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Butterfly è una storia di sport, di pugilato.
Ma ancor di più è una storia di sacrifici, fatica, sudore e sangue, cadute e risalite, una storia che emozionerà tutti, ma un po’ di più chi l’agonismo l’ha vissuto sulla propria pelle.
È la storia di Irma Testa.
A 14 anni Irma va via di casa, lascia la famiglia, gli amici d’infanzia e la sua Torre Annunziata, nel caldo e caotico clima della provincia di Napoli.
Si trasferisce nella molto più tranquilla Assisi perché chiamata in ritiro con la nazionale dalla FPI, la Federazione Pugilistica Italiana.
Per quattro anni.
Dai 14 ai 18 anni.
Lo sport può essere certamente un modo per tenersi in forma, un bel passatempo, può essere la nostra valvola di sfogo alla fine di una giornata stressante.
Altre volte, però, può essere qualcosa di più: capita che diventi la nostra stessa vita.
E così è stato per la giovane Irma che già prima dei 14 anni aveva iniziato a combattere da agonista, incominciando a praticare pugilato a 12 anni quasi per emulare sua sorella, Lucia Testa, anche lei iscritta nella palestra del vecchio maestro Lucio Zurlo, conosciuto e amato da tutti in quel di Torre Annunziata anche per il gran servizio di reintegro sociale che rende con la sua palestra - come del resto fanno la maggior parte delle palestre di pugilato.
Lì la futura atleta azzurra ha mosso i primi saltelli e ha smosso i primi sacchi.
Il documentario ci racconta la vita dell’atleta a partire dalle qualificazioni per le Olimpiadi di Rio 2016: Irma Testa è stata la prima pugile donna italiana che si sia mai qualificata per un’Olimpiade e il più giovane pugile in assoluto ad ottenere una qualificazione per dei Giochi Olimpici, a 18 anni.
Allenamenti su allenamenti, diete rigide, niente alcool, niente fumo, a letto presto, niente uscite con i ragazzi perché non c’è tempo, un’adolescenza diversa e lontanissima da quella dei suoi coetanei.
Se fai agonismo non è solo questione di allenamento fisico, “È tutto qui, è tutto qui…” dice il maestro Lucio picchiettando l’indice sulla testa della sua atleta.
Se non sei concentrato, fermo a mirare il tuo obiettivo, se pensi ad altro, è meglio che non inizi proprio.
Perderesti.
E questo vale per l’agonismo in tutti gli sport.
In quelli da combattimento, poi, c’è un piccolo ma non trascurabile dettaglio in più: se perdi, non perdi solo il match, la gara, ma potresti farti anche male.
Se vuoi combattere su un ring, a quei livelli, la tua vita non può che essere totalmente assorbita dalla noble art, tutto ciò che fai nelle tue giornate ne viene influenzato, da quando ti svegli la mattina a quando la sera ti sdrai sfinito sul letto e chiudi gli occhi che domani si ricomincia da capo tra quelle sedici corde.
“All’inizio erano una prigione… la prima volta che salii sul ring cercavo una porta per uscire ma non c’era…”
La tenacia, la caparbietà, la testardaggine che devi avere per riuscire a fare tutto ciò sono difficilmente immaginabili da chi è fuori dal mondo dell’agonismo o da chi non c’è mai passato.
Non sono molte le persone che scelgono di dare la propria vita allo sport ma ancora meno quelle disposte a capire scelte del genere da parte di chi, invece, le scelte le fa in prima persona.
“Non vieni mai a bere qualcosa!”
“Dai, per una volta che si va a mangiare fuori…”
“Perché non vieni alla festa stasera?”
“Su, vieni a ballare e poi facciamo tutta una tirata fino a domani…”
“Oh, certo che tu non ti fai proprio più vedere in giro…”
“Ormai solo boxe, boxe, boxe…”
Quando poi chi ha scelto il pugilato come vita è una ragazza, lì parte il Festival dell’Occhio Sgranato che si tiene in Luogo Comune, perché:
"Sei una ragazza, e le ragazze, si sa, fanno danza..."
"Il pugilato è da uomini.“
"Boxe… femminile? Ahah! Esiste?”
“Perché non ti trovi un ragazzo?”
E troppe altre…
Immaginate tutto questo a 14 anni.
Devi avere una certa Corazza per non farti buttare giù dal tuo stile di vita già di per sé difficile e inusuale per un adolescente, in più devi irrobustirla contro chi invece di sostenerti non fa altro che darti pensieri negativi per la tua preparazione.
Una preparazione di anni per i Giochi Olimpici, anni di solo pugilato faccia a faccia sempre solo con i tuoi maestri o con i compagni di squadra.
“E se non va, che faccio?”
Il tempo è l’unica cosa che non torna più indietro, ecco perché un investimento di anni di vita può mandare in crisi anche un’atleta super motivato ma che di tempo ne ha scommesso non poco.
Dopo The Things We Keep (documentario proiettato in anteprima mondiale al Biografilm Festival 2018) Casey Kauffman e Alessandro Cassigoli firmano un altro emozionante documentario, tutt’altro tema e tutt’altro ritmo, ma questi due ragazzi quando lavorano insieme fanno scintille.
I registi ci portano con naturalezza ad esplorare la vita di Irma, dai quartieri di Torre Annunziata a casa Testa, dalla palestra del maestro Lucio a quella di Assisi con il maestro Emanuele Renzini, riescono a mostrare forza e debolezze di una giovanissima atleta catapultata in un mondo difficile - ma emozionalmente ricchissimo - come quello del pugilato agonistico.
[Da sinistra: i registi Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman]
Appassionati di pugilato, di sport, ma più in generale di belle storie di forza e perseveranza, non perdetevi questo documentario!
Magari poi vi viene anche voglia di provare a dare qualche colpo a un sacco!
P.S.: con “e le ragazze, si sa, fanno danza…” non voglio ovviamente sminuire la danza rispetto al pugilato o a qualsiasi altra disciplina sportiva.
Io non so ballare, ma amo terribilmente guardare chi sa farlo: beati voi!
Gli sport sono belli tutti e, soprattutto, per tutti/e.
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