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Bastardi senza Gloria - in originale: Inglourious Basterds, storpiatura del titolo americano di Quel Maledetto Treno Blindato di Enzo G. Castellari - esce al cinema nel 2009, segnando il ritorno al grande successo di Quentin Tarantino dopo il mezzo flop di Death Proof/A Prova di Morte.
Bastardi senza Gloria sbanca infatti il botteghino con un incasso mondiale di 321 milioni di dollari, consacrando definitivamente Tarantino i cui film da quel momento in poi sono sempre stati dei grandi successi - e anche l’ultimissimo C'era una volta a... Hollywood sta proseguendo su questa scia - e la cui uscita è sempre preceduta da una spasmodica eccitazione.
Oltre che da questo punto di vista, Bastardi senza Gloria rappresenta una svolta nella produzione di Tarantino anche per un altro aspetto.
Come si accennava nell’articolo dedicato a Kill Bill, con questo film si apre quella che considero la "terza fase" della carriera di Quentin Tarantino, dove nelle storie ambientate nel passato fanno il loro ingresso delle riflessioni più profonde da parte dell’autore, seppur mai a mo’ di lezioncina morale ma anzi il più delle volte in modo sotteso e non invasivo.
Usando un’espressione di luogo comune - cosa che con Tarantino può però facilmente portare fuori strada - si potrebbe dire che con Bastardi senza Gloria comincia il periodo della maturazione del regista di Knoxville.
La mia opinione però è che, anche se la si voglia così considerare, non è che ora Tarantino al momento di scrivere una sceneggiatura pensi di voler dire questo o quello su qualsivoglia argomento “impegnato”.
Ritengo invece che quello che negli articoli precedenti definivo “riflessi delle sue considerazioni sul mondo, sulla politica in senso lato, sulla natura umana,” emergano da soli, autonomamente, anche grazie a un lavoro nella scrittura dei personaggi che diventa sempre più approfondito, il tutto continuando comunque sempre a regalarci delle caratterizzazioni sopraffine.
Tornando al film, la gestazione di quest’opera è stata assai lunga.
Quentin Tarantino, infatti, partorisce l’idea di Bastardi senza Gloria ben dieci anni prima, ossia nel periodo immediatamente successivo all'uscita di Jackie Brown: è in quello spazio di tempo che vedono la luce i primi capitoli della sceneggiatura.
Il progetto, tuttavia, fu messo da parte (anche se mai del tutto abbandonato) con la realizzazione di Kill Bill prima e del progetto Grindhouse dopo.
È nella primavera del 2008 che Tarantino comunica a Lawrence Bender - suo fidato collaboratore sin da Le Iene - che riprenderà definitivamente in mano il progetto e, a tempo di record per una produzione di queste dimensioni (con le riprese effettuate in Germania, a parte quella del bistrot girata in Francia), dopo un solo anno, nel maggio 2009, Bastardi senza Gloria sarà presentato in concorso al Festival del Cinema di Cannes.
Nel corso del Festival Christoph Waltz vincerà il primo dei tanti premi ricevuti per la sua interpretazione del colonnello Hans Landa, che gli porterà perfino un meritatissimo Oscar (poi replicato con Django Unchained).
Partendo dalla sceneggiatura, in Bastardi senza Gloria, al pari di quanto avveniva con Pulp Fiction, vi sono diversi intrecci che finiscono per intersecarsi tra loro.
C'è quello di Shosanna, la ragazza ebrea - cui presta il volto la bella Melanie Laurent – che, sfuggita allo sterminio della sua famiglia, vive sotto il falso nome di Emmanuelle Mimieux come proprietaria di un cinema – e in questo film, come vedremo, il cinema ha un ruolo preminente.
Poi abbiamo i Bastardi, un gruppo di soldati americani, capitanati dal rude Tenente Aldo Raine - interpretato da Brad Pitt - che hanno il compito di infiltrarsi tra le fila naziste per seminare il panico e fare fuori quanti più crucchi possibile.
E ancora abbiamo il colonnello delle SS Hans Landa, strepitoso detective specializzato nella caccia agli ebrei che incrocerà il suo destino sia con Shosanna sia con i Bastardi, rispettivamente all’inizio e alla fine del film.
A questi si aggiunge la platonica - quanto impossibile - storia d’amore tra Shosanna e il soldato Frederick Zoeller e la missione segreta ideata dagli inglesi e dallo loro spia Bridgette Von Hammersmark, diva del cinema tedesco al soldo dei britannici, che ha l’obbiettivo di far saltare per aria il gotha del Terzo Reich, per l’occasione riunito alla premiére di Orgoglio della nazione, l’ultimo film sfornato dalla macchina di propaganda tedesca facente capo a Goebbels (Sylvester Groth), che si terrà a Parigi, proprio nel cinema di Shosanna.
Missione che, per la sua realizzazione, richiede l’aiuto dei Bastardi.
Da quanto detto salta all’occhio una differenza rispetto alla struttura di Pulp Fiction.
In quest’ultimo, infatti, i protagonisti delle diverse storie si incontravano tra loro ma solo per brevi tratti, al punto che ogni vicenda risultava un capitolo a sé stante, tanto che Vincent Vega moriva nel secondo episodio per poi ritornare vivo e vegeto nel terzo.
In Bastardi senza Gloria, invece, le diverse linee narrative si vanno a intrecciare tra loro per confluire poi tutte insieme nella grande tela costituita dai capitoli finali, in particolare l’ultimo.
Il film è suddiviso in cinque capitoli.
I primi tre possono essere definiti di presentazione dei personaggi.
In quello iniziale viene introdotto Hans Landa, nel secondo fanno la loro comparsa i Bastardi mentre nel terzo è il turno di Shosanna alias Emanuelle Mimieux e ivi facciamo altresì la conoscenza di Frederick Zoeller, il cecchino tedesco eroe di guerra.
Nei due successivi capitoli si dipana invece l’azione.
Dapprima, più lentamente, nel quarto, titolato "Operazione Kino" dal nome della missione segreta inglese ideata da Bridgette Von Hammersmark, interpretata con regale eleganza dalla magnifica Diane Kruger, che ci viene presentata in questo capitolo.
Qui si colloca altresì la magistrale scena dello scantinato: una sequenza di 25 minuti, tutta ambientata in unico posto, la locanda La Lousienne.
Una sorta di Le Iene in piccolo, come detto dallo stesso Quentin Tarantino.
Prima chiacchiere, tante chiacchiere.
Si comincia con Bridgette, la diva del cinema teutonico, la quale, nell’attesa che arrivino i soldati alleati, ammazza il tempo giocando con delle reclute tedesche in libera uscita per festeggiare la nascita di Maximiliam, primo figlio del sergente capo Wilhem.
Il gioco consiste nell’indovinare, attraverso domande mirate, quale personaggio famoso, reale o inventato, si ha scritto sulla carta che ognuno ha appiccicata sulla propria fronte.
Ancora una volta Tarantino piazza elementi di vita reale nel bel mezzo delle situazioni più inaspettate, riuscendo però così a rendere nel modo più diretto e veritiero possibile come gli eventi drammatici della nostra vita spesso ci piombino addosso così, in modo improvviso ed inaspettato, mentre ci ritroviamo nella nostra normalità, che da essi viene poi violentemente sconvolta.
Come nel film avviene, ad esempio, proprio a questi soldati tedeschi che, usciti per festeggiare un lieto evento, si ritroveranno a breve nel bel mezzo di una carneficina tra spie nemiche e il tanto spietato quanto ripugnante maggiore Dieter Hellstrom, interpretato con incredibile perfidia dal bravissimo August Diehl.
All’arrivo del tenente inglese Archie Hicox (Michael Fassbender), accompagnato dal caporale Wilhem Wicki (Gedeon Burkhard) e dal mitico sergente Hugo Stiglizt (Til Schweiger) del memorabile “Non ti sembro calmo?”, la bionda attrice cambia tavolo, accomodandosi con i tre nuovi arrivati.
Dopo avere ordinato da bere, la diva tedesca racconta ai soldati alleati che alla premiére del film dedicato alle gesta del soldato Zoller sarà presente addirittura Hitler in persona – del quale, nel capitolo di presentazione dei bastardi, è resa una divertente e dissacrante caricatura.
I quattro vengono interrotti dal neo papà Wilhem, il quale vuole chiedere un autografo alla bellissima donna.
Invece di andarsene subito dopo aver ottenuto il cimelio da donare al figlio, il soldato tedesco, alterato dai fumi dell’alcol fa notare ad Hicox come sia strano il suo accento tedesco.
Quando Stiglitz interviene, intimando ai compagni di uscita del giovane soldato di badare al loro amico se non vogliono passare dei guai, il problema sembra risolto.
Ma ecco qui il colpo di scena.
Da una piccola rientranza dove si trova il grammofono che emetteva la musica di sottofondo che si è udita fino ad allora, fa la sua comparsa - totalmente inaspettata perché mai inquadrato fino a quel momento - il perfido Maggiore Hellstrom, già incontrato dallo spettatore nel capitolo dedicato a Shosanna.
Era stato proprio lui, con modi tutto fuorché garbati, a prelevarla dal suo cinema conducendola al pranzo con Goebbels e Zoeller per discutere della possibilità di svolgere nel suo cinema la premiére di Orgoglio della Nazione.
L’ufficiale tedesco, liquidato velocemente la recluta, si sostituisce a essa nel chiedere alla spia inglese della provenienza del suo insolito accento.
Hicox, senza perdere la calma, risponde di provenire dalle falde della montagna Pitz Palù e, da critico cinematografico esperto del cinema tedesco, sfodera una sua presunta partecipazione come comparsa al film La Tragedia di Pitz Palù del maestro Georg Wilhelm Pabst.
Il maggiore tedesco dopo questa spiegazione, invero senza essere invitato, si siede al tavolo con l’attrice tedesca e i tre finti ufficiali nazisti per provare con loro il gioco che stavano facendo gli altri soldati.
Quando finalmente i quattro si stavano liberando della scomoda presenza dell'intruso, Hicox si tradisce con un piccolo dettaglio.
Al momento di ordinare tre whisky, indica il numero con le dita della mano nel modo tipico anglosassone, diverso da quello europeo.
Il particolare non sfugge all’astuto maggiore nazista e da qui in men che non si dica si arriva a uno stallo che ricorda ancora una volta il primo film di Tarantino.
Hellstrom punta la sua Walther dritta verso i gioielli di famiglia di Hicox, il quale però aveva già fatto lo stesso da quando il tedesco si era seduto al loro tavolo, seguito da Hugo Stiglitz il quale, appena saltata la loro copertura, punta a sua volta la propria pistola direttamente sopra i testicoli del nazista.
Bevuto lo scotch irlandese invecchiato di 33 anni ordinato per loro da Hellstrom - “C’è un girone speciale all’inferno per chi che spreca un ottimo scotch” - Hicox sa che non resta molto altro da fare, come con compiaciuta ironia invita Stiglitiz a dire al suo nemico
“Auf Wiedersehen alle tue palle naziste”.
Come alla fine de Le Iene si scatena una veloce quanto esplosiva sparatoria dalla quale, alla fine, sopravvivranno soltanto Bridgette Von Hammersmark e il neo papà Wilhem, che verrà però subito dopo ucciso dall’attrice.
Non si possono lasciare testimoni.
Questa scena presenta un altro importante parallelismo con Le Iene: la presenza di personaggi che sono delle spie infiltrate che devono letteralmente recitare per portare a termine la propria missione e per salvarsi la pelle.
Ciò si lega a quello che, come avevamo visto proprio nell’articolo su Le Iene, è uno dei temi ricorrenti della produzione tarantiniana: la presenza nei suoi film di personaggi che interpretano una parte, che fingono di essere qualcos’altro o qualcun altro.
In Bastardi senza Gloria questa tematica è predominante in quanto strettamente legata al tema della sopravvivenza, ovviamente centrale quando si parla di guerra, e risulta sublimata dall’attenzione che, in particolare in questo senso, è data da Tarantino all’aspetto delle lingue in tempo di guerra.
Durante un conflitto bellico, infatti, la conoscenza della lingua del nemico può facilmente essere un discrimine tra la morte e la sopravvivenza.
Questo aspetto, in Bastardi senza Gloria, viene perfettamente messo in mostra lungo tutta la pellicola, da Landa che si alterna tra tedesco, francese, inglese e perfino italiano, al Tenente Hicox/Micheal Fassbender che parlando perfettamente tedesco avrebbe dovuto introdursi alla premiére insieme a Bridgette Von Hammersmark, nonché il Tenente Aldo Raine e gli altri due bastardi che, nella memorabile e spassossissima scena con Landa alla prima cinematografica, tenteranno - invero con scarso successo - di fingersi italiani che lavorano nel cinema.
Proprio per questa precisa attenzione alla questione linguistica, Bastardi senza Gloria è un film che va assolutamente visto in lingua originale, per potere apprezzare lo sforzo profuso dal cast e dalla produzone in questa direzione.
Nel film sono infatti parlate quattro lingue diverse: inglese, tedesco, francese e, seppur in piccolissima parte, italiano.
Tutto ciò nella versione doppiata in italiano si perde moltissimo; basti pensare che tutte le parti che riguardano Shosanna nella versione originale sono in francese coi sottotitoli in inglese mentre in quella nostrana le battute della ragazza sono ovviamente doppiate in italiano.
Inoltre, con il doppiaggio, si perde una buona parte della strepitosa interpretazione offerta da Cristhoph Waltz, che nel film parla per l’appunto quattro diverse lingue.
Un ruolo anche per questo assai impegnativo e che ha rischiato di far saltare tutto per la difficoltà di trovare un attore all’altezza di questa sfida (in un primo momento Tarantino aveva pensato a Leonardo DiCaprio per il ruolo, sapendo che quest'ultimo parla un po' di tedesco).
Poi è arrivato il provino di quello che, fino ad allora, era un attore semi-sconosciuto e il film si è salvato, lanciando nella stratosfera la carriera di Waltz, da quel momento divenuto uno dei più prolifici attori di Hollywood.
Prima di addentrarci nell’analisi della scena scelta per questo film, non si può non spendere qualche parola su quanto avviene nell’ultimo capitolo e sul ruolo del cinema in questa pellicola.
L’ultimo capitolo, “La Vendetta della Faccia Gigante”, è quello in cui ha luogo la tanto dibattuta premiére di Orgoglio della Nazione, il cui protagonista è l’eroe di guerra Frederick Zoeller.
Bellissima è la scena di apertura del capitolo in questione, con Shosanna che, avvolta in un abito rosso da film anni ’30 – “la-la, Danielle Darrieux” – finisce di prepararsi, tra rossetto e un velo nero, sulle note di Cat People di David Bowie.
Molto bello è pure il piano sequenza che ci mostra come tutti i protagonisti ancora vivi si trovino contemporaneamente all’interno dello stesso luogo, letteralmente pronto a esplodere.
La macchina da presa parte accompagnando Shosanna mentre scende le scale, entrando in mezzo alla folla.
Si dirige da Frederick che, insieme a Goebbels, sta parlando con Emil Jannings, attore tedesco primo vincitore del premio Oscar come Miglior Attore.
Da qui la macchina da presa sale nuovamente dove, affacciato al cornicione, c’è Landa, intento a osservare tutti i presenti.
Il suo sguardo si blocca, poi, accompagnato dalla macchina da presa, scende le scale.
La macchina da presa finisce la sua ininterrotta corsa fino a giungere a Bridgette Von Hammersmark e i tre bastardi infiltrati, raggiunti dal colonnello delle SS, con cui avrà luogo una delle scenette più comiche del film.
Ma ovviamente il clou dell’ultimo capitolo è la vendetta di Shosanna e il suo piano di bruciare il suo cinema con dentro tutti i nazisti, dando fuoco alle pellicole in nitrato, oggetto talmente infiammabile che all'epoca ne era vietato il trasporto sui mezzi pubblici.
Il tutto avviene mentre i nazisti, letteralmente arsi vivi, assistono alla proiezione di un film che rivela loro come la loro assassina sia un’ebrea.
Ricapitolando, abbiamo quindi un film per mandare il suo messaggio di vendetta a coloro che gli hanno ucciso la famiglia; i film, nel senso proprio materiale delle bobine su cui questi sono impressi, come arma per ucciderli e il cinema, luogo sacro della Settima Arte, che diventa la tomba del Terzo Reich, Hitler compreso.
Tarantino con questo film riconosce così al Cinema una forza salvifica in grado di sovvertire anche la Storia facendo addirittura morire Adolf Hitler.
Bastardi senza Gloria è infatti un sentito e poetico di omaggio al cinema, come del resto tutto la produzione di Tarantino, e probabilmente questo film è fino ad ora il suo più grande tributo all'arte cinematografica, almeno prima di C'era una volta a... Hollywood che è a tutti gli effetti una lunghissima lettera d’amore nei confronti del Cinema.
Iconica, poi, è la fine del film, quando il Tenente Aldo Raine, dopo aver fatto fuori il tecnico radio che era insieme a Landa, appone anche a quest’ultimo il marchio riservato a ogni nazista da lui lasciato in vita: la svastica incisa sulla fronte con il suo coltellaccio Apache.
Nell’ultima inquadratura, dal basso verso l’alto con la macchina da presa posta a terra, il personaggio interpretato da Brad Pitt confida all’unico altro bastardo rimasto vivo, Utivich, che
“Questo potrebbe essere il mio capolavoro”.
Non so se Tarantino con questa dichiarazione conclusiva volesse rivendicare un merito personale ma, di sicuro, se così fosse ne avrebbe avuto ben donde.
Infatti, personalmente, ritengo che questo film sia un capolavoro capace di insidiarsi in un ipotetico podio tarantiniano insieme a Pulp Fiction e Kill Bill.
A questo punto non resta che passare alla scena selezionata per questo focus, ovvero quella di apertura del film, che potrebbe essere divertente titolare
“Landa e il bicchiere di latte”.
Dopo i titoli di testa, che scorrono sulle note della bellissima The Green Leaves of Summer, su sfondo nero fa capolino il titolo del primo capitolo: "Once upon a time... in a Nazi-occupied France".
Subito, sin dal primo istante, ecco un richiamo a quello che Tarantino considera senza ombra di dubbio uno dei suoi maestri, se non il suo Maestro per eccellenza, ossia il grande orgoglio italiano Sergio Leone.
I rimandi al regista nostrano presenti all’interno della pellicola non si fermano qui e non si limitano alle semplici citazioni.
Questa, infatti, può sicuramente considerarsi dopo Kill Bill l’opera di Tarantino dove è maggiormente presente l’impronta leoniana.
Dopo il titolo del primo capitolo, una dissolvenza ci porta in aperta campagna francese.
In campo lungo vediamo un fattore che, dinanzi la propria casa, è intento a spaccare legna.
Una didascalia ci avvisa che ci troviamo nel 1941.
Una giovane donna, che subito dopo capiremo essere una delle sue figlie, sta stendendo i panni.
A un certo punto, ancora lontano ma in avvicinamento, si sente il rumore di un motore.
La ragazza scosta il lenzuolo per guardare: dei mezzi si stanno dirigendo verso la fattoria.
Nello stesso momento parte l’ennesimo brano di Ennio Morricone riutilizzato dal nostro, ossia La condanna tratto da La Resa dei Conti di Sergio Sollima, padre del figlio d'arte Stefano.
Questo brano, che comincia con le note di Per Elisa di Ludwig van Beethoven, a cui poi si sovrappongono le classiche chitarre morriconiane, dona subito tensione alla scena prima ancora che lo spettatore si sia reso conto di quale sia il pericolo imminente.
La ragazza, Julie, richiama subito l’attenzione del padre, che interrompe il lavoro con l’accetta.
Altre due ragazze, anch’esse figlie del fattore, escono di casa preoccupate, ma il padre ordina loro di tornare immediatamente dentro.
Sedutosi per un momento sul ceppo su cui fino all’attimo prima stava tagliando la legna, il padre chiede invece a Julie di preparargli dell’acqua per sciacquarsi.
Mentre la figlia riempie una bacinella, il fattore - asciugandosi la fronte dal sudore - osserva una piccola jeep e due motociclette avvicinarsi minacciosamente.
L’uomo si avvia lentamente alla bacinella, senza che i suoi movimenti possano tradire alcuna preoccupazione e, allo stesso modo, intima alla figlia di rientrare in casa senza correre.
Perrier LaPadite, il fattore, si sciacqua.
I mezzi si sono fermati.
Ora possiamo inequivocabilmente vedere che si tratta di soldati nazisti.
Quello che tra loro è chiaramente il capo, si avvicina al fattore, seguito lateralmente dalla macchina da presa.
“È la proprietà di Monsieur LaPadite?”, chiede in francese l’ufficiale tedesco.
“Sono io Perrier LaPadite” risponde l’uomo.
Con un fare pomposo, quasi manieristico, cosa che caratterizzerà il personaggio per tutta la durata del film, il nazista si presenta, con tanto di stretta di mano, al contadino francese.
“È un piacere conoscerla, Monsieur LaPadite.
Sono il colonnello Hans Landa delle SS”.
“Come posso aiutarla?”, chiede il francese.
“Speravo che potesse invitarmi in casa per poter parlare con lei” risponde l’altro.
“Certo, dopo di lei” non può che replicare l'uomo.
I due entrano in casa dove, ad attenderli in piedi, una accanto all’altra, vi sono le tre figlie di LaPadite.
L’ampia profondità di campo dell’ottica utilizzata ci permette di vedere attraverso la finestra i soldati nazisti, rimasti fuori ad aspettare accanto all’auto.
[Il direttore della fotografia Robert Richardson al lavoro]
“Colonnello Landa, questa è la mia famiglia”, spiega con la dovuta cortesia l’uomo, presentando le tre figlie.
“Colonnello Hans Landa delle SS, Mademoiselle, al vostro servizio” - si presenta a sua volta il militare, baciando la mano della figlia interpretata da Lea Seydoux - “Le voci che ho sentito in paese sulla sua famiglia sono veritiere.
Monsieur LaPadite, le sue figlie sono una più graziosa dell’altra”, aggiunge con galanteria.
Dopo aver educatamente invitato il colonnello ad accomodarsi, LaPadite esorta la figlia Suzanne a portare del vino all’uomo ma questi, afferrandola per il polso potendo così controllare la sua agitazione sentendo il battito cardiaco, ferma la giovane dicendo di evitare il vino:
“Visto che siamo in una fattoria, di sicuro avrete del latte?”.
Qui non si può fare a meno di notare come Bastardi senza Gloria si vada ad aggiungere a una lista di film cult che, abbastanza ironicamente, iniziano con un bel bicchiere di latte - che dovrebbe rappresentare purezza e pace - per poi rivelarsi pellicole che hanno invece protagonisti sui generis e violenti.
Ogni riferimento a film come Arancia Meccanica, Non è un Paese per vecchi o Léon è, come si suol dire, puramente (non) casuale.
Mentre Suzanne si appresta a versare un bel bicchiere di latte sotto lo sguardo attento di Landa, la preoccupazione destata dalla presenza dell’indesiderato ospite è palpabile negli sguardi che le figlie di LaPadite si scambiano con il padre.
Una volta versato nel bicchiere, il militare delle SS, non prima di aver ringraziato l’ospitale ragazza, beve tutto d’un sorso il suo latte.
Qui Landa ricorda molto il Sentenza de Il Buono, il Brutto, il Cattivo quando, nella sua prima apparizione del film, va a fare visita al malcapitato di turno che è stato incaricato di uccidere.
Chi ha visto il film ovviamente ricorderà come in questa scena il personaggio interpretato dal mitico Lee Van Cleef, prima di uccidere il poveretto che tenta in tutti i modi di corromperlo per salvarsi la vita, si prenda tutto il tempo prima di compiere il prorio dovere.
In questo senso, restano memorabili i momenti in cui lo spietato killer, entrato in casa mentre la sua vittima designata stava cenando, si siede a tavola con assoluta tranquillità e, come se nulla fosse, si serve e comincia a mangiare guardando il poveretto, terrorizzato.
Ed è proprio questo contrasto stridente - tra la drammaticità del momento e l’assoluta calma e controllo mostrati da Sentenza - che crea una palpabile atmosfera carica di tensione e pericolo, donando al killer un’aura terrificante.
Lo stesso avviene mentre Landa si scola il suo bicchiere di latte.
“Monsieur, alla sua famiglia e alle sue vacche io dico: Bravi”, si complimenta il nazista.
A questo punto il tedesco, sempre rigorosamente in francese, invita il padrone di casa a sedersi al tavolo insieme a lui e, avvicinandosi con tono confidenziale, gli dice:
“Monsieur LaPadite, quello che sono venuto a dirle, sarebbe meglio dirlo in privato.
Noterà che ho lasciato i miei uomini fuori. Se non si offendono – domanda con il consueto garbo che lo contraddistingue e che fa sembrare richieste cortesi anche quelli che invece sono inviti che non conviene non accogliere – potrebbe chiedere alle sua graziose fanciulle di uscire?”.
“Ha ragione”, risponde l’uomo, prima di rivolgersi alle figlie affinché escano fuori.
I due uomini rimangono soli.
“Monsieur LaPadite, mi dispiace informarla che ho esaurito la mia conoscenza del francese.
Continuare a parlarlo in modo inadeguato mi metterebbe solo in imbarazzo”, dice il colonnello Landa al suo interlocutore, chiedendo subito dopo il “permesso” di poter continuare la conversazione in inglese, che sa essere parlato dal fattore.
Risolto il problema linguistico, Landa domanda al francese se questi sia informato su chi esso sia.
“Era al corrente della mia esistenza?”
“Yes” replica LaPadite.
“Questo è positivo” - si compiace il tedesco - “È al corrente del compito che mi è stato chiesto di svolgere in Francia?”
“Yes”, ripete ancora l'uomo.
“La prego” – lo esorta Landa – “mi dica cosa ha sentito”.
“Ho sentito che il Führer le ha dato l’incarico di radunare gli ebrei rimasti in Francia che si nascondo o si fanno passare per gentili” risponde il fattore.
“Il Führer stesso non si sarebbe potuto esprimere meglio”, afferma l’altro, soddisfatto che non ci sia bisogno di spiegare al suo interlocutore il proprio ruolo.
Mentre Landa prende la sua borsa, LaPadite, cercando di porsi nel modo meno scortese possibile, gli chiede:
“Ma il motivo della sua visita, per quanto piacevole, per me è un mistero”.
Landa lo guarda con un sorrisetto, mentre nel frattempo estrae dalla sua borsa un grande blocco per gli appunti.
“I tedeschi hanno perquisito la mia casa nove mesi fa in cerca di ebrei nascosti e non hanno trovato niente”, prova a spiegare il francese, nella speranza che questa scomoda visita possa finire prima ancora di cominciare.
“Ne sono al corrente. Ho letto il rapporto su questa zona”, risponde Landa, senza distogliere lo sguardo da tutti i suoi strumenti di lavoro - quadernone, documenti, penna e calamaio ecc.. - che sta ordinatamente sistemando sul tavolo con un’invidiabile, quanto inquietante, meticolosità.
Già da questi piccoli particolari, infatti, lo spettatore percepisce la carica di pericolosità che si cela dietro il composto controllo esibito dal gerarca nazista, indubbiamente merito, oltre che di scrittura e regia, della strabiliante performance sfoderata da Cristhoph Waltz.
“Ma come in ogni impresa, quando c’è una nuova gestione c’è sempre un certo eccesso di zelo” - continua il colonnello delle SS, mentre intinge la sua stilografica nell’inchiostro - “Quasi sempre è una completa perdita di tempo, ma deve comunque essere fatto”.
“Ho solo qualche domanda, Monsieur LaPadite. Se lei può assistermi con le risposte” – gli dice ammiccando – “la mia sezione potrà chiudere il fascicolo sulla sua famiglia”, ossia ciò che maggiormente brama lo spaventato contadino, che rimane in silenzio in attesa della prossima mossa di Landa, il quale ha già il pieno controllo emotivo della conversazione.
Del resto si tratta pur sempre di un povero e indifeso fattore francese al cospetto di un temibile colonnello delle SS.
“Dunque, prima dell’occupazione c’erano quattro famiglie ebree in questa zona. Tutti contadini come lei” – chiede conferma Landa, rivolgendosi a LaPadite, a cui elenca i nomi di queste famiglie ebree in cerca di assenso.
“Che io sappia, le famiglie ebree fra i contadini erano quelle”, conferma il francese.
Qui, il padrone di casa chiede al suo ospite se lo disturba se fuma la pipa.
“Prego, Monsieur LaPadite, questa è casa sua, si metta a suo agio”, risponde l’altro, con i modi educati e gentili che usa per ammansire ancor più i suoi ascoltatori.
Mentre il contadino si alza per prendere l’occorrente per fumare la pipa, Landa prosegue il suo interrogatorio:
“Secondo le mie carte, tutte le famiglie ebree della zona sono state individuate, tranne i Dreyfus. Ad un certo punto...” – prosegue, mentre il contadino si riaccomoda al tavolo – “...l’anno scorso, sembra che siano spariti.
Il che mi porta a concludere che o sono riusciti con successo a fuggire o qualcuno è bravissimo a nasconderli”.
Il nazista introduce, seppur ancora alla lontana, il punto focale della sua visita:
“Che cosa ha sentito dire dei Dreyfus, Monsieur LaPadite?”.
Il fattore prova a fingere tranquillità, mentre con cura prepara la pipa.
“Solo chiacchiere”, risponde.
“Io adoro le chiacchiere” – esclama entusiasta Hans Landa – “I fatti possono essere così fuorvianti. Mente le chiacchiere, vere o false, sono spesso rivelatrici”, chiosa, regalandoci un paradosso degno di Oscar Wilde.
“Allora, Monsieur LaPadite, che chiacchiere ha sentito sul conto dei Dreyfus?”.
“Ripeto, è soltanto una chiacchiera...” – abbozza il contadino – “...ma abbiamo sentito che i Dreyfus sono riusciti a scappare in Spagna”.
Mentre - con un bellissimo ed elegante primo piano - la macchina da presa riprende LaPadite che si accende la pipa, Landa chiede conferma:
“Quindi le chiacchiere che lei ha sentito parlano di fuga?”
“Si”, risponde il francese.
“Visto che non ho mai incontrato i Dreyfus, vuole confermarmi il numero esatto dei componenti e i loro nomi?”, chiede il colonnello.
“Erano cinque in famiglia” risponde l’altro, mentre la macchina da presa, con un movimento circolare, si sposta lentamente attorno al tavolo, spostandosi dalla destra di Landa alla sua sinistra, per poi fermarsi in mezzo ai due uomini.
LaPadite elenca i nomi dei Dreyfus fino a Shosanna, indicandone l’età approssimativa; il tutto mentre l’ufficiale delle SS aggiorna i suoi dati in merito nel suo quadernone, come un’inquadratura in dettaglio ci mostra.
Il montaggio stacca sul primo piano laterale di LaPadite che risponde a Landa circa l’età che dovrebbe avere Shosanna:
“...diciotto o diciannove. Non sono sicuro”.
Dal primo piano di LaPadite, la macchina da presa lentamente scende giù fino ai suoi piedi per poi spingersi fin sotto le travi del pavimento.
Nascosti sotto queste, la macchina da presa ci mostra la famiglia Dreyfus, con Shosanna in primo piano mentre con la mano si tappa la bocca, per evitare si possa udire anche il più piccolo gemito (gesto che ricorda molto quando, nell’intermezzo animato di Kill Bill Volume 1, la piccola O-Ren, nascosta sotto il letto, sente i sicari del boss Matsumoto uccidere i genitori).
“Bene, penso che sia tutto” - dice Landa – “Ma prima di andare, potrei avere un altro bicchiere del suo latte squisito?”.
Qui, per lo spettatore, cambia tutto.
Se fino a un attimo prima si stava assistendo al dialogo tra il povero fattore francese e il colonnello Landa senza sapere nulla di più di quello che emergeva dalle parole dei due e quindi concentrandosi su quali strade il film andrà a percorrere - del resto si parla dei primi 12 minuti del film - con la rivelazione del segreto nascosto da LaPadite Tarantino crea pura suspense, nel segno del migliore Alfred Hitchcock.
Il grande regista inglese, infatti, era il maestro indiscusso della suspense e non c’è modo migliore di spiegare in cosa essa consista delle parole con cui lo stesso Hitchcock ne spiegava la differenza con la semplice sorpresa a Francois Truffaut.
“La differenza tra suspense e sorpresa è molto semplice.
[...] Noi stiamo parlando, c’è forse una bomba sotto questo tavolo e la nostra conversazione è normale, non accade niente di speciale e tutt’a un tratto: boom, l’esplosione.
Il pubblico è sorpreso, ma prima che lo diventi gli è stata mostrata una scena assolutamente normale, priva di interesse.
Ora veniamo alla suspense.
La bomba è sotto il tavolo e il pubblico lo sa, probabilmente perché ha visto l’anarchico mentre la stava posando.
Il pubblico sa che la bomba esploderà all’una e sa che è l’una meno un quarto - c’è un orologio nella stanza - la stessa conversazione insignificante diventa tutt’a un tratto molto interessante perché il pubblico partecipa alla scena.
Gli verrebbe da dire ai personaggi sullo schermo: "Non dovreste parlare di cose banali, c’è una bomba sotto il tavolo che sta per esplodere da un momento all’altro!"
Nel primo caso abbiamo offerto al pubblico quindici secondi di sorpresa al momento dell’esplosione.
Nel secondo caso gli offriamo quindici minuti di suspense”.
E questo è proprio quello che Quentin Tarantino riesce a fare: creare una tesissima suspense per il resto della scena perché ormai lo spettatore sa cosa c’è in gioco e non può che fare il tifo per LaPadite, sperando che il temibile nazista se ne vada il prima possibile senza scoprire nulla e che lui e i Dreyfus la facciano franca.
Mentre il contadino prende il latte per versarne un altro bicchiere a Landa, quest’ultimo, profondendosi in calorosi sorrisi, domanda:
“Monsieur LaPadite, conosce il soprannome che il popolo di Francia mi ha dato?”
“Non mi interessano certe cose”, replica il fattore, cercando di evitare la risposta. Ma Landa insiste:
“Ma lo sa come mi chiamano?”.
“Lo so”.
“E cosa sa?”, chiede il tedesco.
LaPadite si siede, porta la pipa alla bocca e avvicina il bicchiere di latte verso Landa adagiandosi comodamente sullo schienale della sedia.
In questo momento crede di avere scampato il pericolo.
“Che la chiamano Il cacciatore di ebrei”.
“Precisamente” - si complimenta il tedesco, con un soddisfatto sorriso - “Capisco la sua esitazione a ripeterlo...” – prosegue con quel tono colloquiale che trae in inganno i suoi interlocutori, facendogli credere che possano rilassarsi.
“Heydrich a quanto pare odiava il nome d’arte che la brava gente di Praga gli aveva affibbiato.
In realtà perché avrebbe dovuto odiare quel nome, il Boia, mi sfugge.
Sembra che abbia fatto tutto quanto in suo potere per meritarlo. Ma io, al contrario...” – ed ecco la prima piccola bordata – “amo il mio titolo non ufficiale, proprio perché l’ho meritato”.
LaPadite lo osserva in silenzio.
Sembra che cerchi di capire, senza successo, dove voglia arrivare con tutte quelle chiacchiere.
E di certo sentire dire all’ufficiale delle SS che ama il soprannome di Cacciatore di Ebrei che gli hanno dato proprio perché se l’è meritato non può lasciare tranquillo chi nasconde sotto i propri piedi un’intera famiglia ebrea.
“Il tratto che fa di me un cacciatore di ebrei così efficace è che, contrariamente a molti soldati tedeschi, io riesco a pensare come un ebreo...” – spiega con fierezza Landa – “...mentre loro pensano solo come tedeschi, o più precisamente soldati tedeschi”, puntualizza ridendosela.
Uno stacco di montaggio ci mostra Shoshanna che, sempre nascosta con la mano alla bocca, ascolta il monologo del militare tedesco.
Se qualcuno se ne fosse per caso dimenticato, questa inquadratura ci ricorda che i due non sono soli e che la “bomba” pronta ad esplodere di cui parlava Hitchcock è sempre lì, sotto i loro piedi.
Ma Landa non ha ancora terminato il suo show:
“Se si dovesse determinare quale attributo il popolo tedesco condivida con un animale, questo sarebbe l’istinto astuto e predatore di un falco.
Ma se si dovesse determinare quali attributi gli ebrei condividano con un animale, sarebbero quelli del ratto” spiega, mentre LaPadite lo ascolta, sempre in silenzio.
“La propaganda del Führer e di Goebbels ha detto più o meno la stessa cosa” – aggiunge – “Le nostre conclusioni differiscono nel fatto che io non considero il paragone un insulto. Consideriamo per un momento il mondo in cui un ratto vive.
È un mondo ostile, davvero” - sottolinea convinto il nazista, spiegando con un illuminante esempio la sua teoria – “Se un ratto dovesse intrufolarsi ora dalla porta di casa sua, non lo accoglierebbe con ostilità?”.
“Immagino di sì”, ammette il contadino.
“I ratti le hanno mai fatto qualcosa per suscitare in lei questa animosità?”, domanda Landa, divertito dal fatto che sta dimostrando al proprio interlocutore la bontà della propria tesi.
“I ratti diffondono le malattie, mordono le persone”, si giustifica LaPaditte.
“I ratti erano la causa della peste bubbonica, ma tempo fa” – replica il tedesco – “Io credo che tutte le malattie diffuse dai ratti, possano essere diffuse ugualmente dagli scoiattoli.
È d’accordo?”
Il francese annuisce.
“Eppure non nutre per loro la stessa animosità che ha per i ratti, vero?”
“No”, conferma il contadino.
“Sono entrambi roditori, non è così? E a parte la coda si somigliano perfino, non è così?”, insiste Landa.
“È un concetto interessante, Herr Colonel”.
“Tuttavia, per quanto interessante, non fa la minima differenza per quello che lei prova. Se un ratto s’intrufolasse dalla porta in questo preciso istante, gli offrirebbe un piattino del suo latte squisito?”, domanda il colonnello.
“Probabilmente no” è costretto ad ammettere LaPadite.
“Io credo di no. Non le piacciono” – sentenzia deciso il nazista - “In realtà non sa perché non le piacciono. Sa soltanto che li trova ripugnanti”.
È incredibile come, con questa piccola metafora, messa in bocca proprio a un nazista cacciatore di ebrei, Tarantino ci regali una perfetta e chiarissima spiegazione di cosa sia il razzismo e le sue orribili fondamenta.
Ma il discorso di Landa punta ovviamente da un’altra parte.
“Ora, un soldato tedesco perquisisce una casa dove si sospetta siano nascosti gli ebrei” - continua il colonnello, mentre la macchina da presa inquadra i due uomini, seduti l’uno di fronte all’altro - “Dove guarda il falco?
Guarda nel fienile, guarda in soffitta, guarda in cantina, guarda in tutti i posti dove si nasconderebbe lui”.
E qui Landa cala la prima mano importante.
“Ma ci sono molti luoghi in cui ad un falco non verrebbe mai in mente di nascondersi”, prosegue.
“Comunque, la ragione per cui il Führer mi ha portato via dalle mie Alpi in Austria e mi ha messo nella campagna francese oggi, è perché è venuto in mente a me.
Perché so di quali imprese incredibili gli esseri umani siano capaci, una volta abbandonata la propria dignità”.
Il colonnello delle SS ha concluso con successo la prima parte della sua elaborata strategia.
Tutti i ricami verbali fatti da Landa fino a questo momento, infatti, avevano un unico e preciso obiettivo preliminare, ossia fare capire bene a Monsiuer LaPadite che l’uomo che ha di fronte è dannatamente bravo a fare il lavoro per cui è venuto in casa sua: trovare gli ebrei che si nascondono, sfuggendo ai nazisti.
Il passo successivo sarà quello teso a fargli rivelare la verità senza complicazioni.
“Posso fumare la pipa anch’io?”
“Prego, Colonnello, faccia come a casa sua”.
Qui Tarantino inserisce un piccolo inserto comico, che non fa che rendere ancora più affascinante nella sua unicità il personaggio di Hans Landa.
Il colonnello, infatti, sfodera dalla giacca un’enorme pipa alla Sherlock Holmes che sovrasta in dimensioni quella del povero mezzadro.
Ricordo bene le fragorose risate del pubblico in sala alla vista dello sguardo stupito di LaPadite.
Nel frattempo, quest'ultimo è in silenzio.
Il suo sguardo si abbassa lentamente: ha capito di avere cantato vittoria troppo presto.
“Ora, il mio dovere impone” - riprende Landa, mentre si accende la pipa - “che io debba far entrare i miei uomini in casa sua per perquisirla scrupolosamente prima di poter ufficialmente cancellare il nome della sua famiglia dalla mia lista.
E se ci fossero irregolarità, di sicuro verrebbero riscontrate”.
E poi, arriva al punto.
“A meno che lei non debba dirmi qualcosa che renda la perquisizione inutile”.
Il montaggio stacca sul primo piano del militare, che prosegue:
“Potrei aggiungere che ogni informazione che faciliti lo svolgimento del mio dovere non verrà ricambiata con una punizione” – dice, guardando dritto negli occhi LaPaditte – “Anzi, verrà ricambiata con un premio”, aggiunge.
La macchina da presa passa sul primo piano del fattore, stringendosi su di lui con una lenta carrellata.
“E quel premio sarà” - conclude il nazista - “che la sua famiglia non verrà più disturbata in alcun modo dai militari tedeschi per il resto della nostra occupazione nel vostro Paese”.
Lo sguardo del fattore francese, a questo punto, è di pura paura e smarrimento.
Quello che Landa non ha avuto bisogno di dire a parole, il sottointeso, è che se al contrario il fattore non collaborerà, loro troveranno i Dreyfus ugualmente e le conseguenze per lui e le sue figlie saranno molto, molto negative.
Gli occhi del contadino sono quelli di chi ha compreso di non avere né scelta né via di scampo.
La strategia di Landa, messa in atto come un collaudato copione, è arrivata al suo epilogo.
Con successo.
La macchina da presa, sempre con un lento zoom in avvicinamento, inquadra ora il colonnello, che fissa con sguardo risolutivo il suo interlocutore.
È il momento conclusivo.
LaPaditte è pronto a cedere.
“Lei da rifugio ai nemici dello Stato, vero?”, domanda Landa al francese mentre LaPaditte ha le lacrime agli occhi.
“Sì”, è costretto ad ammettere.
“Dà loro rifugio sotto le tavole del pavimento, vero?”, incalza il tedesco.
“Sì”, risponde con gli occhi gonfi.
“Mi indichi il punto in cui si nascondono”, ordina risoluto Landa, mentre in sottofondo comincia a sentirsi un suono stridulo, che è l’inizio del brano Incontro con la figlia di Morricone, tratto da Il Ritorno di Ringo.
Mentre le lacrime rigano le sue guance, LaPaditte, con mano tremante, indica al famigerato nazista la posizione dei Dreyfus.
Landa si alza e, portandosi nel luogo indicato dal francese, con un movimento del braccio, senza parlare, chiede conferma sull’esatta ubicazione del nascondiglio della famiglia ebrea.
“Non ho udito alcun rumore...” – osserva il tedesco – “...per cui immagino che pur ascoltando, non capiscano l’inglese, vero?”.
“Yes”, conferma LaPaditte, ormai pietrificato.
“Ora comincerò a parlare francese e lei seguirà la mia finzione. È chiaro?”, intima Landa al fattore.
“Yes”, è costretto nuovamente a rispondere il contadino, i cui occhi pieni di lacrime sono allo stesso tempo colmi di rabbia.
Una rabbia colma di impotenza.
“Monsieur LaPaditte...” – esclama Hans Landa, cominciando in francese la sceneggiata ferale – “...la ringrazio per il suo latte e la sua ospitalità”, prosegue, mentre raccoglie le sue cose.
“Penso che non abbiamo più niente da fare qui”.
Il colonnello si dirige verso la porta di ingresso, mentre il suono stridulo continua a salire sempre più d’intensità.
“Signore” - dice, in realtà rivolgendosi ai suoi soldati - “vi ringrazio per il tempo che ci avete dedicato”.
I soldati entrano in casa.
Landa gli indica la posizione del nascondiglio.
“Non vi disturberemo più”, prosegue, mentre la musica continua il suo crescendo.
I soldati si sono posizionati sopra la famiglia Dreyfus, ignara di tutto.
LaPaditte è distrutto.
“Allora, Monsieur, Mesdemoiselles.
Mi congedo e vi porgo i miei saluti” conclude, dando ai suoi uomini il segnale di far fuoco.
La musica è arrivata al suo climax.
I soldati nazisti sparano all’impazzata verso il pavimento, crivellando di proiettili la povera famiglia ebrea.
La stanza si riempie di trucioli di legno che si sollevano per aria.
D’un tratto, Landa fa segno ai suoi uomini di far silenzio.
L’astuto detective nazista ha captato qualcosa.
“È la ragazza”, intuisce.
Dalle intercapedini tra le travi scorge infatti Shosanna che prova a scappare.
La giovane, fuggendo da una grata, si dà alla fuga correndo come una forsennata.
La sua corsa ci viene mostrata attraverso il telaio della porta aperta, che funge da cornice disegnando una sorta di inquadratura dentro l’inquadratura.
Landa si porta sull’uscio.
Osserva Shosanna, poi solleva la sua pistola per prendere la mira.
Ma la giovane Dreyfus, con la sua fuga disperata, si allontana sempre più dalla fattoria.
“Ops”, esclama il colonnello.
Shosanna è ormai troppo lontana - oppure l’ha volontariamente lasciata fuggire?
Non lo sapremo mai.
“Au Revoir, Shosanna!”, grida divertito Landa, mentre la ragazza scompare nel bosco.
E, in effetti, i due si incontreranno di nuovo.
Finisce così il primo capitolo di Bastardi senza Gloria.
Come spero di essere riuscito a rendere almeno in minima parte, la costruzione e la realizzazione di questa scena sono veramente incredibili.
Perfette, oserei dire.
Il modo in cui Landa si approccia al contadino francese, circuendolo con una cottura lenta che passa dal far capire con chi si ha a che fare, facendo percepire per bene la propria minacciosità, al mettere ingannevolmente a suo agio la propria vittima per poi, dopo averlo ubriacato di parole, diventare repentinamente espliciti mettendo al muro il fattore, lasciandolo senza alcuna scelta tranne quella di tradire i Dreyfus.
Tutto ciò accompagnato dalla suspense che monta nello spettatore dopo che, con una riuscitissima scelta registica, viene rivelato il segreto di LaPaditte.
Aggiungete le incredibili battute messe in bocca a Christoph Waltz nonché, ovviamente, l’interpretazione che quest’ultimo ci ha regalato del colonnello Hans Landa e otterrete quella che - come sostenuto anche dallo stesso regista di Knoxville - è forse la miglior scena mai scritta da Quentin Tarantino.
[Mattia Corselli]