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Tra i più convinti sostenitori del Metodo interprete di alcuni tra i più iconici personaggi del Cinema, attore che ha spaziato dal dramma alla commedia, dal genere sentimentale al thriller.
Vincitore dell’Oscar come Migliore Attore non Protagonista nel 1975 per Il padrino – Parte II, dell’Oscar come Migliore Attore Protagonista e del Golden Globe al Miglior Attore in un Film Drammatico nel 1981 per Toro Scatenato, tra i fondatori di uno dei più importanti festival cinematografici al mondo, il TriBeCa Film Festival.
Signore e signori, sua cinematograficità: Robert De Niro.
[Robert De Niro in un frame di Re per una notte]
Impossibile non avere in mente il suo Travis Bickle (Taxi Driver), dal fisico tonico e asciutto, mentre si rivolge al se stesso riflesso nello specchio, con una pistola puntata contro, chiedendogli/si
“You talkin’ to me?”.
Come dimenticare l’interpretazione del pugile Jake LaMotta (Toro Scatenato) per cui si allenò da vero agonista arrivando a mettere su 27 chili, disputò veri e propri incontri e arrivò a ottenere il plauso del vero Jake LaMotta che, durante un’intervista, alla domanda su chi secondo lui fosse stato il miglior pugile mai esistito rispose:
“Robert De Niro”?
E il suo ghigno infernale in Cape Fear - Il Promontorio della Paura in cui interpreta l’ex galeotto Max Cady?
[Robert De Niro interpreta Max Cady in Cape Fear - Il promontorio della paura]
Questi solo pochi titoli per fare alcuni esempi.
La carriera di Robert De Niro è costellata di cult e, molto probabilmente, almeno uno di questi è nella vostra classifica dei film preferiti.
C’è però un personaggio interpretato dal nostro attore newyorkese che, inspiegabilmente, non è tra i primi a essere menzionato nel momento in cui si parla delle sue migliori interpretazioni o, comunque, non lo si ritrova così spesso come i celebri Vito Corleone de Il padrino - Parte II, Noodles di C’era una volta in America, Al Capone di The Untouchables - Gli Intoccabili o come i personaggi citati sopra.
Per chi scrive, questo personaggio è il primo a cui dovrebbe essere naturale pensare scorrendo nella mente i ruoli interpretati da Robert De Niro.
Sto parlando di Michael Vronsky, uno dei protagonisti del pluripremiato Il cacciatore (The Deer Hunter), film del 1978 diretto da Michael Cimino.
[Il trailer de Il cacciatore]
Nel film viene raccontata la Guerra del Vietnam, vengono narrati i disagi che il conflitto procurò ai (relativamente) pochi soldati americani che ritornarono in patria, c'è la volontà di mostrare criticamente quel costante atteggiamento eroico americano per una pagina di storia che, in realtà, si è irrimediabilmente impregnata di sangue innocente.
C'è tutto questo, sì.
Ma più di ogni altra cosa si parla di amicizia.
È l'amicizia tra i due protagonisti Michael “Mike” Vronsky e Nickanor “Nick” Chevotarevich (Christopher Walken) a dare senso a tutto lo svolgersi degli eventi, è per il loro legame di profondo e sincero affetto, per le promesse strette, per la lealtà reciproca che le cose prendono una certa direzione, che i personaggi fanno certe scelte.
Dall'inizio alla fine, dai sereni momenti di festa, passando per gli anni della guerra, fino ad arrivare ai momenti più bui del ritorno negli USA, il bene e il rispetto tra i due personaggi non vengono quasi mai palesati con una banale ed esplicita dichiarazione verbale, eppure si percepiscono costantemente come fossero colonna sonora essenziale.
[Da sinistra verso destra: Christopher Walken, Robert De Niro, Chuck Aspegren, John Savage, John Cazale, tutti parte del cast de Il cacciatore]
Fin dal principio si percepisce lo stretto rapporto che lega Mike e Nick, sia tramite le pochissime parole, sempre pesate, del primo, sia tramite i loro silenzi complici.
“Nick, tu mi piaci perché hai qualcosa dentro.
Gli altri sono bravi ragazzi, gli voglio bene, ma se tu non venissi con me ci andrei da solo.
Io non vado a caccia con gli stronzi.”
La caccia: non solo hobby o sport, ma Maestra di vita.
Questa caccia che si presenta sotto svariate forme per tutto il film e la cui filosofia influenza la sfera d’azione di Michael Vronsky.
“Tu devi contare su un colpo solo, hai soltanto un colpo, il cervo non ha il fucile, deve essere preso con un colpo solo.
Altrimenti non è leale.”
[Robert De Niro in un frame de Il cacciatore]
La caccia del cervo ci viene mostrata per prima e ci è subito chiaro lo spessore morale del personaggio di Mike: un solo colpo nel fucile, se riuscirà a uccidere il cervo con quello bene, altrimenti l’animale sarà salvo.
Una chance al cacciatore e una al cervo.
“Altrimenti non è leale.”
Queste sono le prime intense scene tramite cui, da spettatori, iniziamo ad approfondire i caratteri di tutti i personaggi, di Michael in particolare.
Indimenticabile la preparazione alla caccia: tutti che si vestono con gli indumenti adatti, che indossano gli scarponi, prendono i fucili, bevono e mangiano qualcosa prima della fatica che li aspetta, appoggiati o sdraiati su una sgangherata Cadillac Coupe DeVille del ’59.
Quando il personaggio di Stanley (soprannominato Stosh e interpretato dall’immenso John Cazale) si accorge di non aver portato con sé gli stivali e ne chiede un paio in prestito a Mike il quale, con totale naturalezza, rifiuta l’ennesimo prestito all’amico, l’atmosfera inizia a cambiare.
Da una tranquilla situazione, tipica di quelle gite tra amici in cui si ride e si scherza tra un ricordo e l’altro, si passa a un pesante contrasto tra Stosh e Mike e questa pesantezza è tale da far sentire a disagio anche lo spettatore, che all’inizio è quasi portato a pensare che il personaggio interpretato da Robert De Niro stia decisamente esagerando a reagire così.
In realtà capiamo che per Michael comportarsi diversamente da come sta facendo è impossibile: se un tempo riusciva a chiudere un occhio sulle puntuali dimenticanze dell’amico, ora non ci riesce e non vuole più farlo, tutti devono essere in grado di far da sé, di badare a sé.
“From now on, you’re on your own.”
D’ora in poi, sei da solo.
La partenza per il Vietnam è vicina e non sono più ammesse leggerezze, devi riuscire a cavartela senza niente e nessuno.
Anche senza gli stivali da caccia del tuo amico.
Robert De Niro riesce a trasmettere tutto il turbamento del suo personaggio in una scena che, più che voler mostrare un litigio tra amici, è chiave nel segnare il cambiamento psicologico di un uomo in balia di mille pensieri: quella potrebbe essere la sua ultima giornata con i soliti amici di una vita, la sua ultima giornata di caccia, l’ultima volta che respira quell’aria e che vede quel cielo.
Partirà, andrà in guerra e non sa se e come tornerà.
Ha solo il forte sospetto che sarà tutto diverso e che, da quel momento, bisognerà imparare a fare da sé.
Parallelamente ma in altre vesti, più femminili, la “caccia” è anche quella la cui preda è la bellissima Linda (Meryl Streep), una caccia dalla quale, però, bisogna sapersi tirare fuori, meglio non prenderne proprio parte, per lasciare spazio al proprio compagno di caccia (Nick) che ha già da tempo puntato lo stesso obiettivo.
È proprio in nome della lealtà, del rispetto verso l’amico, che Mike se ne resta in disparte: sfugge gli sguardi di Linda, cerca di non rimanere solo con lei, a volte sembra quasi stia per cedere, che sia lì lì sul punto di esprimere finalmente l’amore che nasconde a fatica ma, tornando in sé, desiste sempre.
Non è così che è abituato a vivere, non tradendo la fiducia degli altri.
Tradirebbe se stesso.
Durante la festa per il matrimonio tra Steven (John Savage) e Angela (Rutanya Alda) Mike passa praticamente tutta la serata al bancone del bar provando a tenere gli occhi lontani da Linda e Nick che ballano insieme, tentando di bere l’amarezza che gli stringe il cuore.
Finché non si ritrova al bancone stesso con Linda.
[Linda e Mike in una bolla di intimità, circondati dal caos della festa di matrimonio]
Pochissimi gesti, alcune parole scandite male, Robert De Niro dà vita a un impacciato e ubriaco Michael Vronsky che, avvicinandosi sempre più alla sua amata, si lascia quasi completamente andare al cuore, mettendo da parte la testa.
Quasi.
Ma non è più tempo di tentativi o incertezze.
Il suo unico colpo decide di non farlo esplodere, almeno non per il momento.
Chi di voi ha già visto Il cacciatore, appena letto il binomio Robert De Niro/Michael Vronsky ha subito visto materializzarsi nella propriamente il volto sporco di Mike, sopracciglio tumefatto e fascia stretta in fronte.
Salda la pistola in mano e canna puntata alla tempia, la sua stessa tempia: la memorabile scena della roulette russa.
Una di quelle scene che non perde d’intensità neanche dopo aver passato una vita a rivedere l’opera diretta da Michael Cimino, un’interpretazione di Robert De Niro che per chi scrive è LA interpretazione e che ha oggettivamente tutti i requisiti per poter essere annoverata tra le migliori interpretazioni dell’attore.
[Un frame da una delle più potenti scene de Il cacciatore, quella della roulette russa]
Serietà che si alterna a disperazione e isteria, risate da folle che si risolvono in fermezza e risolutezza per un botta e risposta, non tanto verbale quanto fotografico ed espressivo, tra Robert De Niro e Christopher Walken (pilastro anch’egli dell’intera scena), che lascia senza fiato.
Letteralmente.
L’esperienza della roulette russa sarà il trauma che chi è partito per il Vietnam si porterà dietro per il resto della vita, in maniera più o meno visibile dall’esterno.
E sarà anche una condanna per chi, come Nick, non riuscirà a liberarsi da quel gioco orribile, quasi come fosse un rapporto di odio e amore nei confronti di qualcuno che ci ha fatto terribilmente male ma da cui non riusciamo ad allontanarci.
["Ricordi gli alberi? Ti ricordi come sono diversi gli alberi? Te lo ricordi? Te lo ricordi, eh? Le montagne... Ti ricordi le montagne?"]
Che sia perché, dopo tutto l’orrore del Vietnam, la disillusione ha preso il comando di ogni istinto alla sopravvivenza e non si sa più per cosa valga la pena vivere?
Che sia perché a furia di guardare, respirare e ascoltare morte ogni giorno, tutto il giorno, si è perso il senso delle cose e non si riesce più a dare valore alla vita?
O forse perché, dopo il napalm, le torture, dopo i topi che mangiano i prigionieri di guerra rinchiusi in gabbie immerse in acqua putrida, forse, dopo tutto ciò, non si sente più niente?
[Christopher Walken e Robert De Niro in un frame de Il cacciatore]
Come si fa allora a trovare un motivo per vivere se non si sa più cos’è un’emozione?
L’unica ormai percepibile da Nick è l’adrenalina della macabra roulette russa, la consapevolezza di avere la sua vita in una mano, nel solo movimento di un dito.
Quella roulette a cui la prima volta era riuscito a “giocare”, non facendosi uccidere dai Viet Cong, perché spronato dal suo amico Mike.
Come a voler chiudere un cerchio, sarà proprio Michael che proverà a salvare l’amico dalle grinfie della roulette in una sequenza tra le più toccanti del Cinema: Michael e Nikanor seduti di nuovo a un tavolo, l’uno di fronte all’altro, ma stavolta senza essere costretti da nessuno, anzi, pagando per farlo.
Tre minuti che celebrano l’amicizia e fin dove un amico può spingersi in nome di essa, per salvare un un suo fratello.
Tre minuti di Recitazione in cui il coinvolgimento è totale e il mondo reale lo dimentichiamo completamente .
Tre minuti in cui Robert De Niro e Christopher Walken ci rapiscono, portandoci in quell’assurdo e dimenticato pezzo di Vietnam fatto di urla, fumo e banconote.
[Un frame dall'ultima potente scena de Il cacciatore]
Tramite Robert De Niro lui percepiamo il disagio di Mike nell’essere circondato da gente che trova divertente scommettere su battaglie di roulette russa, la sua angoscia nel rivedere l’amico quasi in uno stato di trance, chissà dove con la mente.
La speranza, viva fino all’ultimo, di riportarlo con sé, a casa.
Se Il cacciatore è ancora tra i vostri “da vedere” o se non l’aveste neanche mai sentito nominare, beh… ora avete un po’ di buoni motivi in più per colmare la lacuna.
Quante volte ti sei sentito cornuto come un cervo perché tradito da articoli cinematografici che con il Cinema non avevano niente a che fare?
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