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Addio Bibi Andersson: adesso, per la prima volta, ho capito

La fine di un colpo di fulmine attraverso il tempo

''Ci prese come un pugno, ci gelò di sconforto, sapere a brutto grugno che Guevara era morto''. 

 

Dice così Guccini per descrivere il momento in cui venne a conoscenza della morte del Che:

"[...] si offuscarono i libri, si rabbuiò la stanza perchè con lui era morta la nostra speranza: erano gli anni fatati di miti cantati [...]".

 

Così è stato per lui e anche per me il 14 aprile 2019.

 

 



Spesso si dice che per elaborare un lutto serva del tempo: per sentire l'assenza, per capire davvero cosa voglia dire rimanere senza qualcosa che c'è stato, ma che non tornerà mai più. 

 

Forse anche nel Cinema è così, quei volti familiari che abbiamo amato e odiato, che abbiamo visto cambiare attraverso il tempo accelerato delle nostre visioni e che poco a poco abbiamo imparato a conoscere come familiari - nonostante non abbiamo mai avuto occasione di vederli dal vivo - un giorno spariscono e non è vero che non cambia nulla perché i film restano.  

 

Per alcuni potrà sembrare esagerato, irrazionale, insensato e pure un po' folle trattare l'addio di un attore - o di un qualsiasi personaggio pubblico - come quello di una persona a noi vicina, tanto più che forse nei nostri pensieri sono rimaste più le loro interpretazioni e i film a cui hanno preso parte che le persone che erano: io per primo ho spesso faticato a capire quelli che si strappavano i capelli per queste morti eccellenti come qualcosa di dannatamente vicino.

 

Ma adesso, per la prima volta, ho capito.

 

 

 


Sapere che qualcuno che ti ha accompagnato per tanto tempo, che è stato parte della tua vita a volte quasi come un amico o una fidanzata, con cui hai passato intere settimane di full-immersion e con cui puntualmente sei tornato a vederti dopo mesi da oggi non ci sarà più è ben più dell'ostentazione di un appassionato di Cinema: è qualcosa che non capisci fino in fondo, ma tristemente reale. 

 

Non che tu lo abbia mai visto in diretta, ma sapere che quei film che prima erano incontri attraverso il tempo d

a oggi saranno solo ricordi, al pari di fotografie di tempi lontani, è come vedere un piccolo pezzo di se stessi sparire.

 

Non è una cosa che può succedere per chiunque, non tutti gli artisti ci lasciano segni così indelebili, ma tutti abbiamo dei personaggi - che banalizzando qualcosa di ben più ampio potremmo dire preferiti - che sentiamo vicini, come dei conoscenti con cui è scattato qualcosa di inconscio, magico, inspiegabile razionalmente: come spiegare perché ci piaccia una persona più di un'altra.

 

 

 


Tra me e Bibi Andersson - e non è un caso che la prima volta che scrivo il suo nome sia dopo due pagine del mio quadernino, fa tutto ancora un po' male - è stato così, sin dall'inizio: sarà per una certa vicinanza al mondo magico del bianco e nero o per l'amore verso l'opera del genio svedese di Uppsala, ma la prima volta che vidi quei capelli lucenti e quell'espressione di chi ne Il settimo sigillo interpreta la parte di una candida e ingenua madre protettiva che nasconde molto di più, è stato come un colpo di fulmine.

 

Tutti ricordano la più iconica rappresentazione della Morte nella Storia del Cinema di Bengt Ekerot o il volto del dubbio religioso scavato dalle sofferenze di Max von Sydow, ma per me c'era solo lei orgogliosa del suo bambino che offre delle fragole di bosco - che saranno poi simbolo e titolo del ruolo probabilmente più importante della sua carriera - a uno sconosciuto.

 

Come in ogni colpo di fulmine che si rispetti il primo incontro si spinge al massimo alle presentazioni, la vera conoscenza arriva dopo: per me è stata il 18 ottobre 1966, anche se non ero ancora nato. 

 

Una delle più grandi opere che sia stata proiettata su un telo bianco veniva presentata nelle sale svedesi e io imparavo a conoscere Alma, l'infermiera a cui viene affidata Elisabeth - stesso nome della nostra Bibi - Vogler in Persona, e nel frattempo mi innamoravo del Cinema. 

 

Una chiacchierata lunga quasi un'ora e mezza da cui non si può tornare indietro.

 

 

 


Più delle fragole di cui sopra questo è stato il ruolo che perfettamente riassume e simboleggia la carriera di Elisabeth Berit Andersson.

 

La grande opera di Ingmar Bergman - il suo habitat naturale, conosciuto sul set di uno spot pubblicitario, per cui ha lasciato la scuola del Royal Dramatic Theatre - il ruolo a fianco del protagonista e quel legame fragile, empatico ed incredibilmente forte con lo spettatore. 

 

Un film in cui c'è tutto di Bibi: lo scambio tra realtà e finzione, come un monito del mutismo che la colpirà negli ultimi anni della sua vita, quella capacità di fare un passo indietro rispetto ai "protagonisti" e quella maschera che ha costruito film dopo film fatta di fragilità, sensualità e candore, che può portare solo chi sa passare nell'arco di pochi secondi dalla giovane ragazza spersa nel mondo di Alle soglie della vita alla seduzione de L'occhio del diavolo, e poi la necessità di empatia di quella giovane infermiera tutto a nascondere una complessità unica.

 

Una maschera che attraverserà tutto il suo sodalizio aritistico con Bergman, fatto di ben tredici titoli: dal doppio giovane personaggio de Il posto delle fragole alla donna in crisi di Passione

 

 

 


Un'apertura totale verso lo spettatore e verso il regista che le permette di superare per empatia l'attrice muta che la (e ci) scruta con superiorità e che le darà la disponibilità di restare al fianco dei due innamorati che creano la loro opera, ma che allo stesso tempo la porta a metterci tanto del suo senza interrompere il loro discorso muto.

 

Un esempio su tutti la scena in cui racconta dell'aborto avuto e che torna su un momento drammatico della stessa vita dell'attrice, che abortì nel 1952.

 

Bibi Andersson è stata una grandissima attrice, vincitrice del Premio per la Miglior Interpretazione Collettiva al Festival del Cinema di Cannes con Alle soglie della vita, dell'Orso d'argento a Berlino per L'Amante di Vilgot Sjöman e candidata ai Golden Globe sia per Persona sia per Il letto della sorella, ma che soprattutto resterà un simbolo di quel periodo in cui il Cinema è stato arte e sperimentazione forse più che mai.

 

Rinchiusa in quell'epoca magica e tanto lontana e irripetibile quanto vicina e toccante ancora oggi. 

 

 

 


Un simbolo forse ancor di più di coloro che hanno continuato le loro carriere diventando registi affermati nei decenni successivi o di chi ne è uscito raggiungendo sia il grande pubblico e i grandi blockbuster americani sia il Dogma 95 danese, pur avendo anche lei attraversato l'oceano per alcuni film all'apice della sua carriera e avendo partecipato a molte produzioni in Italia. 

 

Bibi Andersson ha collaborato con Bergman ben tredici volte e con lui ha attraversato tutte le battaglie: dal primo spot assieme nel 1951 al teatro sperimentale a Malmö per cui lasciò gli studi, dal primissimo cinema bergmaniano ai suoi capolavori, fino agli scandali legali e alle sperimentazioni su generi e linguaggio cinematografico degli anni '70.

 

Potrebbe sembrare quella che oggi chiameremmo caratterista o attrice feticcio di un grande autore, ma è stata ben di più: era la fragilità di cui Bergman non poteva fare a meno, come contrapposizione a Liv Ullman e Ingrid Thulin, il simbolo della femminilità e della purezza messa a rischio e di una sorta di leggerezza nel vivere fondamentale nel suo Cinema. 

 

Anche quando non poteva essere la giovane cugina con il cesto di fragole appena raccolte ed è diventata donna adulta e sensuale come in Passione, L'occhio del diavolo o Scene da un matrimonio ha sempre mantenuto quel ricordo come se stessimo vedendo Alma di Persona, Hjordis di Alle soglie della vita e Mia de Il settimo sigillo cresciute, più che nuovi personaggi. 

 

 

 

 

Bibi Andersson ha lavorato con Marco Bellocchio, con Robert Altman, con John Huston e con tutta la scena cinematografica svedese.

 

Si è spesa per Sarajevo in prima persona negli anni '90, ma quel sorriso malizioso e indimenticabile, quel volto con gli occhiali da sole e i capelli biondi resteranno per sempre il simbolo di un'epoca da oggi un po' più passata e che - per tornare alla citazione iniziale

 

"Ognuno lo capiva che un eroe si perdeva e qualcosa finiva. [...]

Ognuno adesso sa [...] che forse non tornerà".

 

Addio, Bibi.

Stoccolma 11/11/1935 - Stoccolma 14/04/2019

 

 

 

 

Filmografia:

Sorrisi di una notte d'estate (Sommarnattens leende),

regia di Ingmar Bergman (1955)

Il settimo sigillo (Det sjunde inseglet),

regia di Ingmar Bergman (1957)

Alle soglie della vita (Nara livet),

regia di Ingmar Bergman (1958)

Il volto (Ansiktet),

regia di Ingmar Bergman (1958)

Il posto delle fragole (Smultronstailet),

regia di Ingmar Bergman (1958)

L'occhio del diavolo (Djavulens oga),

regia di Ingmar Bergman (1960)

L'amante (Älskarinnan),

regia di Vilgot Sjöman (1962)

A proposito di tutte queste... signore (Fur att inte tala om alla dessa kvinnor),

regia di Ingmar Bergman (1963)

Duello a El Diablo (Duel At Djablo),

regia di Ralph Nelson (1966)

Il letto della sorella (Syskonbado 1782),

regia di Vilgot Sjoman (1966)

Persona,

regia di Ingmar Bergman (1966)

Scusi, lei è favorevole o contrario?,

regia di Alberto Sordi (1966)

Anatomia di un adulterio (Le viol),

regia di Jacques Doniol-Valcroze (1967)

Le calde palme di Rio (Svarta palmkronor),

regia di Lars-Magnus Lindgren (1969)

Passione (En passion),

regia di Ingmar Bergman (1969)

Le ragazze (Flickorna),

regia di Mai Zetterling (1969)

Violenza al sole,

regia di Florestano Vancini (1970)

Think of a number (Tänk pä et tal),

regia di Palle Kjærulff-Schmidt (1970)

Storia di una donna,

regia di Leonardo Bercovici (1970)

Lettera al Kremlino (The Kremlin Letter),

regia di John Huston (1970)

L'adultera (Berroningen),

regia di Ingmar Bergman (1971)

Scene da un matrimonio (Scener ur ett aktenskap),

regia di Ingmar Bergman (1973)

Mannen fraan andra sidan,

regia di Yuri Yegorov (1973)

La rivale di mia moglie (La Rivale),

regia di Sergio Gobbi (1974)

Storia d'amore con delitto (Bloody),

regia di Sergio Gobbi (1975)

Codice 215: Valparaiso non risponde (Il pleut sur Santiago),

regia di Helvio Soto (1976)

L'amour en question,

regia di André Cayatte (1978)

Airport '80 (The Concord: Airport '79),

regia di David Lowell Rich (1979)

Il sogno di Laura (Twice A Woman),

regia di George Sluizer (1979)

Quintet,

regia di Robert Altman (1979)

Star's Lovers (Exposed),

regia di James Toback (1983)

Il pranzo di Babette (Babette Gaestbud),

regia di Gabriel Axel (1987)

Il sogno della farfalla,

regia di Marco Bellocchio (1994)

Drømspel (Il Sogno),

regia di Unni Straume (1994)

Racconti da Stoccolma (Nar morkret falier),

regia di Anders Nilsson (2006)

Arn - L'ultimo cavaliere (Arn - Tempelriddaren),

regia di Peter Flinth (2007)

Arn - Riket slut vid vägens,

regia di Peter Flinth (2008)

Images from the Playground (Blide fran lekstugan),

regia di Stig Bjorkman (2009)

______________

 

Premi:

1958 Festival del Cinema di Cannes - Migliore Interpretazione del Cast: Alle soglie della vita 

1963 Festival Internazionale del Cinema di Berlino - Migliore Attrice: The Mistress

1967 Guldbagge Awards - Migliore Attrice: Persona

1968 BAFTA Awards - Migliore Attrice Straniera: Persona

1968 BAFTA Awards - Migliore Attrice Straniera: Il letto della sorella

1968 National Society of Film Critics Awards - Migliore Attrice: Persona

1975 National Society of Film Critics Awards - Migliore Attrice non Protagonista: Scene da un matrimonio

2001 Guldbagge Awards - Migliore Attrice non Protagonista: Det blir aldrig som man tänkt sig

2004 Guldbagge Awards - Migliore Attrice non Protagonista: Elina - Som om jag inte fanns 

 

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3 commenti

Benito Sgarlato

5 anni fa

Sì, devo assolutamente vederli! Grazie

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Fabrizio Cassandro

5 anni fa

Anch'io le primissime volte che l'ho vista a colori sono rimasto un pochino stranito. 
Comunque - se posso permettermi - può essere interessante vederla in un ruolo un pochino diverso rispetto ad Alma/Sara/Hjordis/Mia (Persona, Il Posto delle Fragole, Nara Livet, Il Settimo Sigillo) in un film come Devil's Eye che senza dubbio non è tra i Bergman immancabili, ma in cui Bibi merita particolarmente o in En Passion (qui a colori).

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Fabrizio Cassandro

5 anni fa

Grazie! 👍

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