#articoli
Kurt Cobain è una delle icone del panorama musicale più potenti di sempre e, come Elvis Presley o John Lennon, è riuscito a rimanere tale grazie alla sua personalità e alla persistenza del riverbero che ogni frase, azione, canzone e ideale da lui proferiti riescono a scatenare.
Spiegare o raccontare Kurt Cobain e i Nirvana non è impresa facile e se l'ascolto dei loro pezzi potrebbe ancora oggi, nel torpore del tempo presente, risultare una rivelazione, non è altrettanto immediato associare il prorompente effetto impresso sulla società degli anni '90.
Considerando anche il fenomeno di "riscrittura dei tempi" del quale siamo vittime, che porta molti di noi a dimenticare, negare e riconfigurare completamente il vissuto e la storia in favore di vigliacche - e molto più confortevoli - rivisitazioni delle nostre memorie.
Se il popolo grunge avesse mantenuto ed evoluto certi ideali, forse il mondo sarebbe più simile a Eddie Vedder e molto distante dal superficialismo patinato e vanesio delle pop star e trap lady di ora, molte delle quali incredibilmente simili alla Sextina Aquafina di BoJack Horseman.
I Nirvana non hanno raggiunto la loro fama grazie all'abilità nel costruire armonie melodicamente geniali o rivoluzionarie ma, per quanto queste possano essere divenute iconiche nello spettro della cultura moderna, sono arrivati alla ribalta rappresentando un sentimento, un rigurgito sociale altrimenti destinato a diventare un'ulcera pronta a bucare lo stomaco di un'intera generazione.
I Nirvana erano i testi di Kurt Cobain, l'essere intima esperienza dal vivo per le masse, il gracchiare di una voce affascinante proprio nel suo graffiante bruciore di stomaco, il caustico atteggiamento verso qualunque cosa fosse finalizzata a rendere futilmente complessa la musica, la scrittura e la vita.
I Nirvana erano anche il cortocircuito di una new wave musicale che stava trovando casa nella nuova televisione, plasmando, in un certo senso, il carattere e la mitologia di MTV e anche se impossibilitati dal loro DNA a diventare un promo inquadrato, sabotando ogni struttura televisiva creavano involontariamente un'iconografia anni '90 importante.
Per questi motivi e per un mucchio di altre ragioni rese sbagliate dalla massificazione del pubblico e da tutte quelle cose che Cobain riteneva insensate, i Nirvana sono diventati il punto di riferimento di un periodo storico, rimanendo nel tempo l'espressione di un sentimento tipicamente adolescenziale, eppure umano.
La voglia tutta teen di trovare una propria voce e identità, quella stessa ambizione che l'uomo sembra cercare insistentemente anche nella sfera adulta, abbattendo le schematizzazioni della società a maglie, è l'elemento che ha continuato a fare dei Nirvana una band essenziale anche negli anni a seguire e che forse si renderebbe essenziale ancora oggi, in un presente dove l'unicità, il nuovo termine verbale di riferimento, passa per tutti i valori più sbagliati, fascisti, pompati dall'isteria del nulla di social media che ci influenzano rendendoci tutti uguali e accomunati da un sogno venduto in post in evidenza, pizze auto-rigeneranti e molti hashtag.
Kurt Cobain avrebbe forse odiato il presente retorico, edonista e autoreferenziale più di qualsiasi altra cosa e forse la sua conclusione sarebbe stata che facciamo tutti equamente schifo.
Sono questi i principi che hanno portato il mio io adolescente a indossare camice di flanella, a fare del blue jeans una religione intramontabile, un po' anche in quanto working class man, a non seguire logiche di pettinature che non fossero il capello lungo o il capello spettinato, innamorato dell'idea della sigaretta, perennemente accompagnato da un diario pieno d'inchiostro, sempre con le cuffie alle orecchie e un lettore cd nella tracolla.
Interessato a tutto e quasi niente che fosse il momento, adorando tutto quello che era passato o che poteva essere futuro, convinto che il mondo attorno fosse popolato da androidi all'inseguimento di algoritmi a loro indecifrabili, eppure così fluidi nella logica di quelle operazioni ripetute a menadito.
Imparare a conoscere Come as You Are, Smell Like Teen Spirit o Territorial Pissing è stato come l'impatto con il mare di un tardo pomeriggio d'agosto, quando l'acqua brodosa è increspata leggermente dal levante, il cielo arancione si fa basso verso l'orizzonte, la corrente diventa importante, eppure pacifica.
Mentre sei sott'acqua i colori del fondale sono melassa brillante affascinante e, ritornando in superficie, tutto rimane calmo eppure preda delle sferzate del vento; la scena nella quale ti sei calato è la stessa, ma il tuo punto di vista è spostato dal riflettore del mezzogiorno, e il tuo irrompere nel mare è differente.
Molte cose si aprono e ti parlano e tu senti di voler appartenere a quella corrente e a quella paletta cromatica, chiuso in una melanconia silenziosa che quando grida è perché vorrebbe rimanere tale, senza più bisogno d'altro.
Avevo trovato un gruppo di appartenenza guidato da un leader il cui sogno era quello di spostare ogni asse pur rimanendo nello stesso piano e nello stesso mondo, chiedendo a tutto il resto di accettare il cambio di scena preferito da molti o, qualora fosse a loro sgradito, di andare a farsi f*****e senza troppo rumore.
Quanto ho appena scritto su Kurt è quanto di più giusto e al contempo sbagliato si possa dire per descrivere Cobain, la sua musica, la sua scrittura, il suo tratto e il suo segno e, in un certo senso, lo è anche Cobain: Montage of Heck.
Il documentario, diretto da Brett Morgen, prende il titolo dai sound collage che Kurt Cobain metteva insieme nel corso dei suoi spazi creativi, divenendo ispirazione per la struttura di alcune parti del documentario e parte integrante della narrazione insieme a diari, interviste, fotografie e filmini di famiglia realizzati dai suoi genitori o da Kurt stesso.
Brett Morgen prova non tanto a seguire la carriera di Kurt Cobain quanto a cercare di ricostruire una mappa mentale dell'artista per raccontare l'anima di Cobain, mettendola in scena il più accuratamente possibile.
A tal fine, dove non arrivano i footage collezionati da MTV, le interviste, gli spezzoni televisivi e filmini di famiglia - anche quelli più privati realizzati con la compagna Courtney Love - entrano in gioco le meravigliose animazioni di Stefan Nadelman e Hisko Hulsing, pronte a ricostruire pagine della storia del frontman dei Nirvana.
Le parti animate, le confessioni più intime di Cobain, i montaggi realizzati interlacciando la sua musica, gli arrangiamenti inediti, le note e gli schizzi che l'artista metteva su carta, sono forse le parti più ispirate del documentario e tracciano davvero una sorta di riproduzione, seppur limitata, del pensiero di Cobain.
Il ritratto che ne viene fuori è quello di un personaggio tormentato da se stesso, dalla sua iperattività, dal suo essere costantemente sveglio in un mondo allucinato da illusioni sociali folli, intollerante, gravemente afflitto da un generale senso di decadenza causato da un America in forte mutamento e il cui ideale di "Sogno Americano" si stava disfacendo sotto una pioggia torrenziale di incubi urbani e vite incomplete.
Lo stesso Cobain sembrava essere vittima di un nucleo familiare disturbato, incapace di avere a che fare con un ragazzo il cui unico desiderio pareva essere l'accettazione e la possibilità di poter evadere da una gabbia stretta, inospitale, le cui sbarre appicciocose sono il prodotto di un contesto suburbano disfunzionale e noncurante.
La loro soluzione al problema Kurt, l'idea della famiglia americana da tenere nei ranghi della sua perfezione, è la negazione del presente e di tutto ciò che infetta la figura disegnata dalla società, portandoli a negare il giovane Kurt, trattandolo come un oggetto estraneo da espellere per continuare a vivere.
Eppure anche questa lettura appare sbagliata e Cobain si complica nelle interviste rilasciate dai genitori, tanto quanto da Courtney Love e Krist Novoselic, il cui sguardo, del tutto personale rispetto alla figura del musicista, si congiunge e si snoda, dando allo spettatore la sensazione che tutti avevessero un'idea di chi fosse Kurt Cobain ma che nessuno lo abbia mai compreso veramente.
Cobain drogato, disagiato, amorevole, creativo, maledetto dall'assenza di un posto nel mondo, dall'iperattività di un pensiero che vorrebbe solo obnubilare, un Cobain incapace di sopportare l'umiliazione, la guarigione e la disfatta della sua famiglia quanto di se stesso.
Cobain: Montage of Heck è un documentario denso nella rappresentazione di un Kurt Cobain che, forse, avrebbe voluto montare con l'anarchia dei collage musicali anche il suo racconto e che, proprio nel rispetto di questa volontà, si è fondato anche su tale principio.
Una ricostruzione di un artista le cui complessità vanno oltre le semplificazioni di certi discorsi, pur rimanendo ferme a esse e incapaci di addentrarsi nella logica di un uomo sì geniale, ma afflitto da demoni e stonature caratteriali insostenibili per un individuo lasciato troppo spesso da solo, circondato da poco e illuminato da un sole troppo duro per la sua fragilità.
Cobain: Montage of Heck è il tassello finale, quello più intimo, riguardo un artista che non ha fatto altro che desiderare qualcosa per tutti i motivi e nessuna ambizione, riuscendo a graffiare il mondo con una poetica personale e generazionale, scandendo un forte disagio umano imprescindibile dalle oppressioni alle quali noi tutti siamo stati, siamo e rischiamo di essere vittime nel futuro.
Se avete voglia di conoscere Cobain, Cobain: Montage of Heck potrebbe aiutarvi a creare una figura umana del personaggio, una sagoma descritta molto nella sfera infantile e adolescenziale e nei suoi sentimenti di fuga, nel suo disagio e nei desideri semplici di una persona estremamente fragile.
Se invece state cercando un ritratto artistico, il documentario contribuisce solo parzialmente al racconto di questo aspetto.
Rappresenta molti degli schizzi dei quaderni di Cobain, dà voce a molte sue registrazioni inedite e le mette in scena con estro insieme alle ricostruzioni del suo schema mentale e dei ricordi, ma dimentica di esaltare le espressioni del suo pensiero in quanto creativo e di dare risalto a quella sensibilità, riuscendo comunque a creare una connessione intuitiva con la sua vita passata ma dimenticando di dirci chi poi è diventato.
Cobain, ad esempio, era ossessionato da Il profumo, romanzo di Patrick Süskind nel quale riusciva a trovare un elemento poetico accomunabile alla sua misantropia, generata non dall'odio ma dalla delusione verso quello stava esprimendo il genere umano, mettendo in musica i turbamenti che il comico satirico mette nella stand up e che Patrick Süskind aveva romanzato nel suo libro.
Kurt Cobain è morto a 27 anni, vinto da se stesso e dalle sue oscurità.
Nel rivivere la sua storia e addentrandoci nella mappa mentale dei suoi pensieri è facile capire cosa acacde nella mente di molte altre figure a lui affini, allo scoccare di una certa ora, quando anche i riff di chitarra più violenti diventano ninne nanna di un dolce carillion.
E cala il buio.