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Berlinguer - La grande ambizione - Recensione: la superficie del discorso

Il film di Andrea Segre su Enrico Berlinguer impersonato da Elio Germano è un ritratto intimo dell'uomo e del politico che intreccia finzione scenica e materiale d'archivio, lasciando tuttavia allo spettatore poco spazio e pochi spunti per nuove e inedite riflessioni, soprattutto in riferimento all'attualità

Berlinguer - La grande ambizione è il nuovo film di Andrea Segre con Elio Germano, presentato alla Festa del Cinema di Roma e recensito in occasione della première dal nostro inviato al festival Valentino Ciotoli. 

 

Dopo Welcome Venice il regista si dedica al ritratto di Enrico Berlinguer cercando di inquadrare la sua personalità umana e politica, durante il percorso di strategie del compromesso storico, in una finestra di tempo che va dal golpe in Cile del 1973 all’omicidio di Aldo Moro nel 1978.

 

Berlinguer è così raccontato tra politica e quotidianità, esplorato nel pubblico - con i confronti con gli operai, i comizi in campagna elettorale e il congresso a Mosca - nel privato politico con le riunioni con il PCI, la preparazione dei discorsi e la costante e silenziosa riflessione e anche nel familiare, mostrando i pasti, il confronto con i figli e la moglie, la ginnastica, i bicchieri di latte. 

 

[Il trailer di Berlinguer - La grande ambizione]

 

Sostenuto da un accurato lavoro di archivio in fase di pre-produzione Segre dà enorme importanza alla parola e alla forma del discorso. 

 

Le lezioni del grande oratore Berlinguer sono riproposte fedelmente e pronunciate con passione da Elio Germano, la cui ottima interpretazione regala al film momenti di grande commozione.

L’attore lavora come al solito in modo eccelso con il corpo e la voce: la postura incurvata, solo apparentemente remissiva, lo sguardo intenso segno di una testa che non è in grado di fermare alcun pensiero, ma anche l’enunciazione solenne e quel modo, proprio a Enrico Berlinguer, di scandire le parti del discorso arricchendole di una sorprendente emotività. 

Attraverso la prova di Germano si percepisce in modo unico la pluralità dei sentimenti che animavano il politico, come la preoccupazione nei confronti della violenza dilagante, il senso di responsabilità sociale o la paura di un agguato improvviso. 

 

Va da sé che l'attore sarebbe stato a priori il miglior candidato per un ruolo di questo tipo per la sua ormai consolidata esperienza nel film biografico, ma soprattutto per il modo in cui da sempre egli comunica se stesso a livello filmico e mediatico, cioè come interprete politicamente impegnato e generalmente schivo che rifiuta la mediatizzazione e sostiene e protegge i valori della democrazia.

 

 

[Per la sua interpretazione in Berlinguer - La grande ambizione Elio Germano ha vinto il Premio Vittorio Gassman come Migliore Attore alla Festa del Cinema di Roma]

 

Andrea Segre non si ferma al livello testuale, ma costruisce le immagini attraverso alcune interessanti idee di regia e un montaggio solido, bilanciato e in perfetta armonia con la colonna sonora.

 

Il film appare perciò dotato di un ottimo ritmo e scorre con scioltezza tra la finzione scenica e i materiali dell’epoca, risultando a volte anche curiosamente avvincente.

Creare il ritratto di un politico è un’impresa assai complessa e per provare a compiere un lavoro più meticoloso possibile due ore non sono certamente sufficienti.

Forse non lo sarebbero nemmeno quattro. 

 

Tuttavia in Berlinguer - La grande ambizione le immagini del passato non sembrano bastare a rappresentare sullo schermo la complessità sociale di quegli anni; pare piuttosto che esse si inseriscano all’interno della finzione scenica come mera proiezione nostalgica di un tempo che non c’è più.

 

Il film di Andrea Segre fa, a mio avviso, l’errore di marginalizzare il peso della sinistra extraparlamentare nell’Italia degli anni '70 che invece sarebbe un approfondimento estremamente coerente con il racconto di Enrico Berlinguer, uomo e politico; il giudizio di quest’ultimo nei confronti di quel mondo fuori dal PCI e il dibattito politico intorno a questa grande e spaventosa forza sono nodi fondamentali per comprendere non solo la società di allora, ma anche la figura stessa di Berlinguer.

Quella sinistra diffusa di piazze, fabbriche, rivolte e violenza così eccezionale e variegata, innovativa e multiforme, è soltanto accennata all’interno di Berlinguer - La grande ambizione.

 

Citando in modo sbrigativo alcuni degli atti delle Brigate Rosse o dei nuclei armati di estrema destra, Segre riduce la violenza dell’epoca, nella sua narrazione delle vicende, a gruppi localizzati e momenti isolati di grande e sconvolgente impatto.

Sembra invece lasciare da parte la rabbia sociale e la conseguente diffusione di una crudeltà lungo tutto lo strato sociale italiano degli anni di piombo.

 

Non si respira nel film l’affermarsi di una convinzione ben precisa e influenzata a sua volta dai fenomeni internazionali che accomuna in quegli anni tutta la sinistra extraparlamentare: la violenza come strumento di riappropriazione.

 

Nella prefazione al libro "I dannati della terra" di Frantz Fanon in merito all’anticolonialismo Jean-Paul Sartre sosteneva che "La violenza irrefrenabile della lotta di liberazione non è un’assurda tempesta né il risorgere di istinti selvaggi e nemmeno effetto del risentimento: è l’uomo stesso che si ricompone".

 

Il film di Segre non si propone di analizzare i complessi fenomeni del terrorismo in Italia, ma sarebbe certamente apparsa interessante la proposta di una riflessione in questo senso, anche in relazione alla figura di Enrico Berlinguer. 

 

[Il discorso originale di Enrico Berlinguer al XXV Congresso del PCUS a Mosca nel marzo 1976]

 

 

Enrico Berlinguer è il simbolo di un comunismo possibile, unico nel suo genere, ma è anche uno dei mille volti della sinistra italiana di quegli anni e perciò il film, lasciando in secondo piano questo fondamentale blocco ideologico, rinuncia anche a mettere in luce il malcontento più rigido nei confronti del compromesso storico e il rifiuto netto, sempre a sinistra, della sua originale e legittima via democratica. 

 

Il distacco del politico, padrone di una grande ambizione appunto e non di una sciocca utopia, dalla sinistra extraparlamentare e la distanza ideologica tra il PCI e quell’universo così paradossalmente anti-politico sono elementi a mio avviso da sottolineare se si vuole raccontare la storia e le strategie del compromesso storico fino al suo fallimento.

Berlinguer è di fatto l’ultimo volto del comunismo in Italia e il suo funerale ha simbolicamente rappresentato la fine di un’ideologia. 

 

La difficoltà nell’inquadrare in senso storico, politico e sociale i fatti tra gli anni '70 e gli anni '80, nonché le numerose figure di riferimento del PCI e della sinistra italiana del tempo e la banalizzazione del dibattito politico tra i componenti del partito - qui ridotto per esigenze sicuramente di sceneggiatura a qualche incontro di riflessione e rapido aggiornamento - hanno come inevitabile conseguenza, in termini di narrazione, l’isolamento del politico Berlinguer rispetto al contesto.

 

Questo anche a causa della rappresentazione sommaria di altre personalità fondamentali, una su tutte quella di Aldo Moro. 

 

Su Giulio Andreotti inoltre si incappa, a mio parere, in una ormai noiosa consuetudine: quella di disegnare il politico come un buffo stratega. 

Il ritratto di quest’uomo-macchietta che colleziona bustine di zucchero e che, seduto su una poltrona di pelle durante un incontro istituzionale privato, si trova a saltare di palo in frasca nell’articolazione di un dialogo, determinano la rappresentazione sullo schermo di un uomo che alla fine risulta viscido solo nella sua apparente incoscienza e stravaganza. 

Si rischia così di tradire la Storia, la memoria e la realtà dei fatti, ammorbidendo i tratti di un politico che forse non sarebbero così tanto da ammorbidire.

 

Penso dunque che il problema principale di Berlinguer - La grande ambizione è che, pur non volendo, esso finisce per farsi agiografia, risultando in sostanza una appassionata celebrazione del mito.

Una celebrazione che nei confronti di Berlinguer è da parte mia pure condivisibile, non solo per l’operato del politico ma soprattutto per le sue rivoluzionarie idee ancora colme di sentimento e di coscienza morale. 

Il rischio però è che, arrivati alla fine del film, si abbia di Enrico Berlinguer solo la certezza, parafrasando Giorgio Gaber, che egli fosse semplicemente "una brava persona".

 

La mancanza che mi sento dunque di segnalare, accogliendo comunque con entusiasmo gli intenti del film, non è una sorta di presa di posizione (che invece il film prende sposando in pieno l’idea del compromesso storico) quanto l’apertura di uno spazio di riflessione più ampio sulle questioni politiche, sociali ed economiche del tempo che non sono abbandonate al passato, ma risultano ogni decennio più attuali che mai. 

 

["Qualcuno era comunista" di Giorgio Gaber]

 

 

In diverse interviste Segre e Germano hanno dichiarato che Berlinguer - La grande ambizione auspica a creare un dibattito che sia più che altro attuale, cioè che il film possa essere anzitutto occasione di riflessione sull’ideologia e la democrazia partendo dagli illuminanti e magnetici discorsi di Berlinguer per comprendere ancora meglio il presente che viviamo. 

 

Purtroppo, la percezione è che Berlinguer - La grande ambizione non riesca pienamente a raggiungere lo scopo.

D’altronde anche quella del film era una grande ambizione: trasformare in Cinema la Storia fatta di archivi (tra i pieni e i vuoti), fotografie e riprese è sempre un’operazione ardua. 

Il film di Andrea Segre ha perciò evidenti limiti, anche se non tutti completamente imputabili al regista stesso. 

Berlinguer - La grande ambizione ha in fondo una sua dignità e soprattutto si offre come coraggiosa operazione, considerando in particolar modo le numerose insidie generalmente nascoste in simili progetti. 

 

Ciò che manca è il coraggio di abbandonare la superficie del discorso, generando nuove traiettorie di pensiero e proponendo, anche tramite uno stile registico più personale, dei punti di vista insoliti e inattesi. 

 

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