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Scene al microscopio: Pulp Fiction - Il Jack Rabbit Slim's

Una scena in particolare, analizzata nel dettaglio da Mattia Corselli

Aspettando C'era una Volta a... Hollywood, Mattia Corselli ripercorre la carriera di Quentin Tarantino analizzando una singola scena di ogni suo film: è la volta di Pulp Fiction e della scena al Jack Rabbit Slim's.

 

Pulp Fiction esce nelle sale americane il 14 ottobre 1994. Il cinema non sarà più lo stesso.

 

Per ognuno di noi, chi più chi meno, ci sono dei film che ci hanno segnato.

 

I motivi possono essere i più svariati; ciò che li accomuna è che nella nostra vita ci siamo imbattuti in alcune pellicole la cui visione ci ha colpito profondamente, le cui immagini e storie ci hanno fatto provare qualcosa di diverso, qualcosa che ci rimane dentro e che fa sì che quei film, per il resto della nostra vita, saranno per sempre i nostri film.

 

Per me, Pulp Fiction è uno di questi, e so bene di essere in nutrita compagnia. 

 

 

 

La prima volta che l’ho visto avevo addirittura meno di 10 anni.

 

Mio padre aveva comprato la VHS, che oggi custodisco gelosamente, facente parte di una di quelle collane che uscivano con i settimanali dei quotidiani più importanti.

 

Non ricordo molto di quella visione, nella mente ho sbiaditi frame di quell’esperienza.

Mi rimase impressa però, non so perché, la battuta raccontata da Mia/Uma Thurman sul pomodorino schiacciato da Papà Pomodoro (“Fai il concentrato”).

 

La visione che invece mi ha segnato, e che l’ha fatto entrare tra i film della mia vita, è avvenuta quando ero adolescente.

 

In quell’occasione, la visione di Pulp Fiction fu per me un’epifania. 

 

Avevo appena visto qualcosa che non avevo mai visto prima, men che meno immaginato. Ricordo quell’esplosione di sensazioni ed emozioni che solo l’arte può darti, che nascono al nostro interno per poi manifestarsi attraverso i sensi; ricordo infatti che provai proprio i brividi. 

 

 

 

 

Esprimere in parole perché questo film mi abbia colpito così tanto, e analogamente spiegarne le ragioni del debordante successo, può essere allo stesso tempo molto facile e pressoché impossibile.

 

Da un lato infatti possiamo sicuramente individuare svariati elementi che rendono Pulp Fiction una delle pietre miliari del Cinema nonché un punto di svolta per il cinema statunitense, segnando una fragorosa rottura con quel Cinema che dagli anni ’80 aveva cominciato a fossilizzarsi su formule standard e prevedibili.

 

Innanzitutto, in questo film due degli elementi che già contraddistinguevano il precedente Le Iene, ovvero la presenza di personaggi super cool e di dialoghi fulminanti, vengono elevati a un livello ancora superiore.

 

I protagonisti del film sono assolutamente indimenticabili e sono entrati di diritto nella Storia del Cinema.

Per cominciare abbiamo la coppia di gangster Vincent Vega/John Travolta e Jules Winnfield/Samuel L. Jackson, super fighi nei loro iconici completi, che riprendono quelli de Le Iene, con i loro scambi verbali e le loro diatribe. 

 

 



In particolare, assolutamente spassosi sono tutti i bisticci tra i due presenti nell’ultimo capitolo del film, da quando discutono sulla natura di miracolo o no del fatto che ogni singolo proiettile che gli è stato sparato contro un attimo prima li abbia mancati a quando, in panico, cercano di capire come muoversi dopo che Vincent ha “preso in piena faccia Marvin”, per continuare con quando Jules rimprovera il compare per non essersi lavato le mani col sapone e avere dunque imbrattato di sangue l'asciugamano di Jimmy

“Però io ho usato lo stesso sapone e quando ho finito l’asciugamani non somigliava ad un maxi assorbente!”

 

Per finire con lo “scontro” che avviene all’interno dell’auto tutta sporca del sangue e dei pezzi del cervello del povero Marvin su chi debba pulire il davanti e chi il dietro.

 

Come non menzionare poi il mitico Mr. Wolf (“Risolvo problemi”), tanto iconico da essere citato pure dal Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella alla presenza del nostro Quentin Tarantino in visita al Quirinale. 

 

 

 

 

La sua freddezza, la precisione, il metodo con cui arriva, capisce al volo la situazione e i suoi problemi ed individua come risolverla, lo rendono ancora più cool della coppia di cui sopra.

 

Tanto cool che il personaggio interpretato da Harvey Keitel è la chiara fonte di ispirazione dell’altrettanto iconico Mike Ehrmantraut di Breaking Bad, serie che ha più volte omaggiato Pulp Fiction soprattutto nelle prime due stagioni.

 

Senza dilungarsi su tutti, non possiamo non ricordare Pumpkin e Honey Bunny, la sgangherata coppia di rapinatori protagonisti dell’intro del film.

Così come Butch e Fabienne, o ancora Zed.

 

E infine, ovviamente, vi è Mia, la bellissima e conturbante Mia, moderna Lolita.

Ma di lei parleremo più avanti. 

 

 



Per quel che riguarda i dialoghi invece, anche in questo caso l’elenco di quelli formidabili che, come dicevamo nello scorso episodio solo Quentin sa buttare giù, è anch’esso lungo.

 

Per citarne solo alcuni, si comincia già dalla prima scena, quando i due rapinatori parlano delle difficoltà che ormai ci sono nel loro “lavoro”

"Niente più negozi di liquori?"

"Non senti quando parlo? Sì, niente più negozi di liquori.

E poi non c’è più lo sfizio di una volta, ormai sono in mano a troppi stranieri. Vietnamiti, coreani; non parlano neanche la tua lingua.

Gli dici "svuota il registratore di cassa" e non sanno di che cazzo parli. Ne fanno un fatto personale.

Uno di questi musi gialli ci costringerà ad ammazzarlo, vedrai tu, vedrai"

 

Per continuare con le conversazioni tra Jules e Vincent sui massaggi ai piedi o sulle differenze tra l’Europa e l’America, che poi sono quelle che lo stesso Quentin, da ragazzone che per la prima volta viaggiava fuori dagli Stati Uniti, deve avere notato in quei mesi in cui scriveva Pulp Fiction vivendo proprio ad Amsterdam, la città da cui proviene Vincent (tra l’altro solo ora mi chiedo per la prima volta se il nome del personaggio di Travolta possa essere un omaggio a Vincent van Gogh, a cui è interamente dedicato uno splendido museo proprio nella città dei coffee shop). 

 

Memorabili poi sono anche i discorsi tra Vincent e lo spacciatore nerd Lance sugli “stronzi” che fanno “i furbi con le macchine degli altri” nonché quelli sulla qualità della droga

“Sono un negro? Siamo ad Inglewood?

No! Sei a casa mia; i bianchi che sanno la differenza tra roba buona e roba di merda è in questa casa che vengono.

Con la mia roba sono prontissimo a sfidare la robaccia di Amsterdam in un giorno qualunque della settimana”

 

 



Nonché ovviamente il monologo Ezechiele 25,17 pronunciato da Jules prima di uccidere le sue vittime, per concludere poi con le parole pronunciate da Mr. Wolf; su tutte, l’indimenticabile e pluricitata espressione:

“Non è ancora il momento di farci i pompini a vicenda”.

 

Infine, parlando di Pulp Fiction non si può non citare la sceneggiatura, grazie alla quale Quentin Tarantino vinse il suo primo Oscar (poi replicato, sempre nella stessa categoria, grazie a Django Unchained) con la sua destrutturazione della narrazione, che abbandona qualunque intento di raccontare la storia in ordine cronologico.

 

Da questo punto di vista, con Pulp Fiction Tarantino fa però qualcosa che va oltre il semplice smontare e rimontare in diverso ordine i fatti che compongo il racconto; non si limita ad abbandonare un’esposizione lineare.

 

Questo infatti, ancora prima di quanto da lui stesso fatto con Le Iene, non era certo una novità nel cinema per quanto fosse un espediente che, fino ad allora, era stato utilizzato sicuramente molto meno di quanto poi non sia avvenuto nell’epoca post-Pulp Fiction.

 

Dove invece Tarantino va oltre è nel fatto che il film non si conclude con quella che “sarebbe” la sua fine.

Ogni film, infatti, generalmente si conclude con quello che, cronologicamente, è il suo epilogo, anche quelli in cui sono presenti flashback o in cui alcune parti vengono mostrate prima di altre che in realtà temporalmente le precedono.

 

Così non avviene con Pulp Fiction.

 

 



L’intero terzo ed ultimo capitolo, infatti, si pone cronologicamente addirittura prima degli altri due capitoli che lo seguono, essendo temporalmente preceduto soltanto dalla scena della chiacchierata in auto tra Jules e Vincent.

 

Il film quindi termina quando finisce quella che, cronologicamente, è la prima delle tre parti in cui è suddiviso.

 

Ciò rende allora possibile che, dopo essere morto nell’episodio dedicato a Bruce Willis L'orologio d'oro, Vincent Vega riappaia più vivo che mai nella parte finale del film, fino all’ultimissima scena, come se non lo avessimo mai visto morire prima sulla tazza del cesso.

 

Magia del cinema. Magia di Pulp Fiction.

 

Rispetto alla morte di Vincent, facendo un piccolo inciso, è tra l’altro curioso notare come la toilette sia un luogo frequentato più volte dal killer all’interno del film e da cui, quando ne esce, trova sempre una situazione radicalmente diversa da quella che aveva lasciato entrandovi.

 

La prima volta che lo vediamo in bagno è quando riaccompagna Mia a casa di Marsellus Wallace; quando ne esce trova Mia in overdose.

La seconda volta è proprio quando si trova a casa di Butch: mentre aspetta che Marsellus torni con la colazione si chiude in bagno a leggere ma, uscendo, si ritrova davanti il pugile che impugna la sua stessa arma contro di lui, per poi ucciderlo.

 

La terza è invece proprio nell’ultima scena del film quando, dopo averla scampata grazie all’aiuto di Mr. Wolf, insieme a Jules si ferma alla tavola calda per fare colazione. 

 

 



Quando esce dal bagno, trova Honey Bunny che, in piedi sopra il bancone, punta la pistola contro Jules, il quale a sua volta tiene in ostaggio il personaggio interpretato da Tim Roth.

 

Come visto, pur tralasciando numerosi aspetti del film - basti pensare che non ho praticamente parlato di Butch e Fabienne e di quanto avviene nel secondo capitolo - un elenco di elementi che rendono unico Pulp Fiction si stila velocemente e in questo senso, quindi, spiegare l’amore e il successo generato da questo film diventa assai semplice.

 

Ma, come dicevo prima, da un altro punto di vista questa diventa invece un’impresa impossibile.

 

Al di là di tutto quello a cui si è accennato, infatti, ciò che rende Pulp Fiction il capolavoro che è, è la magia che questo film trasmette.

 

Un qualcosa che non si può spiegare a parole né tantomeno provare a definire.

Un qualcosa di inafferrabile e quasi etereo, che però c’è, è presente e si percepisce durante la visione della pellicola.

 

Qualcosa che rende Pulp Fiction un film unico nel suo genere e che per questo si sottrae a qualunque paragone o confronto con altri film, persino dello stesso regista.

Una perla.

 

È giunto ora il momento di passare ad analizzare una singola scena del film.

 

A questo giro devo confessare che la scelta della scena mi è risultata davvero difficile.

Alla fine però è ricaduta su quella che probabilmente è la scena più iconica in assoluto della pellicola, ossia la scena che possiamo facilmente chiamare “Al Jack Rabbit Slim’s”.

 

La Scena (minuto 00:31:45)

 

Questa scena ha un piccolo prologo, ossia la scena in cui Vincent va a casa del Boss Marsellus Wallace per prendere la moglie Mia, che quella sera deve portare a fare un giro fuori, stante l’assenza del marito.

 

Vincent non conosce Mia, non l’hai mai vista prima. Ma una cosa la sa per certa:

“Quella è la moglie del gran capo.

Mi siedo di fronte a lei, mastico quello che mangio con la bocca chiusa, rido alle sue battute stronze e nient’altro”.

 

Non sarà così semplice...

 

Dopo aver comprato l’eroina, Vincent si dirige verso casa Wallace.

Sceso dall’auto, con un’andatura barcollante dovuta alla dose che si è appena sparato a casa di Lance, arriva alla porta di ingresso dove, appeso, trova un bigliettino:

“Hi Vincent, I’m getting dressed. The door’s open.

Come inside and make yourself a drink. Mia”

 

Questo bigliettino, scritto a mano da Mia, ci rende subito uno degli aspetti della sua personalità. 

 

 



Un gesto intimo e che in parte richiama la dimensione infantile, come comunicare tramite bigliettini con qualcuno, che la giovane donna fa con estrema naturalezza nei confronti di quello che in fin dei conti è un estraneo. 

 

Prima ancora che lei stessa abbia fatto la sua comparsa, ecco qui mostrarsi la spontaneità ed anche un certo tratto infantile della ragazza che insieme, dall’altro lato, alla sua sensuale sofisticatezza, delineano la natura di Mia. 

 

Moderna Lolita, si diceva sopra.

Letto il bigliettino, parte qui ad accompagnare Vincent nel suo ingresso all’interno dell’appartamento la splendida Son of a Preacher Man di Dusty Springfield, la cui melodia e il cui ritmo, a mio parere, rispecchiano magnificamente a livello musicale quanto abbiamo appena detto sulla ragazza.

 

La prima apparizione di Mia in Pulp Fiction è di spalle.

Vediamo il suo ormai iconico caschetto davanti a dei monitor attraverso cui può guardare quello che avviene all’interno della casa, e quindi anche “spiare” e guidare i movimenti di Vincent

“Fuochino, fuochino... trovato!”

 

Subito dopo, mentre si avvicinano al microfono usato per comunicare con Vincent, inquadrate in particolare entrano in scena le rosse e provocanti labbra di Mia. 

 

 



Viene qui presentata quindi per la prima volta l’altro elemento che caratterizza la ragazza: la sua sensualità, la palpabile carica di eros che emana (Girl, you’ll be a woman, soon).

 

Dopo avere indicato a Vincent l’ubicazione del bar, Mia segue i suoi spostamenti con la telecamera.

Un gesto che, oltre a rimandare anch’esso in qualche modo alla dimensione del gioco (e quindi infantile), presenta anche un aspetto voyeuristico che ben si lega con uno dei temi della scena che ci apprestiamo ad analizzare.

 

Vincent si versa da bere e si ferma ad osservare il quadro che raffigura la giovane donna, immortalata come un'icona, richiamando le icone pop che vedremo immediatamente dopo nella scena del Jack Rabbit Slim’s, e quasi anticipando l’essere diventata icona pop mondiale lei stessa.

 

Preparata e sniffata una bella dose di coca, Mia è pronta ad andare.

Seguendo di spalle i suoi passi, con un’inquadratura sui suoi piedi - prima manifestazione di questo feticcio del regista, che da Pulp Fiction in poi diventerà ricorrente - la vediamo giungere in salotto, fermare la musica e, così, di botto, dire a Vincent:

“Andiamo”.

 

Comincia in questo modo la nostra scena. 

 

 



La prima inquadratura ci rivela finalmente il volto di Mia, seduta al fianco di Vincent, sulla sua decapottabile rossa fiammante, con la citazione di un’analoga ripresa di Grease, con Uma Thurman al posto di Olivia Newton John e Travolta a replicare se stesso. 

 

Sempre fermi sulla stessa inquadratura, il primo impatto di Vincent guardando il locale da fuori non è dei migliori:

“Ma che cazzo è questo posto?” chiede con ben poco charme a Mia, la quale, rispondendogli, ci rivela per la prima volta il nome del ristorante: Jack Rabbit Slim’s.

“A un Elvis-maniaco dovrebbe piacere”, chiosa la ragazza.

 

Il riferimento andato perduto è in realtà ad una scena tagliata dal montaggio finale nella quale, raggiunto Vincent nel salotto di casa sua, Mia sottopone il killer a una videointervista per conoscerlo meglio, attraverso domande che vertono sui suoi gusti in merito alla musica, al cinema, alla tv.

 

 

 

Di fronte alle rimostranze di Vincent

“Dai Mia, andiamo a farci una bistecca”,

la moglie del Boss replica tracciando con le mani un rettangolo, come a dirgli "non fare l’inquadrato"; rettangolo che sullo schermo appare realmente con delle linee tratteggiate come in un cartone animato, dando al tutto un tono quasi fiabesco.

 

I due scendono dall’auto e così, con una messa a fuoco progressiva, vediamo finalmente l’ingresso del locale. 

I due entrano.

 

Il tempo di capire quale tavolo-auto era prenotato a nome Wallace - una Chrysler New Yorker convertible del 1956, per chi se lo chiedesse - e comincia il tour dentro il Jack Rabbit Slim’s.

 

 



Il locale è un vero trionfo della cultura pop, in particolare degli anni ’50-'60.

 

La scenografia è curata nei minimi dettagli e infatti la sua realizzazione è costata la parte più cospicua dell’intero budget di Pulp Fiction.

Ma ne è valsa sicuramente la pena.

 

Il risultato finale è un'orgia di stimoli pop, una vera e propria macchina del tempo.

Seguendo Vincent di spalle, con un pianosequenza che potrebbe ricordare quello dell’entrata al ristorante di Quei Bravi Ragazzi, veniamo trasportati in un mondo fatto di piste per macchinine elettriche, sosia di Ricky Nelson che cantano sul palco, locandine di svariati film d’epoca che tappezzano i muri, camerieri sosia di Marilyn Monroe o James Dean e un arredamento patinato e luccicante che ci fanno respirare a pieno l’immaginario degli anni ’50.

 

Non a caso quando, appena seduti, Mia gli chiede cosa gliene paia, Vincent dirà:

“Non li sentissi parlare sembrerebbe il museo delle cere”.

 

Il riferimento di Vincent è perfettamente calzante.

Così come le statue del museo delle cere, che in un gioco circolare hanno come soggetti proprio le icone popolari, quest’ultime sono oggetto di un consumismo voyeuristico, della continua attenzione del pubblico che attraverso loro sogna, diventando così oggetto del consumo di massa e quindi pop(opolare), destino che, al pari di quanto avveniva con Andy Warhol e seguaci, nel cinema di Quentin Tarantino è destinato anche al cibo e alle loro confezioni e pubblicità, che diventano anch’esse iconografiche, vere o finte che siano (qualcuno per caso ha detto Red Apple?). 

 

 



Tornando a Vincent e Mia, una volta seduti al loro posto, giunge il momento di ordinare.

 

Il cameriere che si presenta al loro tavolo è interpretato, in una sorta di simpatico contrappasso, da Steve Buscemi, ossia lo stesso interprete del Mr. Pink de Le Iene che si rifiutava di lasciare le mance... alle cameriere.

 

Al momento di ordinare il cibo, la commistione tra pop-culture e cibo, caratteristica propria del cinema di Tarantino, raggiunge in Pulp Fiction il suo apice.

Difatti Vincent ordinerà una bistecca Douglas Sirk “grondante sangue” - nome di un regista tedesco molto prolifico nella Hollywood degli anni ’50 - a cui accompagnerà un’americanissima Coca Cola alla vaniglia, mentre Mia opterà per un Durward Kirby Burger - conduttore televisivo - insieme ad un frappé Martin & Lewis da 5 dollari, il cui prezzo tanto stranisce il buon gangster.

 

“Hai ordinato un frappé da 5 dollari?!” chiede Vincent a Mia, la quale cala la testa in senso affermativo, “È frappé, è latte e gelato insieme?”

“A quanto ne so”, risponde lei,

“E sta a 5 dollari? - rivolgendosi al cameriere - Non ci metti bourbon o qualcos’altro?”

“No”, replica lui,

“Controllavo” conclude Vincent, sorridendo.

 

 



In attesa che arrivino le bibite, i due rimangono finalmente soli e... comincia a sciogliersi il ghiaccio.

 

Mia chiede a Vincent di chiudergli una sigaretta di tabacco

"Potresti arrotolarmi una di quelle, cowboy?” e il gangster, da vero cavaliere, gli offre la sua appena rollata

"Posso darti questa, cowgirl”.

 

È ancora una volta la ragazza quella a fare il primo passo,

“Sai, Marsellus ha detto che sei appena tornato da Amsterdam” gli dice.

 

Questa battuta, che introduce il primo argomento di discussione tra i due, richiama un’informazione di cui noi spettatori siamo già a conoscenza, perché oggetto del dialogo in macchina tra Vincent e Jules all’inizio di Pulp Fiction, a dimostrazione di come i dialoghi di Tarantino non siano soltanto un puro divertissement, ma al contrario svolgano anche funzioni narrative.

 

Mia racconta a Vincent che anche lei è stata ad Amsterdam

“Io ci vado una volta l’anno; mi rilasso per un mese”, e quando lui le risponde

“Veramente? Non lo sapevo”

Mia ha una reazione delle sue, come quando resuscitata dall’overdose grazie ad un’iniezione di adrenalina, a Lance che le dice

“Sei stai bene, prova a dire qualcosa”, risponde... “Qualcosa”; reazioni che sono tanto spontanee quanto spiazzanti, come quelle dei bambini, e che la rendono così dannatamente affascinante.

 

E infatti risponde a Vincent ridendo e dicendogli

“E perché dovevi?”, una risposta tanto sensata - in fondo perché mai lui avrebbe dovuto essere a conoscenza del fatto che lei si rechi ad Amsterdam una volta all'anno? - quanto però originale, perché in fondo nessuno o quasi avrebbe risposto così. 

 

 



Ora è il turno di Vincent.

 

Sfruttando quanto dettogli la mattina da Jules - ancora una volta un dialogo che svolge una funzione, la cosiddetta semina nel linguaggio delle sceneggiature - il killer chiede a Mia del pilot che ha girato in passato.

Vi lascio alle parole della giovane donna:

“Era un programma su una squadra di donne agenti segreto chiamata Volpi Forza 5.

 

Volpi perché eravamo in gamba, astute e carine; Forza perché eravamo una forza con cui fare i conti; e 5 perché eravamo una, due, tre, quattro e cinque di numero.
 

C’era una bionda, Sommerset O’Neal. Lei era il capo.

La volpina giapponese era una maestra di arti marziali; alla ragazza nera toccavano le demolizioni, era un’esperta; la volpina francese aveva una specialità, il sesso"

 

“E qual era la tua specialità?” le chiede Vincent,

“Lame affilate” risponde lei ridendo.

 

Se qualcosa vi suona familiare, beh: avete ragione.

 

Il riferimento è ovviamente alla Deadly Viper Assassination Squad di Kill Bill, film di cui proprio Uma Thurman è l’indiscussa protagonista.

Siamo di fronte all’idea in fase embrionale di Kill Bill, che è stato ideato da Quentin Tarantino insieme alla sua musa Uma proprio sul set di Pulp Fiction - e infatti nei credits di Kill Bill potrete leggere “Based on the character The Bride created by Q and U”, dove la Q e la U sono ovviamente le iniziali dei due. 

 

 



Ma Mia non ha ancora finito il suo racconto.

 

“Il mio personaggio, Raven McCoy”, continua, “aveva una storia. Era venuta su cresciuta da artisti del circo.

Secondo il copione era la donna più pericolosa del mondo con un coltello [Black Mamba, sei tu?] e conosceva un’infinità di vecchie barzellette che il suo caro nonnetto, un attore del Vaudeville, gli aveva insegnato e nell’eventualità che ci avessero confermato avrebbero trovato il modo per cui, in ogni episodio, io avrei raccontato un’altra barzelletta ”.

 

“Chissà quante barzellette conosci” osserva istintivamente Vincent,

“Beh, ho potuto raccontarne solo una, abbiamo girato solo un episodio” gli fa notare lei.

 

Vincent le chiede di raccontargliela, ma lei non vuole:

“No, non ti piacerebbe, mi sentirei in imbarazzo”.

“L’hai raccontata a 50 milioni di persone e non puoi raccontarla a me?” ribatte il killer, “Prometto di non ridere”, le dice con l’intento di rassicurarla.

 

Mia lo guarda per qualche secondo, con un sguardo magnetico (insomma, ormai lo avete capito che ne sono infatuato, no?).

 

Poi gli risponde, “È proprio di questo che ho paura, Vince”.

Lui, con altrettanto fascino, le replica che

“Non è quello che intendevo dire, e lo sai”.

 

Ma lei chiude da vincente la contesa così:

“Adesso di sicuro non te la racconto, perché ci abbiamo ricamato troppo sopra”.

“Che fregatura” conclude Vincent ridendo.

Come dargli torto. 

 

 



Arrivano le bevande.

 

A questo punto Vincent ha la curiosità di

“Sapere di che sa un frappé da 5 dollari”.

“Fai pure” gli risponde lei, avvicinandogli il bicchiere con la mano.

Mia dice a Vince che può tranquillamente usare la sua cannuccia, con un “So badare ai bacilli” pronunciato in modo leggermente tendenzioso.

 

La carica erotica tra i due è ancora latente, ma ha cominciato a fare capolino.

Per la cronaca, Vincent mostra di avere apprezzato il frappé

“Non so se vale 5 dollari ma, cazzo, è veramente buono”.

 

A questo punto, mentre i loro primi piani laterali si alternano sulle note di Rumble di Link Wray, che qui assume un tono direi contemplativo, i due rimangono in silenzio.

 

Lo sguardo di Mia sembra rivelare come trovi interessante il suo accompagnatore.

Lui sorseggia la sua Coca alla vaniglia, lei giocherella con la ciliegia tra le labbra.

 

Nessuna parola. 

 

 



Poi lei interviene:

“Non odi tutto questo?”

“Odio cosa?”, domanda lui.

“I silenzi che mettono a disagio”, risponde Mia accennando un sorrisetto accattivante. Poi si fa seria:

“Perché sentiamo la necessità di chiacchierare di puttanate per sentirci più a nostro agio?”.

“Non lo so, è un'ottima domanda”, risponde lui, spegnendo la sigaretta.

 

Qui Mia ci mette un attimo prima di riprendere a parlare.

Sembra quasi come se in quel preciso piccolo istante stia decidendo se dire o no quello che sta per aggiungere.

 

Mi riporta alla mente quando una volta, la prima sera che avevo incontrato una ragazza che mi aveva colpito sin dal primo sguardo, ad un certo punto della serata istintivamente stavo per lanciarle scherzosamente qualcosa addosso, non ricordo cosa.

Prima di farlo però, in un attimo durato parecchio (e veramente in quel momento mi sono sentito come in un film) mi sono fermato a chiedermi

“Lo faccio o non lo faccio?”.

Sapevo che, facendolo, se andava bene si sarebbe oltrepassato un primo muro di confidenza e poteva scattare quell’effetto a catena di avvicinamento in cui speravo.

 

Però certo, poteva anche non andare così, e al contrario mi sarei trovato in una situazione imbarazzante se per esempio lei non avesse reagito in modo a sua volta scherzoso.

Non tirandole nulla il rischio imbarazzo si eliminava... ma neanche l’ipotesi positiva sarebbe mai potuta accadere.

Ecco il dilemma. Tutto questo in un attimo.

Per la cronaca gli tirai quello che volevo tirarle e per fortuna... andò bene.

 

Nel caso di Mia in questo istante di Pulp Fiction, dire la frase che sta per pronunciare significherebbe aprirsi un po' e quindi esporsi, perché comunque sposterebbe il dialogo su un livello certamente più profondo, e quindi più intimo, rispetto ai precedenti discorsi.

 

Abbatterebbe una parete.  

 

 


 

A questo punto però, come direbbe Mia, ci abbiamo ricamato troppo sopra e quindi la frase non ve la scrivo!

 

Sto scherzando, tranquilli.

 

Perdonatemi, ma mi è venuta in mente e non ho resistito. Tanto sono certo che questa frase l’abbiate sentita tutti.

È probabilmente la più citata di Pulp Fiction, forse perché tutti la sentiamo un po' nostra.

Ne condividiamo la verità.

 

Perché, come dice Mia:

“È solo allora che sai di aver trovato qualcuno davvero speciale... quando puoi chiudere quella cazzo di bocca per un momento e condividere il silenzio in santa pace”

 

Questa frase, in un film dominato dalla parola e famoso per i suoi dialoghi, potrebbe apparire quasi paradossale.

 

Sembra quasi che Quentin Tarantino voglia dirci che la vita quotidiana è fatta di tante parole e discorsi con cui riempiamo il tempo e comunichiamo superficialmente con gli altri, e ciò viene ampiamente messo in mostra nel film, che indugia per lo più sui momenti banali della vita quotidiana che di solito negli altri film non si vedono e che, per l’appunto, nella realtà sono spesso riempiti da discorsi su argomenti per lo più futili e generalisti, proprio come vediamo fare in Pulp Fiction.

 

Quando però, in un mondo così rappresentato, si incontra qualcuno con cui invece puoi condividere il silenzio senza sentirti a disagio, allora lì hai trovato qualcuno di speciale.

Qualcuno che merita la tua attenzione.

 

La risposta di Vince è un po' da stronzo, ma è divertente e va fuori dalle righe, e a Mia questo piace.

“Beh, non credo che siamo già arrivati a questo” le risponde infatti sorridendo ammiccante, “Ma non te la prendere, ci conosciamo appena”.

Mia sorride.

 

Qui la giovane donna, col suo modo affascinante di giocare, lancia a Vincent una sfida interessante:

“Facciamo una cosa. Io adesso vado in bagno ad incipriarmi il naso; tu resti seduto e pensi a qualcosa da dire”.

“Sarà fatto”, risponde lui.

 

Lei lo guarda in un modo che provocante è dir poco.

Ragazzi, ricordate quella carica erotica che era sopita ma stava cominciando a fare capolino?

In questo passaggio è uscita allo scoperto, toccando il rosso. Ci vuole una pausa.

 

Mia si alza e si dirige verso il bagno, inquadrata di spalle mentre procede al ralenti, con una camminata che le da un’aura come quelle delle dive anni ‘50 omaggiate all’interno del Jack Rabbit Slim’s; dive al cui fianco, dopo questo film, ha preso posto anche la Uma Thurman di Pulp Fiction, icona pop degli anni ’90 e seguenti, se ce n’è una.

 

Mentre Vincent getta un occhio alle attrattive offerte dal locale - in particolare vediamo una Marilyn nella famosa scena di Quando la moglie è in vacanza, Mia si “ricarica” in bagno in una scena che sembra una parodia dei film à la Grease.

 

 



Siamo infatti all’interno di un bagno con i colori tipici dell’immaginario di quell’epoca (in particolare un rosa pastello) con tante ragazze che si truccano davanti allo specchio.

 

Soltanto che non hanno proprio l’aspetto delle brave e sane ragazze in stile Olivia Newton John (e del resto anche il personaggio di Travolta è ben diverso da quello interpretato nel musical che lo ha consacrato).

 

A completare la divertente dissacrazione di quell’immaginario, pilastro della cultura americana, mentre le donne si truccano dal basso dell’inquadratura spunta Mia, rialzando la testa dopo aver tirato ed urlando l’iconico

“Ho detto cazzo, che botta! Che botta, cazzo!”, con tanto di occhiolino.

 

Quando Mia torna al tavolo la cena è stata servita, come lei fa notare con soddisfazione

“Mmmh... non lo trovi piacevole tornare dal bagno e vedere che la tua cena è lì che ti aspetta?”.

 

Dopo un piccolo sfoggio della propria conoscenza dei miti degli anni ’50 da parte di Vincent

“Sei molto in gamba”, si complimenta lei;

“Ho i miei momenti” risponde lui,

Mia chiede a Vince se, per come erano rimasti, abbia

“Pensato a qualcosa di interessante da dire”.

 

La risposta di Vince è affermativa e ancora una volta, come vedremo, affonda le sue radici nella chiacchierata all'inizio di Pulp Fiction in cui Jules raccontava al collega quello che sapeva sulla moglie di Marsellus Wallace.

“In effetti sì”, risponde Vincent ridacchiando, ma aggiunge

“Comunque tu sembri una persona molto simpatica ed io non voglio offenderti”.

 

Questa premessa non può che provocare in Mia, che aveva lanciato la giocosa sfida, un’infantile eccitazione

“Uuh! Questa non ha l’aria della solita frasetta noiosa lanciata là per fare due chiacchiere. Sembra che tu abbia davvero qualcosa da dire!” conclude soddisfatta.

 

Ma Vincent, invero mentre se la ride di gusto, ci tiene a puntualizzare:

“Però tu devi promettermi di non offenderti”, continuando a ridere.

La risposta di Mia è... da Mia:

“No, no, no; non si può promettere una cosa del genere. Io non ho idea di che cosa stai per chiedermi.

Tu vai avanti e chiedimi quello che stai per chiedermi. La mia reazione spontanea”, continua lei mentre Vincent la guarda divertito, “potrebbe essere quella di sentirmi offesa e senza colpa da parte mia non avrei mantenuto la promessa”.

“Ti prego, lascia perdere”, risponde Vincent, ben cosciente che con lei non potrebbe spuntarla.

“Ah, ora pretendi l’impossibile”, ribatte lei, ancora carica a mille, “lasciar perdere una cosa così intrigante come questa sarebbe un tentativo futile”.

 

Infine domanda a Vincent, maliziosamente,

“E poi, non è più eccitante quando non si ha il permesso?”, frase che riporta alla mente gli amori adolescenziali, fatti di scappatelle e momenti rubati al controllo dei genitori, al gioco e quindi, ancora una volta, alla dimensione infantile, caratteristica imprescindibile, come abbiamo visto, del fascino di Mia - e che a ben vedere ritroviamo in Pulp Fiction, ancora più accentuata, in Fabienne, personaggio molto differente però dalla moglie di Marsellus.

 

A questo punto, Vincent sgancia la bomba:

“Che ne pensi di quello che è capitato ad Antoine?”, che lo spettatore sa avere fatto una brutta fine propria a causa di Mia, grazie al racconto che Jules ha fatto al collega, con annessa disquisizione sulla filosofia del massaggio ai piedi e dei relativi significati sessuali.

“È caduto da una finestra”, risponde lei, interessata a capire dove l’uomo voglia arrivare.

 

“Questo è un modo per dirlo, sì”, replica Vince, “un altro modo sarebbe che è stato buttato fuori, un altro ancora sarebbe che è stato buttato fuori da Marsellus e ancora un altro modo [sarebbe] dire che è stato buttato fuori da una finestra da Marsellus per causa tua”.

 

Mia lo guarda divertita

“Ne sei convinto?” gli chiede,

“No, non ne sono convinto” risponde lui, “è solo quello che ho sentito, quello che ho sentito”.

“Loro parlano tanto, non credi?” osserva Mia riferendosi agli altri scagnozzi del marito da cui Vince ha appreso quest’aneddoto.

“Parlano eccome”, conferma lui divertito.

 

Mia chiede allora se quello che ha sentito dire sul conto suo e di Antoine, detto Tony Rocky Horror, avesse a che fare “con la parola scopare” e quando Vincent le spiega che effettivamente quello che gli hanno detto è semplicemente che Marsellus avrebbe buttato Antoine da una finestra per averle fatto un massaggio ai piedi, la moglie del boss candidamente sorpresa gli chiede se pensa che questa storia sia vera.

 

Vincent, grattandosi la guancia un po' imbarazzato, spiega 

“Beh, insomma, quando me l’hanno detto mi è sembrato ragionevole”

Mia, con genuino stupore, replica

“Marsellus che ha gettato Tony fuori da una finestra dal quarto piano perché mi ha fatto un massaggio ai piedi ti è sembrato ragionevole?!”, al che Vince prontamente le risponde

 

“No, mi è sembrato eccessivo, ma non vuol dire che non sia successo.
A quanto dicono Marsellus è molto protettivo nei tuoi confronti”

 

Qui Mia fa notare come

“Un marito che è protettivo nei confronti di sua moglie è una cosa, un marito che quasi uccide un altro uomo perché ha toccato i piedi di sua moglie è un’altra”.

Vincent però sa che in realtà non è così fuori dal mondo una cosa del genere, e quindi le chiede in modo diretto

“Ma è successo? Dimmi.”

Mia risponde seccamente che

“La sola cosa che Antoine ha toccato di mio è stata la mano quando me l’ha stretta al mio matrimonio” per poi chiudere con un’altra frase rimasta celebre:

“Quando voi maschiacci vi riunite siete peggio di un circolo di cucito”.

 

A questo punto, il montaggio stacca su un’inquadratura del palco centrale del locale. 

 

 



Il presentatore della serata, affiancato da una sosia di Marilyn, annuncia la gara di twist:

“Signore e signori, è arrivato il momento che tutti aspettavate, la gara più famosa del Jack Rabbit Slim’s: il Twist, signore e signori”

 

Mentre Mia ascolta interessata e Vincent, al contrario, non sembra dargli conto, il presentatore continua,

“Ed è così che una coppia fortunata vincerà questo splendido trofeo che la nostra Marilyn ha in mano” per infine chiedere

“Allora, chi saranno i nostri primi concorrenti?”.
  

“Eccoci qui”, prende l’iniziativa Mia, alzando la mano, senza preoccuparsi di consultare prima Vincent, il quale, colto di sorpresa, si volta di scatto verso la ragazza, la quale, senza mezzi termini, gli dice:

“Ho voglia di ballare”. 

 

Vince prova invano ad opporsi.

Mia è determinata e, come solo certi bambini e bambine un po' viziati sanno fare, sa essere diabolicamente spietata nell’individuare i punti deboli dell’altro su cui far pressione per ottenere quello che vuole:

“No, no, no”, lo blocca subito, “se non sbaglio Marsellus, mio marito, il tuo capo, ti ha detto di portarmi a spasso e di fare tutto quello che voglio e io voglio ballare, voglio vincere e voglio quel trofeo... Perciò balla bene” conclude, lanciandogli contro un tovagliolino quasi a mo' di guanto di sfida.

 

Di fronte a tali argomentazioni, Vincent non può che capitolare ma, se così deve essere, tanto vale godersela.

Ed infatti, quando le dice “D’accordo”, aggiunge con un sorriso sornione:

“Perfetto, l’hai voluto tu”.

 

 



A questo punto i due salgono sul palco e, dopo essersi liberati delle scarpe, si posizionano al centro dove, sulle note di You Never Can Tell di Chuck Berry, danno il via a quello che è sicuramente il momento più iconico di tutto Pulp Fiction.

 

Su questo twist ci sarebbero davvero tante cose da dire, ma dopo essermi dilungato molto - a mia parziale discolpa va detto che abbiamo parlato di una scena di quasi 20 minuti - senza tediarvi con ulteriori parole voglio lasciarvi a godere da soli, coi vostri sensi, della visione di una scena che, grazie al fascino di Uma Thurman e all’innata ed ineguagliabile naturalezza e stile nel danzare di John Travolta, è rimasta nella Storia del Cinema mondiale.

 

Una scena che è pura magia, e quindi puro Cinema. 

 

[Mattia Corselli]

 

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