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Nel mese seguente all’uscita in sala di Bohemian Rhapsody, il biopic dedicato ai primi quindici anni di carriera dei Queen, si è scatenata fra i siti specializzati di cinema e musica una continua caccia al pachiderma cinematografico, fra stroncature folgoranti e appassionati apprezzamenti.
Ed era anche facile prevederlo.
Bohemian Rhapsody, il film che vede fra i produttori Brian May e Roger Taylor - i due Queen ancora su piazza - è a tutti gli effetti un grosso elefante imbizzarrito che sta polverizzando record su record, sia in Italia (nel Bel Paese è il film più visto del 2018), sia all’estero con i suoi 670 milioni di dollari di incasso (cifra che continua a salire vertiginosamente).
Una grossa e grassa vacca con la proboscide che il world wide web, sempre affamato di click, sta mungendo a più non posso, spesso sacrificando oggettività e buon senso.
Proviamo a fare un po’ di chiarezza.
Dopo una genesi a dir poco travagliata, con prima l’ingaggio di Sacha Baron Cohen per il ruolo di Freddie Mercury e il successivo abbandono del vecchio Borat per incomprensioni insanabili con il duo Taylor-May, e dopo il licenziamento – quasi sulla linea del traguardo – del regista Bryan Singer per motivi mai del tutto certificati, l’accoglienza da parte della critica internauta è stata decisamente variegata.
Infatti, se il responso al botteghino è stato da We Will Rock You, in poco più di trenta giorni di recensioni, news e post sui social, abbiamo avuto modo di leggere qualsiasi tipo di commento: da chi ha gridato al capolavoro emozionale a chi ha deriso Rami Malek per l’ingombrante protesi dentale che gli ha deformato il viso invece che renderlo rassomigliante al fu Farrokh Bulsara, passando per i fan della band usciti disgustati dalla proiezione.
Un risultato costantemente in bilico fra Innuendo e I’m In Love With My Car, insomma.
[Baron Cohen: inizialmente un rimpianto, in realtà sostituito egregiamente da Rami Malek]
Ma dove sta la verità?
Secondo il parere di chi scrive, come da proverbio, sta esattamente in mezzo al mare di opinioni che si possono leggere in giro. Spero potrete perdonare la mia posizione – apparentemente – democristiana.
Come è stato detto e ri-detto, Bohemian Rhapsody è un film che facilmente viene apprezzato da chi non conosce la storia dei Queen pur apprezzandone la musica e, al contrario, difficilmente piace a chi canticchia sovente Mustapha, Princes of the Universe e sa che Mary Austin, prima di stare con Freddie, aveva avuto un flirt col vecchio Brian.
[A mio avviso una delle canzoni più divertenti dei Queen]
Ma procediamo con ordine.
Il film, dal punto di vista squisitamente tecnico/visivo è assolutamente godibile: il regista de I soliti sospetti non si è bevuto improvvisamente il cervello e – coadiuvato dal buon lavoro del direttore della fotografia Newton Tomas Siegel – ha saputo dirigere le riprese in maniera assolutamente “pulita”, alternando ricostruzioni certosine (impressionante la sequenza del Live AID dell’85) a passaggi narrativi scorrevoli.
Il comparto sonoro in toto è eccezionale: la colonna sonora di John Ottman, il missaggio audio e le performance vocali del canadese Marc Martel, che ha prestato la voce a Rami Malek/Freddie Mercury per i pezzi cantati “non-sul-palco”, sono il punto di forza del film.
L’altro valore aggiunto della pellicola sta nelle prove di quei terribili quattro: Gwylim Lee (Brian May), Ben Hardy (Roger Taylor), Joseph Mazzello (John Deacon) e Rami Malek (Freddie Mercury).
Se il terzetto di strumentisti stupisce per somiglianza e bravura (Deacon e May sono impressionanti), non ci sono parole per decantare abbastanza il lavoro fatto dal protagonista di Mr Robot per dare vita al suo Freddie.
Pur avendo una corporatura più minuta e una fisiognomica – ovviamente – per certi versi dissimile rispetto al frontman britannico (resta nella mente dello spettatore il contrasto fra gli occhi azzurri di Malek con quelli nocciola di Mercury), l’attore di origini egiziane è riuscito a convincere affrontando un’impresa che pareva pressoché impossibile: rendere giustizia a uno dei più grandi showmen che abbia calcato i palcoscenici del mondo intero.
[Un quartetto decisamente ben assortito]
Malek non si è limitato a studiare il compitino, riproducendo (in maniera egregia) la mimica corporea del “Freddie artista”, ma è riuscito a donare al suo personaggio una serie di micro-espressioni facciali tipiche del nostro cantante baffuto preferito, ricostruendo quindi in maniera sbalorditiva il “Freddie uomo”.
Ciò che colpisce maggiormente è come Malek sia riuscito ad appropriarsi della gestualità di Mercury non solo nelle sequenze dei concerti, ricopiabili in stile ‘cartacarbone’, ma riproducendole – quasi – senza sbavature per tutta la durata del film. Se non ci fosse un certo Christian Bale/Dick Chaney all’orizzonte, probabilmente mi sarei giocato qualche euro su Malek vincitore della statuetta come Migliore Attore Protagonista agli Oscar.
Ma… quindi… Se il comparto visivo è ok, le musiche sono – logicamente – da brividi e i quattro protagonisti sono da urlo… dov’è il problema?
Ma nello script, ovvio.
Chi scrive non è un fan sfegatato dei Queen e non conosce nel dettaglio la loro storia. Mi limito quindi a una competenza piuttosto superficiale sui fatti relativi alla band, a Freddie e a una discreta cultura dei loro lavori musicali.
Un medio conoscitore del gruppo, insomma.
Premessa soggettiva necessaria per sottolineare come, appena uscito dalla sala, senza aver googolato alcunché, già sapevo che lo sceneggiatore (il neozelandese Anthony McCarten), nel costruire la narrazione e cercando di seguire le pietre miliari della storia della band inglese, aveva combinato un casino della malora.
[His majesty Freddie Mercury]
Perché se è vero che un film biografico non è un documentario, e quindi i fatti storici possono essere piegati per le necessità del racconto e, volendo, sacrificati sull’altare del pathos di una storia votata a strappare la lacrimuccia (cosa in cui riesce, senza ombra di dubbio) e sulla deflagrazione dell’epica del gruppo, costruita sul lirismo di topoi strutturali (come l’ascesa e la caduta dell’eroe o il ritorno del figliol prodigo), non è comunque ammissibile che ‘narrazione’ si trasformi in ‘mistificazione’.
La storia della band, infatti, si snoda fra bizzarie cronologiche (non mi metto ad elencare il guazzabuglio che hanno fatto con date di uscita di album, eventi legati alle vite dei membri della band e quant’altro perché sennò la recensione la finisco tra cinque giorni), scelte faziose al limite della farneticazione (May e Taylor se ci siete battete un colpo) e semplici – quanto incomprensibili – imprecisioni.
Da questo punto di vista Bohemian Rhapsody è un film altamente schizofrenico: c’è l’attenzione maniacale al dettaglio, con i Dire Straits che risuonano nella roulotte dei Queen prima della loro esibizione al Live AID e i costumi e le inquadrature identici ai concerti storici; ma ci sono anche le stonature orribili, come i due lavori da solista di Mercury – Mr. Bad Guy e Barcelona – che, oltre a essere posizionati cronologicamente a caso, vengono presentati come un ‘rimpianto’ di Freddie: qualcosa da ripudiare pur di ritornare in seno al gruppo da lui sciolto (fatto mai avvenuto) per la brama di denaro (follia!).
Una falsità sanguinosa, dato che si sa che i due album lontano dai Queen erano considerati da Mercury un motivo di grande orgoglio personale. Specie il disco di duetti con il soprano ispanico Montserrat Caballé.
È altresì vero che, parlando di ‘ricostruzione’ storica, sono davvero coinvolgenti le scene che ci raccontano la genesi in studio di successi planetari come Bohemian Rhapsody, We Will Rock You o Another One Bites the Dust (sarei stato davvero curioso di assistere alla nascita di Under Pressure con David Bowie).
Qual è quindi il verdetto su il primo – e acclamatissimo biopic – sui Queen?
[Scena tanto emotivamente potente quanto effimera]
Bohemian Rhapsody è un inno atto a glorificare il mito della band londinese, a smuovere le emozioni del pubblico con modalità marcatamente “family friendly” (gli eccessi della band e tutte le vicende più hardcore sono state eliminate o edulcorate: salvo le musiche, non è per nulla un film “rock”) e che cerca di offrire qualche – scarno e rapidissimo – spunto di riflessione sull’accettazione della propria sessualità e sul fenomeno/dramma medico/sociale dell’AIDS negli anni ’80 (appena cestinato il kleenex - utilizzato durante la scena di Freddie che guarda le immagini dei primi malati alla TV sulle note di Who Wants to Live Forever – ci si è già dimenticati il perché della commozione).
In sintesi, a fare da contraltare a un buon comparto tecnico (a tratti ottimo), c’è un soggetto a dir poco fantasioso (per non dire fantasy), pieno di buonismo, omissioni e storpiature vere e proprie.
[Friends will be friends. Mica tanto...]
Sommando gli addendi si ha un risultato finale mediocre, dal sapore di marketing on the rocks (non credo sia stato il destino manifesto a far uscire il nuovo album da solista di May o a organizzare il revival “Rhapsody Tour” - che si terrà nel 2019 - proprio dopo il boom del film), di cui in futuro si ricorderanno solo le musiche immortali dei Queen e la performance eccezionale di Rami Malek, la cui carriera, adesso, è inevitabilmente e giustamente in ascesa.
Bohemian Rhapsody: tanto rumore per nulla.
10 commenti
Daniele Besana
5 anni fa
P.s.: perdona il ritardo di ben 27 giorni con cui rispondo...
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Adriano Meis
5 anni fa
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Jacopo Troise
5 anni fa
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Adriano Meis
5 anni fa
- Mi chiese quanto fosse grosso il mio c****
🤣
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Filippo Soccini
5 anni fa
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Adriano Meis
5 anni fa
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Adriano Meis
5 anni fa
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Adriano Meis
5 anni fa
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Adriano Meis
5 anni fa
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Adriano Meis
5 anni fa
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