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Mommy uscì nelle sale italiane il 4 dicembre 2014: alla sua uscita fu per me un bel colpo di fulmine e dopo dieci anni rimane ancora a mio avviso uno dei film più compiuti e densi del regista canadese Xavier Dolan.
Mommy racconta la storia di Diane, madre single incapace di gestire la propria vita, e di suo figlio Steve, adolescente problematico, che giunge a un equilibrio quando nella loro quotidianità arriva Kyle, una vicina di casa balbuziente e infelice.
Con questo plot Dolan scarica tutto ciò che ne aveva marcato la carriera fino ad allora: amori immaginari, l’affermazione della propria identità in Laurence Anyways, la violenza insita dentro di noi di Tom à la ferme e rende il tutto ancora più estremamente significante.
[Il trailer di Mommy]
Mommy si concentra sul conflitto tra razionale e immaginazione, controllo ed emancipazione, freno e sfogo anche a livello metalinguistico, con il formato dell’immagine in continuo movimento.
La claustrofobia del 4:3 si alterna alle “aperture” in 16:9, nei momenti in cui tutti i personaggi si sentono “meglio” e più liberi dalla loro condizione di reietti.
Tutto ciò è bellissimo per lo spettatore che è disposto a farsi ancora emozionare dalla potenza del Cinema: qui Xavier Dolan si mostra schiettamente con il suo amore per le potenzialità della Settima Arte e lo dona affettuosamente con ralenti, musiche e un montaggio che hanno fatto diventare Mommy un cult zeppo di scene memorabili.
[I tre protagonisti di Mommy: Anna Dorval, Antoine Oliver Pilon e Suzanne Clément]
Una storia d’amore con tre interpreti generosi - Anna Dorval, Antoine Olivier Pilon e Suzanne Clément - che impersonificano le tante difficoltà di un rapporto tra persone che si vogliono bene e fanno esplodere ogni cosa con la genuinità delle emozioni.
Pianti, urla, scatti d’ira, affetto sono le pulsioni che ci rendono umani e proprio di umanità parla il Cinema di Dolan, figlio di Pedro Almodóvar, François Truffaut e Douglas Sirk ma allo stesso tempo unico nel suo genere.
Se nei suoi primi tre film il suo stile dimostrava manifestazioni incontrollate di un talento straordinario ma (forse) ancora acerbo, in Tom à la ferme era arrivata la consapevolezza di essere un autore e tutto appariva già più contenuto.
In Mommy ritornano le sperimentazioni e le “esagerazioni” formali, ma non come passo indietro, anzi: Dolan qui dimostra ancora una volta che per raccontare con passione allora il rigore e l’uniformità non possono essere i termini da utilizzare.
[Mommy: Steve e Kyle "studiano" insieme]
In Mommy Dolan ammette una sconfitta plateale: se prima aveva cercato metaforicamente di uccidere una madre, qui la madre uccide un figlio non sapendone gestire la folle voglia di libertà.
Un po’ come il Cinema stesso, soprattutto in seguito, ha ucciso il regista indirizzandolo verso scelte più commerciali e quasi scontate.
Se però si guarda quello che a oggi è il suo ultimo magnifico film, Matthias & Maxime, si capisce che l'autore canadese ha scelto di non essere più assoggettato, è tornato a “essere” Steve perché ha ancora bisogno di essere ascoltato.
Per quanto possa risultare per qualcuno ancora irritante e “paraculo” Mommy è un film fondamentale per capire il suo autore.
Vitale, violento, irrequieto, con un finale miseramente magnifico in cui ogni speranza è abbandonata, eppure compresa.
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