#articoli
Il 7 febbraio 1940 Pinocchio esce al cinema, alzando ancora una volta l’asticella del cinema d’animazione. Ma perché il grande classico di Walt Disney sembra non perdere smalto a distanza di ottant'anni?
Dopo il grandissimo successo di Biancaneve e i Sette Nani, il secondo film d’animazione dei Walt Disney Studios avrebbe dovuto essere Bambi.
Poco prima della premiere mondiale di Biancaneve, però, Walt Disney cambiò rotta, annunciando che il secondo lungometraggio da lui prodotto sarebbe stato Pinocchio.
[Previously, on Classici Disney Reloaded]
I problemi alla base di questo cambiamento erano fondamentalmente due: il primo è che Bambi, la vita di un capriolo, il libro di Felix Salten da cui il film è tratto, era una storia per adulti e il reparto sceneggiatura non riusciva a trovare una riduzione adatta anche ai bambini che soddisfacesse Walt.
Il secondo erano i cervi.
Dopo l’entusiasmo dei primi tempi per la qualità con cui erano stati animati gli animali del bosco di Biancaneve, Walt, rivedendo i cervi e i cerbiatti del film in un secondo momento, disse che gli sembravano dei “Grossi sacchi di farina”.
Lo studio mise quindi in produzione Pinocchio, tratto dal famoso libro di Carlo Collodi, che di problemi di realismo così spinto non ne avrebbe avuti dato che il protagonista sarebbe stato un burattino di legno parlante.
Tuttavia, dopo l’ottimismo degli inizi, presto Disney capì che neanche fare questo film sarebbe stata una passeggiata di salute.
Questo divenne subito chiaro dai primi test di animazione, in cui realizzò che il problema era proprio il protagonista.
Come disse ai presenti in una famosa sessione di sceneggiatura infatti: “La storia la conoscono tutti, ma il personaggio non piace a nessuno”.
Inoltre il Pinocchio di Collodi era un romanzo a puntate che usciva ogni giorno su un giornale dell’epoca, per cui c’era anche il problema che la storia fosse troppo lunga e ci fosse troppo materiale per il film.
Per rendere l’idea della gravità della situazione, basti pensare che Disney chiuse i suoi studi dopo sei mesi di lavorazione, buttando più di 700 metri di pellicola, per dare tempo agli story artist di far funzionare il progetto.
[A' rega', nun ce semo]
Dopo tre anni di sforzi disumani, un budget lievitato da 500 mila dollari a 2 milioni e mezzo e un ritardo di un mese e mezzo - il film avrebbe dovuto essere in sala per il Natale del 1939 - il 7 febbraio 1940 Pinocchio esce al cinema, alzando ancora una volta l’asticella del cinema d’animazione.
La narrazione si adatta definitivamente al mezzo cinematografico, la sceneggiatura è più coerente rispetto a Biancaneve e la sensazione che si ha vedendolo è quella di assistere a un film vero e proprio.
Seppure i personaggi siano degli animali antropomorfi, il mondo di Pinocchio è realistico, verosimile, perché i personaggi si comportano come farebbero delle persone vere.
[Co' 'sto fard pari vivo]
Anche Sergej Ejzenstejn loda questo aspetto nei suoi scritti - non riguardo Pinocchio, ma i film Disney in generale - affermando che quello che manda in estasi lo spettatore, e che lo fa diventare tutt’uno con il film, sono proprio questi personaggi-animali, che in realtà sono delle metafore dell’uomo stesso in cui l’animale è tutt’uno con esso, e il fatto che queste metafore siano letterali (come ad esempio la Volpe furba) amplifica l’effetto comico.
Chi di noi non ha mai incontrato qualcuno che si è approfittato della nostra ingenuità o della nostra ignoranza per fregarci come fa la volpe, per sfruttarci come fa Mangiafuoco o arricchirsi alle nostre spalle come fa il Postiglione, il padrone del Paese dei Balocchi?
[Oscar Farinetti all'apertura di Fico a Bologna]
Tuttavia quello che rende Pinocchio unico nel suo genere è il fatto che sia un film gotico.
Il romanzo di Collodi era ambientato in Toscana, il mondo di Pinocchio invece sembra essere visivamente ispirato al Nord Europa (Pinocchio stesso è vestito da tirolese), con atmosfere terribilmente dark sottolineate da luci e ombre molto marcate.
Inoltre nel film sono presenti alcune sequenze che seguono gli stilemi dell’horror puro: è cosa nota infatti che Walt Disney facesse guardare ai suoi artisti i film espressionisti tedeschi quando bisognava realizzare scene di tensione.
Se già nel libro di Collodi sono presenti impiccagioni, mutilazioni e momenti splatter molto crudi, anche Disney non rinuncia a spaventare i bambini.
Il Pinocchio di Disney inizia con il Grillo Parlante che ci introduce al film seduto in uno studio, sommerso dai libri, tra cui spiccano quelli di Peter Pan e Alice nel Paese delle Meraviglie, che Disney aveva già cominciato a studiare per farne dei film.
Quando inizia la storia vera e propria, Disney sceglie di farci entrare a casa di Geppetto in prima persona, simulando una soggettiva del grillo che saltella.
Quindi da subito si capisce che questo film sta facendo sul serio e che ci troviamo davanti qualcosa di più impegnativo rispetto a Biancaneve e facendoci intuire che la tecnica della multiplane camera era progredita.
Il Grillo Parlante così come lo conosciamo è una creatura quasi del tutto disneyana: il grillo del romanzo veniva spiaccicato su una parete da Pinocchio con un martello nelle prime pagine del libro, ricomparendo poi sporadicamente e senza una reale giustificazione nei capitoli seguenti.
Il Grillo Parlante disneyano invece fa da fil rouge per tutto il film e tiene uniti i vari episodi della storia.
Tecnicamente potrebbe essere definito come un espediente narrativo, dato che è stato inserito soltanto nove mesi dopo l’inizio delle lavorazioni e che serviva, appunto, per tenere in piedi la storia.
Tuttavia questo non sminuisce affatto il personaggio, che ha le proprie gag e i propri momenti salienti durante il film.
Una volta entrati nella calda e accogliente casa di Geppetto, vediamo quest’ultimo mettere a punto il suo burattino di legno, desiderando che diventi un bambino vero.
La Fata Azzurra, unico personaggio per cui è stata usata la tecnica del rotoscoping, esaudisce il suo desiderio.
In mezzo a questi eventi troviamo già molte gag, ma quella che rimarrà nella storia è quella degli orologi a cucù: non tanto per la sua comicità, quanto per la sua fantasia.
Decine di orologi a cucù uno diverso dall’altro che suonano tutti insieme e ognuno dei quali rappresenta una mini gag.
Tra l’altro ogni orologio è stato costruito nella realtà come riferimento per animare questa scena.
Quello che in Pinocchio sorprende più di tutto, però, è un aspetto che nei film d’animazione è sempre molto trascurato: il montaggio, che in questa scena contribuisce insieme a un sonoro perfetto, sia dal punto di vista artistico che formale, a creare un ritmo difficile da ritrovare persino nei film live action.
Passata questa notte magica, l’indomani Geppetto decide giustamente di mandare Pinocchio a scuola, ma non appena il povero burattino mette il suo proverbiale naso fuori dalla porta viene circuito dal Gatto e la Volpe: due ignoranti senza precedenti, eppure con la loro scaltrezza riescono a ingannare l’altrettanto non ancora istruito e ingenuo Pinocchio.
La Volpe, infatti, vedendo un burattino parlante che si muove senza fili, pensa di riuscire a farci dei bei soldi vendendolo al burattinaio più famoso della zona, Mangiafuoco.
L’animale truffaldino, allora, promette a Pinocchio fama, successo e soldi facili facendogli credere di avere il talento per diventare un grande attore e di poter sfondare nel mondo dello spettacolo.
Il burattino, ingenuamente, si meraviglia del fatto che si possa raggiungere il successo senza la fatica dello studio, ma la Volpe lo rassicura: non hai bisogno di studiare se sei un attore.
[Vieni con me, ti farò diventare un influencer]
Con queste parole Disney ci fa intuire di avere una scarsa considerazione dello star system hollywoodiano, e questa sarà solo la prima di molte critiche che inserirà più o meno velatamente nel suo film (concetto che verrà anche rielaborato e applicato al mondo dello show business musicale dal nostro Edoardo Bennato nel suo disco del 1977 Burattino Senza Fili).
Venduto a peso d’oro dal Gatto e la Volpe, Pinocchio si ritrova sotto le luci della ribalta nello spettacolo di Mangiafuoco (Stromboli nella versione originale e nel libro di Collodi).
Un personaggio a metà tra uno zingaro e un italiano, che ha una mole enorme e che gesticola molto velocemente.
Nella sequenza in cui il nostro burattino si trova alle prese con Mangiafuoco ci sono almeno due scene rilevanti, ognuna per motivi diversi.
La prima è quella in cui Pinocchio fa il suo numero nello spettacolo dove canta e balla: il livello tecnico dell’animazione alza l’asticella con cui chi verrà dopo dovrà per forza confrontarsi.
Decine di personaggi si muovono sincronizzati alla musica, ma ognuno in modo peculiare.
Pinocchio si esibisce con un corpo di ballo formato da burattini veri con i fili, eseguendo movimenti molto complessi e saturando lo schermo di colori.
Una scena che diventerà un punto di riferimento per gli animatori contemporanei.
La seconda scena rilevante è quella ambientata nella roulotte di Mangiafuoco dopo lo spettacolo.
Pinocchio vede i soldi frutto del suo lavoro, ma che non potrà mai avere perché il burattinaio lo rinchiude in una gabbia e se li tiene per sé.
Il piano di Mangiafuoco, infatti, è quello di sfruttare il burattino e di rivenderlo come legna da ardere una volta che non gli avrebbe più fruttato niente.
[Il presidente del consiglio Giuseppe Conte riferisce in Parlamento]
Spesso Walt Disney viene associato a posizioni di destra o estrema destra, se si pensa alle accuse di antisemitismo, o comunque non verrebbe in mente a nessuno di definirlo un comunista.
Tuttavia non va dimenticato che Disney era un rooseveltiano di ferro, talvolta considerato il propagandista non ufficiale del presidente americano.
Franklin D. Roosvelt era un progressista che affermava, tra le altre cose, che dopo il crollo della Borsa del 1929 era evidente che il Mercato non si sarebbe autoregolato e che quindi lo Stato doveva intervenire a livello legislativo per tutelare i cittadini e i lavoratori; cosa che ha concretizzato con la creazione di un’agenzia federale per il controllo del mercato azionario.
A lui inoltre sono dovuti l’introduzione dell’assistenza sociale e delle indennità di disoccupazione e vecchiaia.
Sotto quest’ottica, quindi, non dovrebbe sorprendere che Walt Disney abbia inserito una critica così esplicita al capitalismo predatorio.
Inserire una scena in un cartone per bambini dove il padrone si arricchisce sfruttando il lavoratore è un atto rivoluzionario.
[Letteralmente il Capitalismo]
Cala la notte e la storia arriva a un punto morto: Pinocchio è rinchiuso in gabbia e il Grillo Parlante non riesce a tirarlo fuori.
A questo punto succede quello che a scuola di sceneggiatura viene sottolineato con la penna rossa.
Interviene la Fata Azzurra che con la sua bacchetta magica apre il lucchetto per poi dileguarsi, non prima che il burattino gli abbia raccontato una marea di bugie che gli hanno fatto allungare il proverbiale naso.
Questo meccanismo viene chiamato in gergo tecnico Deus Ex Machina e consiste in una sorta di intervento divino, o da parte di un personaggio esterno agli eventi principali, che fa progredire la storia e che ha il solo scopo di sbloccare la trama nei momenti di stallo.
[Sono Wolf, risolvo problemi]
Grazie a questo trucco, Pinocchio e il Grillo riescono a scappare dalla carrozza di Mangiafuoco, in una scena in cui per realizzarla è stato costruito un vero carro in scala ed è stato poi ripreso e trasferito sui vetri per l’animazione, in modo da renderlo più realistico.
Mentre Geppetto si dispera e decide di andare alla ricerca del suo legnoso figlio disperso, veniamo introdotti in una stanza tetra dove vediamo il Gatto e la Volpe attovagliati con un nuovo e sinistro personaggio: il Postiglione.
[Oscar Farinetti quando gli hanno detto che poteva rifornire Expo 2015 senza gara d'appalto]
L’atmosfera è tetra, le ombre sono allungate, l’illuminazione è dal basso e anche i due animali parlanti sono impauriti dal piano malvagio di questo personaggio, in confronto al quale Mangiafuoco sembra Gandhi.
Il piano era quello di rapire i bambini senza che loro se ne accorgessero, invitandoli nel Paese dei Balocchi e attirandoli con la promessa di una vita facile e votata esclusivamente all’edonismo.
Una volta entrati nel parco giochi, i poveri e ignoranti ragazzi sarebbero rimasti prigionieri loro malgrado e trasformati in asini per essere poi messi ai lavori forzati.
Praticamente Disney aveva preconizzato il neoliberismo con quarant’anni d’anticipo.
Per capirlo basta immaginare la fase in cui i bambini vengono attirati da una vita di godimento sfrenato e senza conseguenze come gli anni ‘80, la trasformazione dei bambini in asini come la crisi del debito pubblico degli anni ‘90 e la trasformazione anche del protagonista in asino come il crack della Lehman Brothers del 2008.
Lucignolo è la perfetta rappresentazione della classe media, godereccia e irresponsabile in tempi di vacche grasse, implorante e vittimista quando si trova sommersa dai problemi che lei stessa ha contribuito a creare.
[Oh, no! Salvini, aiutami!]
Lucignolo infatti sembra saperla lunga quando c’è da giocare a biliardo e fumare sigari, ma appena si trasforma in asino implora aiuto a Pinocchio chiedendo di essere salvato, scalciando e distruggendo la stanza.
Ma al di là delle speculazioni ideologiche, dal punto di vista formale tutta la sequenza del Paese dei Balocchi è un capolavoro della Storia del Cinema, non solo d’animazione.
I bambini sono felici di divertirsi in questo paese della cuccagna, è un momento di gioia per tutti perché sono ancora ignari di quello che sta per succedere.
Ma allora perché lo spettatore si sente minacciato? Perché non si immedesima con questi personaggi?
Perché la storia ci dice una cosa, ma Disney ce ne fa vedere un’altra.
I bambini vengono introdotti nel parco giochi di notte, i colori sono desaturati e tutto è illuminato dal basso, facendo sembrare il parco una casa degli orrori.
[Prima gli italiani! Hoooooonk! ]
Il rimando è chiaramente ai film espressionisti europei, a cui Disney si rifaceva quando doveva suscitare paura nei suoi film.
E questo senso di inquietudine cresce sempre di più fino ad arrivare al suo climax: la scena della metamorfosi.
Una scena horror in piena regola, che intensifica in modo crescente il terrore con un ritmo e un montaggio magistrali.
Le inquadrature sono oblique e le ombre diventano protagoniste, culminando con la trasformazione di Lucignolo, che non vediamo mai direttamente, ma la immaginiamo attraverso l’ombra del povero ragazzo proiettata sul muro della sala da biliardo dove si svolge la scena.
Qui Disney ha sancito la sua entrata nel campionato dei grandi: la sua rivoluzione non era più solo tecnica ed estetica, ma anche formale.
Dopo l’intervento, di nuovo, della Fata - Deus Ex Machina che fa scappare Pinocchio e il Grillo dal Paese dei Balocchi, i nostri si mettono alla ricerca di Geppetto.
Mentre erano imprigionati infatti il povero vecchio è andato a cercarli per mare, facendosi inghiottire da una balena.
La scena in cui Pinocchio e il Grillo Parlante sono sott’acqua a cercare il vecchio ancora una volta ci fa capire quanto Disney fosse avanti.
Basti pensare che la tecnica usata è stata studiata a cinquant’anni di distanza dagli animatori de La Sirenetta.
Ma quella che rimarrà per sempre nella Storia del Cinema è la sequenza della fuga dalla balena.
Una volta trovato Geppetto, infatti, Pinocchio lo convince a fuggire cercando di far starnutire il cetaceo.
I disegni sembrano quasi acquerellati, i colori desaturati e la sensazione è quella di vedere delle illustrazioni dei libri di Edgar Allan Poe in movimento.
La sequenza per ritmo e montaggio è terrificante e la balena è disegnata e animata in modo da rendere appieno la sua mole gigantesca.
Nei punti in cui il cetaceo sbuffa e si mette all’inseguimento dei nostri il fotogramma è talmente pieno da non distinguere più quello che sta succedendo, ma questo ha il pregio di rendere perfettamente la rabbia dell’animale e di conseguenza il terrore provato da Pinocchio, Geppetto e il Grillo.
Sfuggiti alle fauci della balena, i tre sventurati aprodano sulla terra ferma, ma Pinocchio non dà segni di vita.
Trasferitisi a casa di Geppetto, vediamo il povero vecchio disperarsi al capezzale del burattino, ma per la terza volta arriva la Fata Azzurra a togliere le castagne dal fuoco agli sceneggiatori, trasformando Pinocchio in un bambino vero e facendolo rivivere.
Tutto bene quel che finisce bene: gli orologi a cucù riprendono a fare festa e i carillon a suonare.
[Sei diventato un Presidente del Consiglio vero!]
Nonostante all’epoca dell’uscita il film fu un mezzo flop - in Europa era già iniziata la guerra e quindi non venne distribuito - con l’uscita del film nelle sale di tutto il mondo qualche anno dopo il secondo conflitto mondiale era evidente che sarebbe rimasto impresso nella cultura occidentale.
Non solo per la storia molto conosciuta ma perché, come dicono gli americani, è stato un game changer.
Più di Biancaneve, in Pinocchio il linguaggio cinematografico viene inserito in un film d’animazione.
C’è un lavoro meticoloso sui colori (i protagonisti positivi sono costituiti da colori primari, gli antagonisti con colori secondari e complementari).
Il cartone animato non è più quindi solo la comica, ma un film vero e proprio capace di suscitare tutta la gamma di emozioni umane, tra cui la paura.
Con il vantaggio, però, di non avere i limiti fisici, ma solo limiti di immaginazione.
Una libertà totale che permette a Disney di sperimentare soluzioni nuove, di perfezionare la sinestesia tra suono e immagine e di creare dei cattivi veramente paurosi.
Nei film per ragazzi di oggi gli antagonisti sono edulcorati, il male non fa paura.
In Pinocchio invece i cattivi sono dei truffatori, sfruttatori o delle forze della natura, e proprio questa loro tangibilità, questo loro realismo li rendono più terrificanti, spaventando i bambini di tutte le generazioni.
6 commenti
Angela
4 anni fa
Rispondi
Segnala
Enrico Tribuzio
4 anni fa
Rispondi
Segnala
Enrico Tribuzio
4 anni fa
Rispondi
Segnala
Enrico Tribuzio
4 anni fa
Rispondi
Segnala
Enrico Tribuzio
4 anni fa
Rispondi
Segnala
Enrico Tribuzio
4 anni fa
Rispondi
Segnala