziano che racconta aneddoti di una giovinezza perduta e rimpianta.
Le splendide musiche di Ennio Morricone, che forse raggiunge qui la sua massima vetta artistica per quanto riguarda il rapporto commento musicale-narrazione visiva, ci accompagnano lungo le strade di un quartiere brulicante di vita e di memorie, dipinto attraverso dei colori spettacolarmente gestiti in una fotografia perfetta, dai toni caldi e avvolgenti, perfettamente bilanciati in un equilibrio formale impeccabile.
In particolare, la scena della danza di Deborah, spiata da Noodles attraverso la fessura del muro, assume un’atmosfera da sogno, da fotografia ingiallita ma conservata con tutta la cura e l’amore che un uomo può metterci.
L’ingenuità di Patsy nella meravigliosa scena del pasticcino alla crema, che avrebbe dovuto portare alla giovane Peggy in cambio di qualche primo approccio sessuale, è un po’ un riassunto di tutto questo: dei ragazzini ancora rimasti bambini, che hanno scelto una strada forse troppo ripida per loro.
E infatti avviene il disastro.
Dopo le ripetute minacce da parte di Bugsy, si passa direttamente ai fatti.
Questa volta il nemico è armato e intenzionato a uccidere.
Ne fa le spese Dominic, il più giovane della banda.
Praticamente un bambino.
Il sogno si infrange.
Dominic è stato colpito alla schiena.
"Noodles, sono inciampato."
Il tempo si è fermato.
Poi riparte ancora, di scatto.
Non si riesce neanche a fare in tempo ad asciugarsi le lacrime e a riprendersi dallo shock, arriva subito la vendetta.
Noodles, in preda a una furia cieca, accoltella a morte Bugsy e aggredisce i poliziotti venuti a soccorrerlo.
Non può fare altro che scontare il suo rimorso in prigione, lontano dagli amici, lontano dagli affari e, soprattutto, lontano da Deborah.
Lei lo aveva predetto: o loro o me.
Noodles ha scelto loro.
O forse il destino ha voluto così.
Seconda parte: maturità
Sono passati tanti anni da quel giorno maledetto.
Le cose sono cambiate?
Noodles ora è un uomo, uscito di prigione con due pensieri fissi in testa, che l’hanno aiutato ad andare avanti nei momenti peggiori: la morte di Dominic e Deborah.
Lei non sembra averlo perdonato.
Rimane lì, fredda, distante, ma gli concederà un’ultima possibilità.
Max, Patsy e Cockeye sono sempre gli stessi, forse un po’ cresciuti, forse un po’ più spietati.
Nel pieno del redditizio business dell’alcool, venduto di contrabbando nel retro del locale di Moe, gli affari si sono ingigantiti rispetto a quando davano fuoco alle edicole o derubavano gli ubriachi per pochi dollari.
No: qualcosa è davvero cambiato.
Freddare a tradimento gli uomini di Joe per ordine del boss Monaldi non è esattamente quello che Noodles ricordava fosse nello stile della banda.
Il patto che avevano stipulato durante la formazione della società prevedeva di non sottostare a nessuno.
Ma i tempi sono cambiati: per andare avanti sul serio serve stare accanto a chi conta.
Ecco dunque crearsi un primo distacco: da una parte Max, con le sue nuove aspirazioni, un’avidità e un’ambizione che continuano a crescere, una sete di potere, magnificamente espressa con l’immagine del trono papale secentesco, comprato senza una vera utilità, ma solo "per sedermi sopra".
- Tu te la porterai dietro per tutta la vita la puzza della strada.
- A me piace da matti la puzza della strada, mi si aprono i polmoni quando la sento.
E mi tira anche di più.
Dall’altra parte, Noodles sembra avere in testa altri problemi.
Quelli di cuore, innanzi tutto.
Deborah gli ha dato un’altra possibilità.
Sembrerebbe assurdo, visto tutto quello che è successo prima tra loro.
Ma le parole del Cantico dei cantici risuonano ancora nella sua mente.
Il loro incontro non sarà in un vecchio magazzino, tra le mele e la polvere, ma nel più lussuoso e sfarzoso dei ristoranti con vista mare.
Finirà nella maniera peggiore.
Deborah gli confessa che, il giorno seguente, dovrà partire per Hollywood.
Anche per lei la carriera viene prima di tutto.
Noodles è riuscito a sopportare anni e anni rinchiuso lontano da colei che ha amato più di ogni altra cosa, ma scoprire di doverla perdere ancora è troppo.
Finirà per possederla brutalmente, sul retro di una lussuosa automobile.
Un contrasto che è un pugno in faccia a chi aveva creduto in questa relazione imperfetta.
Il disgusto che si riesce a provare in quel momento per quell’omino, intento a tirarsi su la lampo dei pantaloni, è pari solo alla pietà che proviamo per la fragile ragazza accasciata sui sedili dell’auto.
Anche se, adesso, è stata lei a tradirlo.
Siamo di fronte al crollo di un mito.
È crollato l’uomo, il gangster freddo e spietato che non ha saputo controllarsi di fronte alla perdita di un amore.
Noodles si rifugia tra le braccia di una nuova amante, che chiama Deborah aggrappandosi a un’illusione che non può che ricordarci la Madeleine di Vertigo.
L’alcol e l’oppio annebbiano una mente che ora si rivela in tutta la sua insicurezza e la sua debolezza.
A farne le spese è l’alchimia della banda.
La lacerazione sembra inevitabile.
Dalle rapine di diamanti alle questioni con i sindacati, le fabbriche occupate e la politica corrotta il passo è breve.
Il tempo scorre veloce, languido e infame, scegliendo di arrestarsi solo per un caffè.
E qui si dilata infinitamente, lasciandoci sospesi nel gesto più quotidiano del mondo.
Cosa ne sarà della loro vita, soprattutto ora che la fine del Proibizionismo verrà pianta e omaggiata con un funerale degno del suo status?
La follia di Max si spinge fino alla pianificazione del colpo della vita.
Una chimera insidiosa e inafferrabile, la Federal Reserve.
Un’impresa impossibile.
Noodles, convinto dall’amante di Max, sceglie di tradire la sua banda, facendo una soffiata alla polizia riguardo un facile lavoro che avrebbero dovuto compiere qualche giorno prima.
Meglio la prigione della morte.
Eppure, le cose non andranno come da lui previsto: Max lo costringerà a rimanere a casa, rimproverandogli con disprezzo la sua debolezza.
Noodles scoprirà il giorno dopo della sua morte, insieme ai compagni di sempre Patsy e Cockeye, in circostanze non del tutto chiarite.
Rovinato dal rimorso, ricercato e ormai solo al mondo, sarà un treno casualmente scelto alla volta di Buffalo ad allontanarlo dal passato.
Per sempre.
Almeno, così credeva.
Terza parte: vecchiaia
"Suddenly I'm not half the man I used to be.
There's a shadow hanging over me.
Oh, yesterday came suddenly."
Questi sono alcuni versi dello storico brano dei Beatles, che risuonano come un ricordo quando Noodles fa il suo ritorno a New York, 35 anni dopo.
È il passato a richiamarlo indietro.
Gli incontri con Fat Moe, Carol e, soprattutto, Deborah, mostrano quanto sia stato inclemente il tempo.
Tutti invecchiati, chi meglio e chi peggio.
Chi costretto a tirare avanti lavorando nel vecchio pub di famiglia, chi straordinaria e famosa attrice teatrale.
Ma dai ricordi non si scampa.
Bastano una mattonella spostata nel bagno, una fotografia ingiallita, una scritta sopra la tomba di un cimitero, la vista di una vecchia conoscenza in televisione.
La mente è costretta a tornare indietro, senza scampo.
- Cos’hai fatto in tutti questi anni?
- Sono andato a letto presto.
È la curiosità a trattenere Noodles a New York.
Vuole scoprire chi, dopo così tanto tempo, si è ricordato di lui, l’ha richiamato al passato e gli ha affidato un nuovo incarico, come una volta.
Un’ombra viene a crearsi intorno.
È quella del Senatore Bailey, influente politico in rapporti controversi e conflittuali con i sindacati e la malavita.
Addirittura si cerca di farlo fuori.
Noodles riceve un invito per un suo ricevimento.
I conti con il passato stanno per essere riaperti.
Prima, però, tocca passare da Deborah.
La ritroviamo arricchita dal tempo di una bellezza maestosa ed elegante, con poche rughe a segnare una nuova saggezza.
La sua interpretazione di Cleopatra tocca il cuore degli spettatori, tra cui fa capolino lo stesso Noodles.
Dietro il camerino, il trucco che ricopre il suo volto viene piano piano dissolto, e tra i due vecchi amanti rimane soltanto il vuoto che il tempo ha creato.
Un vuoto probabilmente incolmabile.
"Noodles, ci rimangono solo dei bei ricordi.
E se adesso uscirai da quella porta nemmeno quelli ti rimarranno."
Perché Deborah è l’amante del Senatore Bailey.
Fuori dalla porta c’è il loro figlio.
Il suo viso riapre uno squarcio nel passato.
La somiglianza con Max è troppo evidente.
Noodles andrà al ricevimento.
Incontrerà, in privato, il senatore.
No: non è il suo vecchio Max, benché questi cerchi in tutti i modi di comportarsi come se nulla fosse successo, come se 35 anni di menzogne potessero risolversi così, con un colpo di pistola.
Max lo implora di sparargli, di porre fine della sua vita miserabilmente sfarzosa e ricca di potere, a fare ciò che era giusto.
Ma Noodles vede solo un vecchio politico corrotto dietro una scrivania implorargli l’ennesimo compito sgradevole e ingrato.
Non c’è il volto sorridente del vecchio compagno di avventure, del folle, lunatico, irriverente, geniale e ambizioso ragazzo del Bronx.
Solo un vecchio in lotta con la sua coscienza.
E Noodles, sparandogli, gli avrebbe risparmiato la sofferenza più grande: vedersi trattare come uno sconosciuto da quello che, un tempo, era diventato più che un fratello.
- È il tuo modo di vendicarti?
- No. È solo il mio modo di vedere le cose.
Finirà così, il Senatore Bailey.
Brutalmente triturato da un camion dell’immondizia.
Senza che ci venga mostrato esplicitamente, ma sfruttando la massima potenzialità creativa del montaggio, come teorizzato dai maestri russi.
Max fermo in piedi, passaggio del camion, stacco, inquadratura delle morse di metallo che sbriciolano i rifiuti.
La fine più misera che si possa immaginare.
Poi il silenzio.
I fari del camion diventano quelli di un’elegante auto d’epoca che, tra le note di God Bless America, si fa strada in tutta la sua atmosfera di nostalgica felicità.
Poi ancora silenzio.
È proprio questo C’era una volta in America.
Dalla miseria dei bassifondi di Brooklyn allo sfarzo e lo splendore, fino a tornare nella miseria.
Questo dualismo continua a tornare, in un gioco di accostamenti e di stonature perfettamente bilanciati.
Il culmine della passione amorosa raggiunto tra Noodles e Deborah non è stato al ristorante di lusso, pacchianamente allestito per una serata finita nel rimorso, ma tra i sacchi di cibo del magazzino di uno squallido negozio ebraico.
Leone ci porta all’interno delle case, colme degli oggetti più strani e di mobili da fare invidia a un antiquario, facendoci sbirciare dalle fessure delle porte (o delle mattonelle) per entrare in contatto con un mondo dapprima idealizzato, poi mostrato nella sua più grottesca brutalità.
Scene di una violenza sanguinosa e orribile si intrecciano con momenti delicati e avvolti da una sottile aura polverosa, come i veri ricordi.
Il Cinema ha questo compito apparentemente impossibile: farci vivere tutte le sensazioni, compresi i ricordi, a partire dal senso più contingente che possa esistere, la vista.
Esattamente come le ombre cinesi nella fumeria d’oppio, il culmine dell’illusione.
C’era una volta in America lo fa come nessun altro è riuscito a fare.
Fa sentire il tempo ribollire dentro di noi, ci mette nei panni di un uomo che, meschinamente, rivive il passato più torbido e, nostalgicamente, lascia sfilare le poche bellezze che una vita ingiusta gli ha regalato.
Come la danza leggera di una ragazzina sulle note di un grammofono.
O la prima scopata gentilmente offerta da un poliziotto.
O il bagno nel porto con i suoi compagni, tra casse di whiskey di contrabbando.
Non è difficile far scorrere le scene di ricordi del passato se stai fumando oppio.
C’è chi dice che ti possa far immaginare il futuro come se lo stessi vivendo.
Non importa se tutto ciò che Noodles ci racconta sia un sogno oppure no.
Quello che ci rimane non perderebbe assolutamente di valore.
Girandoci su un fianco, dopo aver assaporato il nostro passato e aver richiamato ciò che verrà, non ci resta che compiere il gesto che chiuda il cerchio.
Un sorriso, rivolto a noi spettatori, che siamo entrati insieme a lui in quella maledetta fumeria, abbiamo sorriso per il dolce di Patsy, abbiamo pianto per la morte di Dominic, siamo inorriditi per la pallottola conficcata nell’occhio di Joe, ci siamo schifati per lo stupro di Deborah, ma siamo anche entrati talmente tanto in empatia con le emozioni, i ricordi e le paure di un uomo che non possiamo che seguirlo in quest’ultimo sorriso, sognante e incantato.
La magia del cinema.
Post scriptum
Un pensiero finale (personalissimo quanto inutile) rivolto a coloro che, per qualsiasi motivo, non hanno ancora visto C’era una volta in America.
Se vi siete mai soffermati ad ascoltare il ticchettìo uno di quei vecchi orologi meccanici, chiedendovi perché il suono cambia a seconda di come lo si ascolta, amerete questo film.
Se avete mescolato il caffè nella tazzina perdendovi nei vostri pensieri tanto a lungo da farlo raffreddare, amerete questo film.
Se avete passato pomeriggi interi a pensare a quando eravate piccoli e giocavate spensierati, o a qualche ricordo di cui ora provate vergogna o rimorso, o a quando sarete adulti o anziani e a cosa farete della vostra vita…
Amerete questo film.
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3 commenti
Lt. Col. Frank Slade
6 anni fa
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Simone Colistra
6 anni fa
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Simone Colistra
6 anni fa
Sono già usciti i commenti dei primi due film della Trilogia del Dollaro. Arriveranno anche gli altri 😀
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