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Dunkirk - Recensione: la maturità di Christopher Nolan

Il 10° film di Christopher Nolan è il film della maturità del regista britannico, che per la prima volta affronta la Storia

Dunkirk è il 10° film di Christopher Nolan: il film della maturità del regista britannico, che per la prima volta affronta la Storia.

 

Ogni regista che si rispetti, ogni autore, ogni sceneggiatore porta dentro di sé un tema che lo accompagna lungo tutta la sua carriera; a volte è più nascosto e lo si deve cercare tra le pieghe e altre volte è chiaro ed evidente.

Christopher Nolan, al suo film numero 10, palesa una volta di più la sua ossessione nei confronti del Tempo e della manipolazione dello stesso.   

 

In Memento è l'idea fondante del film, montato a ritroso e con un protagonista schiavo della sua condizione che gli impedisce di immagazzinare nuovi ricordi, in Insomnia diventa il cardine del thriller, quell’attimo prima o dopo nel quale un’azione diventa reazione oppure no, in The Prestige è uno degli elementi chiave che serve ai protagonisti (e agli spettatori) per scardinare il trucco di Borden. 

 

 

 

 

In Inception è uno dei protagonisti della storia ed è vissuto in maniera diversa da ogni personaggio a seconda del piano onirico in cui si trova, in Interstellar addirittura si modifica in base al pianeta su cui si trovano i protagonisti.

 

Anche nella trilogia sul Cavaliere Oscuro il tempo pervade tutta l’opera, i mesi di allenamento in un tempio, i minuti scanditi di una rapina organizzata a orologeria, i secondi che scorrono mentre bisogna prendere decisioni vitali.

 

In Dunkirk il tempo viene plasmato una volta di più secondo il volere del suo autore, qui sceneggiatore unico senza aiuti da parte del fratello Jonathan, suo abituale collaboratore.

 

 

 

Dunkirk è a mio avviso coraggioso per tanti motivi: è girato in pellicola, in 65mm e IMAX, un formato costosissimo e difficile da gestire che nessuno usa più ma che restituisce allo spettatore la gioia dello sguardo “vero” sulle cose, quella magia di avere 24 piccole fotografie ogni secondo che fatte scorrere alla giusta velocità donano la percezione del movimento - e per questo motivo l’unica fruizione possibile del film è in sala, qualunque altro modo lo svilisce inevitabilmente. 

 

È coraggioso perché è un film che appartiene a un genere che ormai dopo le opere e gli sguardi così diversi di Oliver Stone, Mario Monicelli, Michael Cimino, Robert Aldrich, Francis Ford Coppola, Howard Hawks, Stanley Kubrick, Steven Spielberg, Terrence Malick - e ci metto anche il film anti-genere di Quentin Tarantino - aveva forse esaurito le cose da dire e volerne invece fare uno nuovo, scegliendo di mostrare una sconfitta invece che una vittoria, è sintomo di volersi mettere in gioco nonostante tutto, provare ad alzarsi in piedi e spostarsi rispetto alla propria fama cercando posto al tavolo dei Grandi. 

Non è comune un film bellico dove il nemico non si vede mai, dove l’avversario è solo un aereo, una nave, una bomba, un siluro e dove non vengono mai mostrati mai il sangue, le budella, l’orrore. 

 

Tutto resta dentro, nella testa, nei pensieri.

 

 

 

 

Nolan in Dunkirk sceglie di non spettacolarizzare la guerra e di affrontarla con un tono a volte quasi documentaristico; la decisione di mostrarci i punti di vista differenti a seconda che si stia sulla spiaggia, in acqua o in cielo diventa quindi un diverso modo di vedere l’evento bellico in sé, anche se da qualunque punto lo si guardi ne si rimane schiacciati.

 

Non ho personalmente trovato utile la didascalia che ci mostra quanto tempo passerà nelle varie situazioni perché è una cosa che inevitabilmente porta lo spettatore a confrontare quanto promesso con quanto mostrato - e sulla parte in spiaggia la “settimana” di tempo secondo me zoppica un po’ - ma anche perché toglie un po’ il gusto di mettere insieme i pezzi da soli una volta che si nota Cillian Murphy in due situazioni diverse nello “stesso momento”.

 

Regia e fotografia - anche se quest’ultima forse un po’ troppo spinta sul classicone “Teal and Orange” - scelgono di portarci dentro la guerra, dentro l’attimo, dentro il momento, che sia quello di un ragazzino in barca la cui unica esperienza orrifica è quella di veder spirare un amico o quella di un comandante di marina che non sa cosa fare, quella di un pilota (fin troppo) eroico come quella di un giovane soldato che vuole soltanto vivere e tornare a casa. 

 

 

 

 

Dunkirk è un film altamente claustrofobico, con una predominanza di primi e primissimi piani, dettagli e particolari: la macchina da presa insiste sui volti segnati dalla sabbia, dall’acqua, dal gasolio e dal fuoco, dal terrore e dalla speranza, volti spaventati e volti consapevoli di un cast riuscitissimo che unisce attori di accertata esperienza come Kenneth Branagh e Mark Rylance, veri talenti contemporanei come Tom Hardy e Cillian Murphy con quelli imberbi di Fionn WhiteheadHarry Styles (piccolo appunto: il chiacchierato cantante degli One Direction secondo me è bravo. Sarà stata la faccia giusta, sarà stato diretto bene, sarà stato il ruolo, ma mi ha piacevolmente sorpreso). 

 

I campi lunghi sono pochi e quei pochi non danno comunque respiro, la macchina da presa viene posta nelle situazioni più estreme in mezzo alla sabbia, nell’oceano con l’acqua alla gola, in aria con il pericolo di un aereo nemico dietro le spalle e il punto di vista è sempre e costantemente quello degli uomini che popolano il film: se sono a terra divento un bersaglio, se sono in acqua affogo, se sono in cielo non vedo chi ho intorno a me.

 

Il lavoro fatto sulla colonna sonora da Hans Zimmer è esagerato: preponderante, eccessivo e stressante, non dà un attimo di tregua e praticamente tutta la pellicola ha di sfondo una musica che non smette mai di creare e accumulare tensione come una corda di violino che viene costantemente tirata, sempre di più… e quei pochissimi momenti nei 106 minuti di Dunkirk in cui la musica non c’è, si percepisce un vuoto. 

 

 

 

 

Un vuoto che però non regala pace, ma minaccia l’ennesima esplosione, l’ennesimo pericolo, con un missaggio audio che fa spavento e che costringe chi guarda Dunkirk a pensare di chiedere di smettere perché non si riesce a sostenere tanta pressione.

 

I protagonisti non hanno nome e, se ce l’hanno, non è importante.

I dialoghi sono ridotti all’osso, essenziali, i personaggi non dicono niente di memorabile o epico, non ci sono frasi da riportare sul diario di scuola o su un post in un social network: sono semplicemente delle pedine, sono piccoli pezzetti di un quadro più grande, non sono vittime, non sono eroi e il finale del film non è per niente conciliatorio.

 

Sono dei sopravvissuti coscienti del fatto di essere solo e soltanto dei sopravvissuti, persone che si porteranno dietro a vita quei momenti in cui hanno salvato una vita o hanno perso l’umanità mettendo se stessi prima degli altri, persone che sapranno di non aver fatto “niente se non sopravvivere”, soldati considerati eroi per il solo fatto di essere tornati a casa, ma che per primi vivono il profondo senso di colpa di non essere riusciti a "fare niente". 

 

 

 

 

Chi sostiene che questo sia il “capolavoro” di Christopher Nolan - al di là dell’abuso del termine che ormai si sta spogliando del suo effettivo significato - secondo me non sta esagerando.

 

Il regista britannico ci aveva finora abituati a film che raccontavano una storia seducente, per il tema o per il modo in cui sceglieva di raccontarla, con protagonisti forti e iconici e uno sviluppo che ai più poteva risultare cervellotico.

Qui no.

Con Dunkirk Nolan vuole andare da un’altra parte, vuole scrollarsi di dosso i blockbuster, vuole scatenare emozioni piuttosto che ragionamenti - e in questo Dunkirk va completamente altrove rispetto alla sua filmografia - vuole farci sapere, o tenta disperatamente di farlo, che ha voglia di crescere e di essere considerato adulto, che non vuole fare solo film ma ha intenzione di fare del Cinema.

 

Interstellar tradiva già questa volontà - riuscendoci o meno sta allo spettatore deciderlo - ma Dunkirk credo sia un ulteriore passo avanti nella carriera del regista e i suoi prossimi lavori a questo punto credo non potranno prescindere da questa intenzione, né discostarsi molto da questo tipo di approccio e di visione. 

 

 

 

 

Dunkirk resta dentro, scava a fondo nelle sensazioni di ognuno per trovare qualcosa.

 

Magari non in tutti lo troverà, magari alcuni verranno traditi dalle aspettative, magari è eccessivamente “diverso” da quello che “dovrebbe” essere, ma resta per me Grande Cinema.

Il mio consiglio è quello di abbandonarsi alla visione senza pregiudizi di sorta e senza cercare il Christopher Nolan che già si conosce, di vedere il film senza “guardarlo” ma assorbirlo, farselo entrare dentro e viverlo.

 

Il cieco che consegna le coperte ai soldati sul finale del film probabilmente è un gioco rivolto al pubblico da parte del regista, che non è nuovo a certe "frecciatine" extradiegetiche:

“Non vi vedo, ma so perfettamente come state”.

 

Siete arrivati in fondo a Dunkirk, l’avete subito e sopportato, avete combattuto stando sulle poltroncine e siete rimasti in apnea sperando che succedesse qualcosa di bello che però bello non è mai.

Siete sopravvissuti.

"E dite poco?" 

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59 commenti

Dalila Croce

6 anni fa

Sono vicina a Milano ma sto per trasferirmi a Bologna. Speriamo che anche lì lo ridiano.

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Simone Richini

6 anni fa

Concordo sul fatto che sia tecnicamente sotto a memento, però devo dire che mi ha trascinato molto di più The Prestige, soprattutto per i due personaggi principali, che sono interpretati alla perfezione

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Guido Vaccari

6 anni fa

Dunkirk mi manca, the prestige molto divertente ed intrigante, tecnicamente un pelino sotto Memento forse, ma comunque gran bel film

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Drugo

6 anni fa

In effetti quella non è stata una genialata

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Sam_swarley

6 anni fa

sono completamente d'accordo 😁😁

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Simone Richini

6 anni fa

Io sono molto indeciso tra Dunkirk e The Prestige, son quelli che mi sono piaciuti di più in assoluto.
Memento è comunque molto bello, soprattutto per l'idea di base che è veramente geniale.

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Quanto hai ragione...

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Antonino Gandolfo

6 anni fa

si hai perfettamente ragione. Ma la regia e il montaggio sonoro sono stati gli aspetti che mi hanno colpito e affascinato...oltre alla diversa percezione della durata delle scene, le quali si facevano più "lunghe" e pesanti in prossimità della costa francese. Nolan si è dimostrato per quello ch'è il "regista del tempo" un minuzioso regista attento e scrupoloso.

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Charlie Shield

6 anni fa

Riproverò, tanto ormai lo conosco a memoria!

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Sam_swarley

6 anni fa

prova con le cuffie, magari quelle chiuse che isolano fuori.. io le uso spesso per abitudine, magari ti trovi meglio

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