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Tre euro e quaranta è un film sorprendente che merita di essere riportato all’attenzione per la straordinaria tenacia e la nobiltà che ne ha animato gli intenti.
Il regista e protagonista Antonino Giannotta e la sua troupe riescono a girare la pellicola in una sola settimana con un budget praticamente inesistente, armati di pazienza e di ingegno e reciprocamente stimolati dalla convivenza sostenuta durante le riprese.
Il prodotto si presentava coraggioso e anomalo già nei suoi primi passi.
[Il trailer di Tre euro e quaranta]
Una vita di fretta
L’idea di Tre euro e quaranta nasce dalla quotidianità di Antonino che, trovatosi con quella cifra sul conto corrente, coglie in quell’ironica circostanza il sunto di un disagio comune a un’intera generazione.
Il protagonista del film è infatti Nino, un aspirante pittore che si è trasferito a Milano per inseguire il suo sogno ed è ora aggravato dalle difficoltà di uno studente fuori sede; deve infatti trovarsi un lavoro, ma tutti i colloqui a cui si presenta deludono sistematicamente le sue aspettative.
Nella dimensione sentimentale Nino passa da un aperitivo conoscitivo all’altro, salvo rimanere puntualmente annoiato dalla monotonia che esprimono le ragazze con cui tenta di legare.
Il tutto è condito da un’atmosfera frenetica e corrosiva in cui sono l’ansia e lo stress i fedeli compagni delle sue giornate; l’ironia è l’unico elemento distensivo e nasce spontaneamente dalla contrapposizione tra la preoccupazione del protagonista e l’ordinarietà della sua routine, la quale non rende giustizia al peso che il ragazzo è costretto a sopportare.
Tre euro e quaranta è a tutti gli effetti una tragi-commedia, con l’elemento drammatico posto sullo sfondo in modo da rispecchiare l’affannato stato mentale di Nino.
La fretta infatti attiva i nostri meccanismi di economizzazione del cervello, concentrando l’attenzione sui problemi a breve termine in modo da poterli efficacemente affrontare. È una forma di concentrazione selettiva che, una volta isolato il bersaglio, restringe il pensiero e lascia il resto sfumato e inafferrabile.
Nei pochi momenti di sosta, al contrario, riaffiorano tutte le questioni accumulate su cui non si aveva tempo di ragionare, sovraccaricando la mente e costringendola nella migliore delle ipotesi a un lavoro accelerato e sommario, nella peggiore allo spegnimento.
I problemi lasciati da parte non si limitano presumibilmente a quelli di natura pratica, ma spesso includono anche questioni di più ampio respiro, come ad esempio la comprensione di sé o la cura verso il prossimo.
Tali problemi meriterebbero il nostro massimo impegno, eppure finiscono per disporre unicamente delle parti residuali della nostra staffetta giornaliera. È una società realmente progredita quella che permette di esercitare la riflessione solo nelle pause ai semafori?
Antonino Giannotta è perfettamente consapevole di questo paradosso e in Tre euro e quaranta lo mostra attraverso l’alternanza tra le scene di vita di Nino e le inquadrature a camera fissa riservate ai suoi dipinti.
Queste ultime pongono distanza dal quotidiano per entrare più a fondo nel pensiero di Nino e, tramite la sua arte, anche nell’emotività del protagonista.
È in una di queste scene che sentiamo il ragazzo parlare di quei “rarissimi momenti in cui smetti di pensare che stai esistendo e somigli a te stesso”, a significare il breve lasso di tempo in cui è concesso dimenticare le incombenze della sopravvivenza giornaliera per ritrovare un contatto autentico con la nostra intimità.
Per l’individuo descritto da Tre euro e quaranta si prospetta quindi una vita asservita all’inautentico rincorrersi di distrazioni vitali.
[Uno degli artwork di Tre euro e quaranta]
Milano è la metafora dell’amore
La condizione psicologica di cui si è detto fin qui è imposta, come il titolo della pellicola anticipa chiaramente, dalla condizione materiale in cui versa una gran parte della popolazione: la tematica è quella della precarietà, sulla quale Antonino si ripropone, budget permettendo, di produrre una trilogia che vedrebbe Tre euro e quaranta come incipit.
Milano è la città perfetta per mostrare i problemi dell’incertezza sociale: pensata sovente come trampolino di lancio verso un futuro radioso, si rivela invece a volte la pietra tombale dell’ambizione.
Migliaia di ragazzi stipati in monolocali scadenti e costosi, lavori sottopagati e prezzi che fuggono di gran carriera dagli stipendi fermi ai blocchi di partenza non sono certamente gli elementi ideali per immaginare un efficace meccanismo di mobilità sociale. Per giunta Nino è un artista e questo non semplifica certo le cose.
Milano vive nell’ambivalenza di modernità e disagio, in uno spaesante intreccio di vite e opportunità che nascondono nella loro instancabile metamorfosi il permanere di patologie sociali radicate e debilitanti.
I Baustelle rivedono in questa contradditorietà il liquefarsi dei rapporti individuali con l’esterno, indicando ironicamente Milano come la metafora di un amore inconsistente e frastornante.
La metropoli lombarda, come sembra ricorrenza nelle grandi città, sembra spingere la sporcizia sotto il letto, utilizzando la sua dinamicità per dissimularne il reale impatto.
Nonostante questo sottotesto Tre euro e quaranta mantiene sempre un tono spiritoso, aiutato anche dalla comparsa di Letizia, che sembra essere l’unico personaggio sulla stessa linea d’onda del nostro pittore fuori sede. È con lei che Nino vedrà un vero spiraglio di luce e deciderà quindi di aprire il suo animo, fino a quel momento riservato al dialogo tra sé e il pubblico, a qualcuno di esterno e capace di comprenderlo.
La passeggiata che i due condividono lungo il Naviglio è la scena a mio giudizio maggiormente pregna di significato e toccante di Tre euro e quaranta.
Nino e Letizia scattano fotografie, ridono, scherzano, si confessano paure e aspirazioni: l’affannosa corsa sembra concedere a entrambi un attimo di pace.
Ma c’è di più.
Le polaroid con cui i ragazzi immortalano quel momento speciale sono il calco di alcune foto di personaggi illustri che animarono il fervore intellettuale milanese del secolo scorso.
In particolare le istantanee ritraevano Alda Merini, Enzo Jannacci e Giorgio Gaber: da questo momento la prospettiva si amplia, proponendo al pubblico uno spunto per una riflessione storica.
[Antonino Giannotta sul set di Tre euro e quaranta]
Il progresso nel pensiero di Giorgio Gaber
In questo quadro la frenesia risulta essere l’elemento caratterizzante della nostra epoca, la quale mostra nel grande le dinamiche che Nino vive nel piccolo.
In altre parole, da un lato osserviamo un individuo sempre in corsa alla ricerca di un’improbabile stabilità e della performance perfetta, dall’altro un corpo sociale irreversibilmente proiettato verso un progresso privo di destinazione. L’era post-moderna sembra assistere più a una velocizzazione della Storia che a una sua fine.
L’uomo contemporaneo è il comune denominatore di entrambe le dimensioni: distratto, impossibilitato o incapace di ordinata ponderazione.
A questo proposito credo che il riferimento a Gaber all’interno di Tre euro e quaranta sia tutt’altro che causale.
Il cantautore ha infatti speso diverse strofe per indagare questi processi, notando come questa corsa sfrenata impedisca all’uomo di accedere alla sua natura più profonda.
L’impossibilità di riconnettersi con l’autentica essenza umana, ossia in sintesi il pensiero, causa nell’individuo postmoderno la sensazione riassunta da Gaber nel titolo di un suo celebre brano: Il tutto è falso.
La percezione della mancanza di un ponte tra l’esperienza quotidiana e la riflessione su di sé e il mondo conduce, per dirla con Karl Marx, a una forma di alienazione, in cui non è ben chiaro lo scopo di tanta irrequieta fatica e in cui si percepisce la realtà in maniera non troppo diversa da un ipnotico scrolling sui social network.
Il signor G esplica il concetto in maniera ancora più chiara nel brano Verso il terzo millennio in cui lo sentiamo cantare: “E sento che hai ragione se mi vieni a dire che l’uomo sta correndo e con i progressi della scienza ha già stravolto il mondo, ma non sa capire cosa c’è di vero, nell’arco di una vita, tra la culla e il cimitero.”
Ciò che emerge nel parallelismo con questo cantautore immortale è una profonda angoscia sociale che trova nell’espressione artistica di ieri e di oggi il veicolo privilegiato per esprimersi.
[Antonino Giannotta dopo la prima proiezione di Tre euro e quaranta al cinema Beltrade di Milano]
Conclusone: tra disillusione e speranza
La conclusione di Tre euro e quaranta, come ha avuto modo di spiegare lo stesso Giannotta, è un lieto fine amaro.
Nonostante il protagonista arrivi a tutti gli obiettivi che si era prefissato, vedendo appendere per una casualità il proprio quadro fuori dalle mura di casa e concludendo con l’assunzione l’ultimo colloquio di lavoro, i traguardi raggiunti hanno più il sapore di una temporanea boccata d’aria che di un successo duraturo e appagante.
È questa sproporzione tra lo sforzo sostenuto e il risultato a caratterizzare la precarietà, una situazione in cui si ha la sensazione che una singola distrazione possa portare alla catastrofe, mentre il massimo impegno non è sufficiente a sottrarsi all’instabilità. Se le problematiche di Nino non sembrano lasciare vie di fuga, le sue riflessioni condivise con Letizia propongono altresì un punto di partenza per affrontare le disfunzionalità delle società odierne.
Interrogato dalla ragazza riguardo le sue ispirazioni, Nino non fa riferimento al progetto di pittore né tantomeno al colloquio di lavoro che lo attende l’indomani.
La sua risposta, come non mancherà di far notare Letizia, si pone apparentemente su un maggior grado di astrattezza: Nino vuole “fare l’attenzione”, intesa nel duplice significato di interesse e di cura.
Ha dunque l’aspirazione da un lato di dirigere l’attenzione di coloro con cui entra in contatto verso quei temi su cui l’incessabile stress non lascia il tempo di riflettere e, dall’altro, di far proprie queste riflessioni per beneficare il prossimo.
Antonino coglie ancora nel segno i punti focali della civiltà del tempo reale, ricordando al pubblico l’importanza di orientare con giudizio il proprio sguardo, soprattutto in un ecosistema mediale che fa della concorrenza per l’attenzione la dinamica centrale dell’informazione e della politica.
Per evitare di essere abbagliati dallo sfavillio delle pubblicità affisse sui grattacieli o di essere storditi dal torrente di input che scorrono inesorabili sul nostro smartphone, dimenticando chi in questo flusso fa fatica a respirare, Tre euro e quaranta invita lo spettatore a esercitare una sufficiente profondità di pensiero.
Il miglioramento richiede lo sforzo collettivo di cambiare prospettiva e di impegnarsi con tutte le proprie forze per trattenere a sé qualcosa in questo via vai impazzito di persone e informazioni.
Concentrarsi per essere presenti, anche nell’avvicendarsi senza sosta di stimoli e preoccupazioni, è l’unico modo per prendersi cura degli altri al pari di se stessi ed è dunque la capacità ad un ascolto attento che può ridare voce agli ultimi.
Perché se è vero che il nostro protagonista fa gli straordinari per permettersi un po' di pace, c’è chi al di sotto di lui la pace ha smesso da tempo di sperarla.
Questo è quello che ci lascia in poco più di 60 minuti Tre euro e quaranta di Antonino Giannotta.
La profonda sincerità umana che trasuda dal film pone quasi in secondo piano la duttilità tecnica messa in campo per realizzarlo, confermando che un Cinema “fatto dal basso” è ancora possibile ed estremamente fecondo.
Un’impresa tempistica di tale portata non poteva che trovare sostegno, fermo restando le capacità degli addetti ai lavori, in un rifiuto per l’ingiustizia e un desiderio di cambiamento, tutti elementi fondamentali per il temperamento di un grande artista.
L’obiettivo annunciato di Giannotta era farci divertire e farci arrabbiare ma, oltre a questo, è riuscito anche a stimolare la speranza.
Tre euro e quaranta sarà disponibiledal 24 gennaio attraverso gli account Instagram e Tiktok di Antonino, tramite una donazione simbolica minima di tre euro e quaranta, segnando così il primo grande traguardo di un content creator che fa della simpatia e dell'autenticità le chiavi di volta del suo progetto.
Per tutti gli appassionati della Settima Arte, un'ascesa preannunciata su cui porre estrema attenzione.
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