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Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto cerca di rispondere a queste domande: come reagisce un uomo quando prende coscienza del potere che è in grado di esercitare nei confronti delle persone che lo circondano? E che effetto ha l'uso di questo potere, permanente e prolungato, nei suoi stessi confronti?
Detenere il potere - in quantità più o meno grandi - garantisce prestigio sociale, rispetto, una certa dose di influenze politiche, in tutto e per tutto si tratta di un innalzamento del proprio status.
Tuttavia Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Premio Oscar 1971 per il Miglior Film in Lingua Straniera e vincitore del Grand Prix al Festival del Cinema di Cannes, ci suggerisce che il risultato di questa condizione non è limitato ai vantaggi derivanti dalla propria posizione.
La detenzione del potere viene incarnata nel personaggio interpretato da Gian Maria Volonté, qui in una delle sue più clamorose performance attoriali, nel ruolo di un commissario di polizia a capo della sezione omicidi e poi promosso a capo dell'ufficio politico.
Il funzionario di polizia non viene mai chiamato per nome, ci si riferisce a lui semplicemente con il termine reverenziale e ruffiano di Dottore, simbolo dell'ordine costituito, della gerarchia, della rigidità e dell'autocompiacimento della Legge.
In un contesto storico di forte tensione sociale a seguito della strage di Piazza Fontana e della morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli, Elio Petri mette in scena un'analisi spietata della schizofrenia del potere incarnato nel personaggio di Volonté.
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto si apre appunto con il nostro Dottore, che sulle note di Ennio Morricone entra nell'appartamento della sua amante Augusta Terzi: si tratta di un ambiente barocco, fatto di linee sinuose, specchi e toni oscuri, in tutto e per tutto riflesso della sua padrona.
Il Dottore si infila sotto le lenzuola insieme a lei, e mentre consumano un rapporto le taglia la gola con una lametta da barba.
Tutto ciò che seguirà sarà una miscela di presunzione, arroganza e sfacciataggine, o come si dirà più avanti, opera di un cretino: dopo essersi fatto la doccia l'assassino decide semplicemente di fare tutto quanto sia possibile per ricondurre a sé l'omicidio.
Stringe forte tra le mani una bottiglia di un qualche liquore e un bicchiere, ruba dei preziosi lasciando in bella vista del denaro contante, lascia una traccia della sua cravatta sotto l'unghia della vittima, fa bene attenzione a pestare la pozza di sangue con la scarpa per poi lasciarne le impronte in giro, e in ultimo, dopo aver denunciato l'accaduto alla polizia, si fa anche vedere da un vicino della Terzi, l'anarchico Antonio Pace.
Sono i primi segni della nevrosi, o forse il suo culmine.
Il delitto ha messo in moto un meccanismo in cui il Dottore è il fulcro.
Ciò a cui assisterà lo spettatore in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto da quel momento in poi è un'alternanza di flashback che tentano di fornire un movente accettabile per il suo gesto e di scene ambientate nel presente in cui le indagini, per lo più infruttuose e portate avanti dalla squadra omicidi ormai orfana del suo vecchio capo, vengono continuamente favorite e ostacolate da prove deliberatamente create e distrutte dall'assassino.
I rapporti che ha quest'ultimo con i sottoposti e i superiori riflette contemporaneamente la sua anima autoritaria, autocompiaciuta, intimidatoria nei confronti dei primi, e quella asservita, genuflessa e ruffiana verso gli altri.
Lo vediamo denigrare un collega che gli fa i complimenti - probabilmente non eccessivamente sentiti - per la sua promozione: "E finiamola con queste leccate!".
Lo vediamo minacciare in maniera estremamente sottile il sottoposto che gli comunicherà di aver trovato le sue impronte digitali sparse per tutto l'appartamento della vittima: "Sì lo so, mio cugino è comunista [...] ma che ci posso fare? Io poi non l'ho visto mai ...anzi per essere veritiero lo vedo ma una volta all'anno, a Natale!".
Lo vediamo sempre più mettere in evidenza le falle del sistema stesso, i suoi angoli bui, le sue ipocrite peculiarità.
E non solo con i sottoposti.
Rimane emblematico il colloquio con il questore di polizia (interpretato da Gianni Santuccio), permeato di grande ossequiosa riverenza, durante la quale confessa apertamente di aver intrattenuto una relazione con Augusta Terzi, chiedendosi se fosse il caso di informare gli inquirenti della circostanza.
La risposta del questore a una domanda di così inaudita gravità riassume buona parte dell'intrinseca capacità (tutta kafkiana come ci ricorda la citazione prima dei titoli di coda) della macchina della giustizia di rendere i servi della Legge immuni al giudizio umano: "Per me è stato il marito... ciao!".
Quel che appare allo spettatore è quindi una figura che sembra aver perso molta della sua fiducia nel sistema, o meglio, qualcuno a cui è stato toccato un nervo scoperto, come se gli avessero aperto in viso il vaso di Pandora e ne sia rimasto scottato.
Già nella primissima scena in commissariato la cosa appare evidente: leggendo sul giornale il titolo Agente spara dice al brigadiere Biglia (Orazio Orlando) con aria complice: "Naturalmente gli è castata la pistola ed è partito un colpo!", ricevendo come risposta un inquietante quanto esemplificativo: "Questa è la versione più probabile".
È per lui l'ennesima conferma che, se anche qualcosa dovesse funzionare male nel sistema, nessuno se ne accorgerebbe, o avrebbe mai la volontà di accorgersene.
Questa disillusione ha la sua radice nella relazione tra il Dottore e la vittima Augusta Terzi, interpretata da una sensualissima Florinda Bolkan.
La ragazza è una borghese probabilmente annoiata dalla vita con una nuova fissa: la divisa e ciò che rappresenta. I due si divertono ad interpretare vari casi di cronaca nera ai quali il poliziotto ha lavorato nel tempo.
In queste messe in scena si crea un'atmosfera morbosa che ruota attorno al sesso, alla morte, alla sottomissione della vittima al potere del suo carnefice, un'atmosfera che non può che eccitare il Dottore, esaltato nella sua sensazione di incondizionato controllo sulla ragazza.
Ben presto la situazione si evolve, e dalla semplice rappresentazione si passa all'interrogarsi sulla questione: cosa implica la detenzione del potere?
Augusta lo spinge, per puro divertimento, a bruciare un semaforo rosso per poi proteggersi dietro il suo distintivo.
Dopo avergli chiesto come potrebbe compiere un delitto perfetto in condizioni sfavorevoli gli dice chiaro e tondo che l'unica sua possibilità di essere arrestato è firmarsi, iniziando quindi a mettergli la pulce nell'orecchio.
Il rapporto tra i due però cambia nel momento in cui lei lo tradisce con Antonio Pace, un giovane rivoluzionario anarchico, lo stesso da cui poi si farà riconoscere dopo il delitto.
Un vero affronto per il dottore: "Puoi farti sbattere da chi vuoi, a me non me ne importa. Ma io le cose le voglio sapere, tu me lo devi dire!", che non può accettare una tale mancanza di rispetto per una figura istituzionale della sua levatura. E continua: "Non mi puoi mettere in queste condizioni. Io sono una persona rispettabile, io rappresento qualcuno, io rappresento il potere Augusta! Tu dovresti baciare la terra dove io metto i piedi, hai capito, stronza?".
Per tutta risposta il Dottore viene deriso, sbeffeggiato, ma, cosa più grave di tutte, viene messa in dubbio la sua autorità: "Metti giù le mani, deficiente. [...] Io non sono uno di quei disgraziati che ti capita tra le mani. Tu fai l'amore come un bambino, perchè non sai che un bambino, che ti credi? Magari la fai ancora al letto perchè non sei nessuno! Tu sei sessualmente incompetente!".
Ed ecco il nocciolo della questione: il potere, incarnato nel dottore, trova riparo solo in se stesso, ma quando viene privato delle sue armi si mostra per quello che è, un piagniucolante, insignificante e capriccioso bambino.
La conseguenza non può che essere l'eliminazione dell'irrispettosa donna.
Le decisioni che prenderà il Dottore da quel momento in avanti denunciano la sua scissione e la sua nevrosi: egli crea attorno a sé una serie di situazioni che lo tengono costantemente in bilico tra la volontà di favorire la giustizia e aiutarla quindi a mettersi sulle sue tracce e la possibilità usare il suo potere per sviare le indagini.
Emblematica in tal senso una scena di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto in cui il Dottore, tornato nella sua casa illuminatissima e arredata con uno stile iper-moderno (in chiara contrapposizione con l'appartamento della Terzi) fa il segno della croce, con aria preoccupata.
Nella situazione in cui si è incastrato quale sarebbe lo scenario peggiore?
Essere catturato e condannato a giusta pena, o scoprire che il sistema in cui ha sempre creduto, l'istituzione della giustizia, sia tanto marcio da autoassolversi?
Ciò a cui assisterà lo spettatore sarà quindi un continuo disseminare e distruggere prove a suo carico, senza un disegno preciso e in un crescendo di indecisione che a fasi alterne sembra convincere nessuno e convincere tutti, tra i suoi colleghi, della possibilità che lo stesso Dottore sia un omicida.
La prima idea è quella di deviare i sospetti verso l'ex-marito della Terzi, da cui ha divorziato 3 anni prima dopo aver scoperto le sue tendenze omosessuali: sia con i suggerimenti ai giornalisti sia tramite indicazioni ai sottoposti, riesce a portarlo in questura e a farlo interrogare, ma al momento del dunque ritrae la sua posizione.
Non è chiaro quanto questi continui cambi di approccio siano frutto di scrupoli di coscienza o della classica coda di paglia; quel che traspare dalle sue parole è piuttosto la volontà di affrontare un dilemma etico: "Ho lasciato indizi dappertutto, non per fuorviare le indagini, ma per provare la mia insospettabilità [...] Tuttavia quando hai fatto condannare al tuo posto un innocente la tua insospettabilità non è provata!".
E la desolazione nel rendersi conto di come la sua posizione privilegiata abbia finito per rendere assolutamente inutili tutti i suoi sforzi - comunque poi opportunamente neutralizzati - atti a indirizzare l'inchiesta nella giusta direzione: "Ma lo vuoi capire? Il marito è innocente!".
È quindi presente una enorme dicotomia nella figura del Dottore di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, che vede contrapposti da una parte il suo attaccamento alla giustizia costituita, alla gerarchia, alla Legge, e dall'altra la disillusione che lo pervade per la consapevolezza che il sistema non arriverà mai a lui senza la sua precisa volontà (e magari neanche quella potrebbe bastare).
L'apice della carriera del Dottore, in cui tutto il suo amore per l'istituzione viene alla luce, è rappresentata dal suo trionfale discorso di presentazione in qualità di capo dell'ufficio politico.
La scena è un preciso atto di accusa di Petri nei confronti dei metodi e della formazione ideologica degli organi di polizia, trovando il coraggio in un periodo teso come quello degli anni di piombo e della rivoluzione studentesca di accostare l'ordine costituito a parole, pensieri e idee di matrice praticamente fascista - anche se nessuno, nel film, lo dice ad alta voce.
Nel suo discorso il Dottore elimina le differenze tra reati come furti, stupri e assassini e le lotte politiche: "Sotto ogni criminale può nascondersi un sovversivo, sotto ogni sovversivo può nascondersi un criminale", affermando che il pericolo sia il medesimo, ovvero il rovesciamento dell'ordine sociale che la forza di polizia deve impegnarsi a mantenere immutato.
E lo strumento non potrebbe essere più ovvio: "Repressione e civiltà!".
Ma se da una parte la figura del giudice, a cui nessun personaggio della vita civile può sostituirsi, nella sua mente è indefessa, intoccabile, perfetta in quanto espressione della Legge, dall'altra gli appare evidente come i colleghi facciano a gara a chi ignora meglio le decine di tracce che si è lasciato alle spalle dopo l'omicidio.
Il punto a cui sembra arrivare questo grottesco gioco del delitto è che all'interno del sistema non ci può essere un soggetto capace di giudicare il giudice, che vuol dire che il giudice non può essere né colpevole né imputabile: fingendosi un impresario teatrale, il Dottore costringe un idraulico a comprare tutte le cravatte identiche a quella che aveva al momento dell'assassinio.
Si impossessa di una sola di queste cravatte - che andrà a sostituire la sua, poi distrutta in quanto prova inconfutabile - e dopo avergli confessato di essere l'autore dell'omicidio di Augusta Terzi gli ordina di andare a denunciarlo in questura.
Il malcapitato in questura ci va pure, ma quando vede nell'uscente capo della sezione omicidi il volto dell'impresario che pochi minuti prima gli ha confessato di essere l'assassino della Terzi finge di non riconoscerlo.
La svolta finale la offre un attentato che ha luogo vicino al commissariato, per il quale vengono arrestati decine di studenti facinorosi, tra cui anche Antonio Pace (Sergio Tramonti). È l'ultima possibilità per dimostrare la purezza del sistema.
Ma quando il ragazzo lo riconosce e il Dottore conferma i suoi sospetti, si rifiuta di denunciarlo: "Qui ci sei e qui ci rimani! Un criminale a dirigere la repressione è perfetto! È PER-FET-TO! [...]. E alla prossima azione ti telefono, ti tengo in pugno!".
Il povero poliziotto non ha alternative al costituirsi.
E qui Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto entra in una dimensione onirica: si addormenta sul letto e sogna di essere imputato di un processo i cui giurati sono i suoi colleghi, rappresentanti anch'essi delle istituzioni, e gli si addebita come unica colpa il voler provare la propria colpevolezza.
Tutte le prove vengono smontate una per una, i moventi minimizzati, tutto con il solo scopo del potere di difedere se stesso.
Dopo il crollo fisico e mentale del Dottore, c'è la resa finale: "Faccio quello che voi volete. [...] Confesso la mia innocenza", a seguito del quale accompagna gli ospiti all'uscita come un bambino che se l'è fatta nelle mutande.
Al suo risveglio il Dottore si prepara ad accogliere gli alti funzionari che già l'hanno processato nel suo sogno, ma stavolta, nella realtà, le persiane vengono abbassate e la scena viene ripresa in penombra, dall'esterno: la confessione e la conseguente autoassoluzione del potere è nascosta, celata agli occhi della vita civile.
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto è un capolavoro del cinema italiano e mondiale, che in periodi tesi come quelli degli anni di piombo ha avuto il coraggio di mettere in dubbio l'autorevolezza, l'imparzialità e la buona fede degli organi di giustizia, attirandosi dietro le ire di mezza classe dirigente italiana ma mettendo l'accento su un dilemma etico che interessa la vita del paese anche ai giorni nostri.
Formalmente e contenutisticamente perfetto, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto è una vetta ineguagliata del cinema politico, intelligente, lucido e tagliente nella sua opera di denuncia.
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13 commenti
Tazebao
6 anni fa
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Rossella D'Introno
6 anni fa
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Jacopo Gramegna
6 anni fa
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Rossella D'Introno
6 anni fa
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Il Cionco
6 anni fa
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RustCohle
6 anni fa
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Drugo
6 anni fa
spero che Il filo nascosto non sia veramente il suo ultimo film.
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Rossella D'Introno
6 anni fa
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Jacopo Gramegna
6 anni fa
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Rossella D'Introno
6 anni fa
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Joaquin Phoenix
6 anni fa
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Fabrizio Fois
6 anni fa
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Jacopo Gramegna
6 anni fa
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