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Steven Spielberg: uno dei più grandi raccontastorie di sempre

Ritratto di un Movie Brat 

Prima dell'avvento dei social network avevo sempre pensato che Steven Spielberg fosse uno di quei registi talmente amati dalla massa, da risultare quasi intoccabili.

 

Non importava il rumore dei passi falsi che poteva aver compiuto negli ultimi quindici anni, perché tutti gli sarebbero stati comunque grati per la miriade di classici che la sua mente aveva partorito nei tre decenni precedenti.

 

In alcuni casi si parla proprio di film che hanno formato l’infanzia e l’adolescenza di generazioni intere: da E.T. - L'extraterrestre a Jurassic Park, da Hook - Capitan Uncino alla saga di Indiana Jones.

 

Ma frequentando pagine e gruppi di Cinema, più o meno numerosi, mi sono accorto come fossi assolutamente lontano dalla verità.

 

Non solo Spielberg non è un regista così amato come pensavo, ma si nota proprio come sia in costante aumento il numero dei suoi detrattori; che alcuni lo siano per propria convinzione (non si può piacere a tutti, direte voi) e altri per una sorta di puzza sotto il naso da cinefilo radical chic (è un’espressione che va molto di moda ultimamente), che li spinge a escluderlo costantemente dall’elenco dei migliori registi viventi e della Storia, questo ha poca importanza. 

 

 

 

 

Non sono qui per sindacare le ragioni di ognuno.

 

Quello che invece vorrei fare è impostare questo articolo come se fosse un processo simulato, nel quale mi auto-attribuisco il ruolo di avvocato difensore del regista di Cincinnati.

 

Frullandomi in testa da un po’ di tempo questa idea, quello che ho fatto è stato di segnarmi su un pezzo di carta i principali “attacchi” ricevuti in rete dal regista nel corso del tempo; molti ovviamente si assomigliano, ma io ho cercato di raccoglierne sei in totale.

 

Sapete come funziona sul web, no?

Tutto avviene alla velocità della luce.

 

Uno si mette a criticare un certo film, facciamo caso La Guerra dei Mondi, e poi si finisce immediatamente per allargare la critica alla filmografia intera, per non dire a un certo tipo di stile, denigrando in toto il lavoro di una vita.

Come se tutto quello che di buono era stato fatto fosse di colpo dimenticato.

 

Ma non sono qui per fare una crociata contro l’utenza media perché lo scopo dell’articolo è un altro, quindi passiamo al dunque.

 

Scriverò, uno per volta, sei commenti polemici sul conto di Steven Spielberg nei quali mi sono imbattuto recentemente; sotto a ognuno di essi cercherò di rispondere nel modo più esauriente e convincente possibile, cercando di rispedire l’accusa al mittente e anticipando nei contenuti eventuali contro-risposte.

 

Una sorta di botta e risposta immaginario, insomma.

Credo che questo possa anche essere un modo alternativo per realizzare il ritratto di un uomo che ha dedicato la propria vita alla Settima Arte e, più in generale, di riconoscere quindi il merito a chi ne ha diritto; che si tratti di un regista, di un attore o di un musicista.

 

Parola all’accusa, via. 

 

 

 

 

Accusa 

“Steven Spielberg ha sempre realizzato film fatti apposta per vincere gli Oscar: è un prediletto dell’Academy.”

 

Difesa

Tanto per cominciare: se anche fosse un prediletto dell’Academy che problema ci sarebbe?

 

L’Academy, come dice la parola stessa, è un’organizzazione cinematografica composta da circa 9000 addetti ai lavori; quando parlo di addetti ai lavori, mi riferisco a tutte (o quasi) le categorie che lavorano e occupano un posto nel mondo del cinema: registi, produttori, attori, sceneggiatori, costumisti, scenografi, ecc.

Compreso Spielberg. 

 

Non esistono complotti o favoritismi, il discorso è molto più semplice: Steven Spielberg è uno che ha lavorato con tantissime persone dentro l’ambiente hollywoodiano, stringendo amicizie, guadagnandosi il rispetto di colleghi più anziani, assurgendo a modello per i cineasti più giovani; il fatto quindi che venga apprezzato così tanto (come sostiene l’accusa) perché dovrebbe costituire qualcosa di male?

 

È come il caso di un docente accademico che, apprezzato dai suoi studenti, venga pubblicamente elogiato anche al di fuori delle mura universitarie, su Internet o al ristorante, senza che questo debba per forza implicare la presenza del marcio; cose normalissime, insomma.

 

L’italiano è sempre portato a essere sospettoso di tutto e a vedere cospirazioni ovunque; rilassatevi, può benissimo capitare che degli onori vengano riconosciuti a una persona semplicemente perché questa se li meriti.

E affermare comunque che “Regista X” oppure “Attore X” sia un prediletto dell’Academy non significa nulla.

 

Ma al di là di tutto, mi chiedo e vi chiedo: siete così sicuri che Spielberg sia amato dall’Academy? 

Indovinate la mia risposta: no.

 

Steven Spielberg non è amato dall’Academy, e sì: avete letto bene.

 

Partiamo dal numero totale di statuette conquistate, cioè quattro; non sono poche, direte voi.

Bene, analizziamole più da vicino.

 

Dei quattro Oscar conquistati solo due sono quelli appartenenti alla categoria Miglior Regia; è indubbio che sia questo il premio più ambito per uno che fa questo tipo di mestiere, che si chiami Steven Spielberg, Martin Scorsese o Victor Fleming, anche perché è il vero premio personale che riconosce, in primis, il lavoro svolto dietro la macchina da presa.

 

I film per i quali fu premiato sono Schindler’s List e Salvate il soldato Ryan, nelle edizioni 1994 e 1999 rispettivamente; per il primo titolo ricevette anche l’Oscar per il Miglior Film, nelle vesti di produttore. 

 

Il quarto e restante Oscar fu il Premio alla Memoria Irving G. Thalberg (paradossalmente ricevuto prima degli altri tre, nel 1987), istituito alla fine degli anni ’30 con lo scopo di premiare i produttori più creativi del panorama continentale.

 

Concentriamoci comunque sulle due statuette che davvero interessano il cuore di Spielberg nello specifico, cioè quelle di Miglior Regia. 

 

Prendendo in mano qualche statistica, cosa vi fa sostenere (e qui arrivo al punto cruciale) che sulla base di questi due riconoscimenti (sacrosanti, tra l’altro, visto il livello e l’importanza dei due titoli sopracitati), egli risulti più prediletto di William Wyler, Ang Lee, Oliver Stone, Joseph Mankiewicz, Billy Wilder, Elia Kazan, Alejandro Gonzáles Inárritu, Clint Eastwood, David Lean, Frank Borzage, Frank Capra, George Stevens, Frank Lloyd, John Ford, Leo McCarey, Lewis Milestone, Milos Forman, Robert Wise, Alfonso Cuarón e Fred Zinnemann?

 

Cos’hanno in comune questi registi che ho citato?

Semplice: hanno tutti vinto almeno 2 Oscar per la Miglior Regia.

 

Per l'esattezza, tra questi venti nomi, dieci sono stati insigniti di due statuette ciascuno e i restanti di tre o addirittura quattro.

 

Steven Spielberg fa parte del primo gruppo.

 

Eppure non sento mai dire nulla sul conto degli altri, nessuno si è mai permesso di puntare il dito contro Ang Lee (giustamente, non sto sindacando su questo) apostrofandolo come 'prediletto dell’Academy'; eppure ha ricevuto in totale 4 statuette, esattamente come Spielberg, di cui due per la Miglior Regia, esattamente come Spielberg.

 

Qual è la differenza?

I dati parlano chiaro.

 

Perché ritenete che i premi di Lee siano meritati e quelli di Spielberg no?

Su quale base?

 

Chiariamoci: Vita di Pi è un bellissimo film e Lee è un grande regista, ma allora perché il medesimo discorso non viene fatto per Schindler’s List?

 

Attenzione: qui non si sta facendo un confronto tra registi, né tantomeno una gara tra film, non è questo l’oggetto del topic.

Sto semplicemente rispondendo all’accusa (nemmeno così gravosa) dell’essere un pupillo, un sorvegliato speciale dell’Academy.

 

Cosa assolutamente falsa.

 

Credo che la trappola in cui molti cadano e siano caduti è che il realizzare film dall’indubbio sapore patriottico e dall’aspetto rassicurante basti a costituire un buon motivo per essere notati e premiati dai giurati Academy.

Come vi ho appena dimostrato, però, non è così; capite bene la debolezza di questa vostra accusa, dunque.

 

Passiamo ora al numero di nomination totali: 17.

Tantissime.

 

Capite bene che, in proporzione, le due uniche vittorie come regista sembrino più frutto di una sorta di dovere di riconoscimento piuttosto che di una reale predilezione particolare che l’Academy nutrirebbe nei suoi confronti, come voi invece sostenete.

Anche qui facciamo qualche confronto: Alejandro G. Iñárritu ha dalla sua due vittorie nella categoria di Miglior Regia (per Birdman e Revenant - Redivivo), su un totale di tre nomination in carriera (l’unica andata a vuota è quella per Babel); quasi un en plein.

 

Stesso discorso per John Ford (quattro vittorie come miglior regista su un totale di cinque candidature), o per il duo Oliver Stone / Miloš Forman, entrambi premiati con due Oscar per la Miglior Regia, su un totale di tre candidature in carriera a testa.

 

Alla luce di questo discorso avrebbe quindi molto più senso affermare che Iñárritu sia molto più amato dall’Academy rispetto a Spielberg.

 

Eppure, l’etichetta di “favorito per eccellenza” pare gli sia rimasta cucita addosso, quasi come per moda.

 

 

 

 

Accusa 

“Steven Spielberg non è un regista, ma un imprenditore.

Se non fosse così legato ai soldi, sarebbe immenso.”

 

Difesa

Questa è forse l’accusa che meno sono riuscito a comprendere sul serio.

 

Fatemi capire: esiste forse un regista che spera che il suo film vada male al cinema?

Non parlo di indifferenza, ma parlo proprio dello sperare che una propria opera faccia flop. 

Nessun cineasta spera che il proprio film sia un fiasco al botteghino, nemmeno il migliore della storia. 

 

Da che mondo e mondo l’arte ha sempre mosso il mercato, generato profitti e arricchito le persone.

E con questo? 

 

L’unico fattore che agli occhi di un cinefilo dovrebbe determinare l’apprezzamento di una pellicola è il suo valore intrinseco o il modo con il quale la sensibilità di ognuno lo percepisce; di certo non i risultati al botteghino nel weekend.

 

L'idea che troppi soldi guadagnati siano sbagliati è ormai troppo vecchia per poterla prendere sul serio, considerando il sistema sociale ed economico in cui viviamo. Uno si può naturalmente stizzire nel vedere che il mondo sia pieno di individui senza arte né parte che guadagnano abbastanza soldi da poterne buttare al vento, con lavori e/o attività che suscitino poca ammirazione; va bene, quello può essere comprensibile, ma in ogni caso è un problema che sorge agli occhi di chi guarda, il più delle volte, di un pubblico invidioso.

 

Se una persona, fuori o dentro il mondo del Cinema, trova un modo per fare tanti soldi nella vita, senza infrangere le regole e senza mancare di rispetto agli altri, perché condannarlo?

In ogni caso qui stiamo parlando di un grande uomo di Cinema, quindi a priori quella del guadagno facile e ricercato mi sembra una debole argomentazione.

 

In più di un’occasione, poi, Steven Spielberg ebbe a dichiarare come avesse deciso di intraprendere la strada del Cinema semplicemente perché non ne aveva scelta, in quanto sua grande passione; è ciò che accomuna la storia di tantissimi registi, quasi tutti in pratica: la vocazione, ancora prima della possibilità di un business. 

Potreste allora pensare che il fatto di voler guadagnare influenzi la performance dell’artista e lo possa portare ad allontanarsi dalla sua coerenza artistica, per avvicinarsi magari maggiormente alla massa in nome del dio denaro.

 

Anche fosse così penso che ognuno sia libero di vivere la vita a proprio modo, sempre nel rispetto reciproco.

Il fatto che Spielberg si sia arricchito finanziando da produttore la saga di Transformers non costituisce mancanza di rispetto nei nostri confronti.

Anzi, dal suo punto di vista, perché non avrebbe dovuto farlo? 

 

Ricco, famoso e in pensione, Steven Spielberg ha investito dei soldi di tasca propria in una saga che pensava potesse farlo guadagnare.

Io lo considero un normalissimo investimento di mercato, come ne avvengono a migliaia tutti i giorni e in ogni parte del mondo.

 

Non apprezzi quel film e non vuoi dargli i tuoi soldi? Bene, non pagare il biglietto, allora. 

Non ti piace quel cantante?

Bene, non pagare allora il biglietto del suo concerto.

E così via, con tanti altri esempi. 

 

Che poi, diciamolo, detta così sembra davvero che lo scopo di Steven Spielberg fosse stato solo quello in tutta la sua vita, quando invece è innegabile rintracciare una sorta di linea autoriale almeno all’inizio della sua carriera, che prescindesse dal desiderio di sfondare al box office mondiale.

 

Sono certo che titoli quali Duel o Incontri ravvicinati del terzo tipo siano stati realizzati con il cuore, senza il pensiero martellante di un guadagno immediato.

Ma ripeto, anche fosse così, non vedo il problema.

 

Esiste davvero qualcuno infastidito nel vedere Jurassic Park (uno dei suoi più grandi successi commerciali) superare il miliardo di dollari di incassi globali?

 

Il fatto che Leonardo da Vinci guadagnò tanto denaro per le sue incredibili opere artistiche rende queste ultime forse meno meritevoli di lode agli occhi di appassionati e critici d’arte?

 

Direi di no.

 

 

 

 

Accusa

“Non mi piace perché è troppo commerciale e la massa lo eleva a Dio del Cinema.”

 

Difesa

Uno dei motivi che mi ha spinto a scrivere questo articolo è proprio quello di aver letto in giro tanti commenti sprezzanti, non certo esaltanti. 

 

Ma anche dando per assodato che sia un regista elevato a dio dalla massa ("massa" che in ogni caso vuol dire tutto e nulla) è innegabile che oggigiorno siano altri i registi che vanno per la maggiore presso il pubblico dei social network, soprattutto tra i più giovani: da Quentin Tarantino a Christopher Nolan, passando per Wes Anderson e David Fincher.

 

Se ci si riferisce invece alla capacità che ha avuto il regista proprio nel corso degli anni di acquisire un proprio pubblico di affezionati, direi che questo è più un merito che una colpa.

 

Molti dei suoi titoli hanno formato l’infanzia di diverse generazioni, di cinefili e non, soprattutto in un momento, come già specificato prima, in cui il Cinema hollywoodiano stava perdendo la sua identità autoriale, a causa del ritorno in auge del potere delle major a inizio anni ’80.

 

Pochi riuscirono ad adattarsi al meglio alla nuova politica come Steven Spielberg, senza però perdere la propria coerenza artistica.

 

Per apprezzare un regista avete davvero bisogno di sapere quanto è ampio il bacino di utenza che lo celebra?

La verità è che un vero cinefilo se ne sbatte allegramente di questo discorso.

Nessuno ha mai sostenuto che Steven Spielberg sia un dio o il regista perfetto.

 

Lo scopo di questo discorso non è quello di farvi dire “Ok: Steven Spielberg diventa il mio regista preferito”, ma semplicemente quello di concedergli ciò che gli spetta e che si merita.

È tra i miei registi preferiti? No. 

Ho specificato per caso che lo considero tra i dieci migliori registi della Storia?

Nemmeno.

 

Non sono e non voglio passare per fanatico, che esalta a priori un regista solo perché lo apprezza.

Quello che sta scrivendo è un semplice appassionato di Cinema, che cerca di trarre un’analisi il più oggettiva e imparziale possibile della sua carriera, senza cadere nel tifo e/o nella critica gratuita.

 

 

 

 

Accusa 

“Il suo Cinema è melenso e stracolmo di verbosità e retorica.”

 

Difesa 

Il considerevole flusso di parole in un film è un difetto solo se quelle parole sono superflue.

 

Onestamente non ho mai pensato che la sua sovrabbondanza potesse essere un difetto, fa semplicemente parte del suo modo di raccontare una storia.

 

Sotto questo aspetto Spielberg è un regista di stampo molto classico; potrebbe benissimo essere considerato come il Frank Capra degli anni ’70, e infatti a entrambi vengono sempre mosse le stesse critiche: abbondanza di "American Way of Life" ed esagerata celebrazione dei valori americani.

 

Possono piacere o meno, ma fanno comunque parte di un’impronta registica ben definita; perché rigettarli, se in linea con il loro modo di vedere il mondo?

 

Anzi, è capitato spesso che proprio questa caratteristica abbia costituito il punto di maggior forza della sua filmografia.

 

Un film come Lincoln, ad esempio, tutto mi sembra tranne che stracolmo di verbosità: l’impegno per l’abolizione della schiavitù, con una delle più grandi battaglie parlamentari della Storia dell’Uomo, viene messa in scena con una minima dose di spettacolarità (quasi nulla) e senza far uso della facile arma della persuasione; il tutto a servizio della prova maiuscola di Daniel Day-Lewis.

 

Personalmente non riuscirei a immaginare un modo migliore per raccontare una storia del genere.

 

Ogni regista ha il suo stile, un proprio modo di vedere le cose e di raccontarle.

Il modo di raccontare le storie, che sia su carta o su celluloide, molto spesso è influenzato dalla propria vita, dagli anni dell’infanzia o dell’adolescenza, da certi traumi subiti, da certe delusioni provate, e così via.

 

Siamo umani, siamo il risultato di quello che ci accade mentre siamo impegnati a fare altro (come diceva John Lennon, parafrasando).

 

Chi può dire, ad esempio, quanto possa aver avuto un peso su di lui l’essere stato oggetto di bullismo a scuola, o l’aver avuto un’infanzia travagliata a causa della separazione dei genitori?

L’esperienza di vita si riversa nelle pellicole ed è probabilmente da qui che nasce il tema, costantemente centrale nelle sue opere, dei bambini che soffrono per colpa degli adulti e che ricercano dunque una strada di evasione, un mondo in cui rifugiarsi, lontano da sofferenze e problemi.

 

Il suo Cinema è sempre stato questo: un Cinema d’evasione al livello più alto.

 

Che poi, con tutte le sequenze dei suoi film rimaste impresse nella memoria per la loro bellezza, la loro meraviglia e, soprattutto, per il modo in cui sono state girate, per quale motivo si sente l'esigenza di concentrarsi sugli sprazzi di moderato nazionalismo (che non nego essere presenti) che in ogni caso non toglierebbero nulla al lato prettamente tecnico (sempre ineccepibile) e al talento visionario che quelle stesse sequenze hanno contribuito a esaltare?

 

La scena dello sbarco a Omaha Beach sotto i colpi del nemico in Salvate il soldato Ryan è diventata un punto di riferimento per tutti i film di guerra successivi (e direi anche per i videogiochi); il piccolo Elliot che si alza in volo al chiaro di luna in E.T. - L'extraterrestre è uno di quei momenti cinematografici che ogni bambino al mondo ricorda bene anche a distanza di anni; il lampo improvviso causato dallo scoppio dell’ordigno nucleare ne L’impero del Sole colpisce le coscienze per la sua drammaticità.

 

La prima apparizione del Brachiosauro sulle note di John Williams in Jurassic Park è unanimemente considerata tra le scene più magiche mai realizzate; l’attacco dello Squalo nel film omonimo mette i brividi ancora oggi per quanto sia paurosamente realistico; l’atterraggio della navicella spaziale in Incontri ravvicinati del terzo tipo ha contribuito, dopo 2001: Odissea nello spazio, a far rinascere l’interesse nei confronti degli alieni e di un ipotetico primo contatto.

 

Davanti a tutto questo non mi capacito di come i difetti - pur presenti nella sua filmografia - non passino per voi in secondo piano.

 

 

 

 

Accusa 

“Negli ultimi anni è stato discontinuo. 

Il quarto Indiana Jones?

Orripilante.”

 

Difesa 

Sì: il quarto Indiana Jones non si può definire riuscito.

È francamente un film indifendibile, sotto tanti punti di vista.

 

Tralasciando il fatto che non me la sentirei di attribuire a Spielberg tutte le colpe, visto che fin dall’inizio della produzione erano avvenuti contrasti tra il regista e la Paramount legati a limiti di budget e tempo, il nocciolo della questione risiede comunque altrove.

 

Anche dando per assodato che il flop del quarto Indiana sia esclusivamente colpa sua non vedo la gravità della cosa.

 

In una saga composta da quattro film è difficile mantenere sempre livelli alti; citatemi una saga i cui titoli (almeno quattro) siano di pari valore.

Non ci è riuscita quella di Alien, quella dei Pirati dei Caraibi e quella di Terminator; ci può stare che uno dei quattro (l'ultimo, tra l’altro) non sia a livello dei precedenti.

 

È una cosa che vi infastidisce così tanto?

A me onestamente no, perché non va a inficiare l’indubbio valore de I predatori dell’arca perduta, de Il tempio maledetto e de L’ultima crociata.

 

Il ricordo e il giudizio che ho di questi film e del personaggio dell’archeologo più famoso del grande schermo resta invariato.

 

Dal 1971 (anno di esordio con quel gioiellino di Duel) fino ai giorni nostri Steven Spielberg ha girato tantissimi film; ci può stare il non muoversi sempre su alti livelli.

 

Il suo meglio lo ha probabilmente già dato dagli anni '70 ai '90: sono vent'anni di successi, mica male.

Un eventuale calo fisiologico sarebbe più che naturale.

 

Oggi come oggi non deve più dimostrare nulla a nessuno; il film capolavoro non me lo aspetto ormai da uno come Spielberg, ma dalle nuove leve, che di certo non mancano. 

 

La sua filmografia parla chiaro: anche solo considerando il lavoro post-2000, è indubbia la qualità media dei propri lavori; una qualità che molti giovani registi a inizio carriera si augurerebbero. 

Prova a prendermi, Minority Report e Lincoln sono titoli di pregevole fattura. 

Il ponte delle spie non sarà qualcosa di clamoroso, ma resta un buon film e, sotto l’aspetto tecnico, assolutamente ineccepibile.

 

E che dire degli ultimi due lavori?

The Post, sulla scia di altri precedenti titoli quali Il colore viola, Amistad e Munich, costituisce un nuovo e curato tassello lungo il percorso intrapreso dal regista per ricordare ai suoi concittadini la storia americana e le sue battaglie per la libertà (a tutti i livelli), e Ready Player One è un indovinato omaggio nerd alle generazioni passate, crogiuolo di citazioni ed easter egg.

 

Segnalo inoltre come egli abbia dato vita, assieme a David Geffen e Jeffrey Katzenberg, alla casa di produzione DreamWorks, le cui soddisfazioni maggiori sono arrivate dai film d’animazione post 2000.

 

Se avete apprezzato film come Shrek, Dragon Trainer o Madagascar, è anche merito suo, indirettamente.

 

 

 

 

Accusa

“Non ha girato film importanti storicamente.

Non è mica come "REGISTA X”.

 

Difesa

Affermare una cosa del genere significa avere una visione un po’ ristretta della Storia del Cinema statunitense.

 

Steven Spielberg è ed è stato un regista fondamentale.

 

Con Lo Squalo ha fatto da traghettatore tra la New Hollywood e il primo, vero e proprio decennio postmoderno; con I predatori dell'arca perduta ha rinnovato il genere di avventura, cioè un qualcosa che a Hollywood era morto e sepolto dai tempi del Cinema classico.

 

I vari titoli come All'inseguimento della pietra verde, La mummia, Il gioiello del Nilo, ecc., sono tutti figli di questo film, che ha come principale merito quello di aver combinato l'elemento avventuroso con quello ironico, anche grazie alla presenza di Harrison Ford, il quale, come sappiamo bene, incarna sempre alla perfezione questo tipo di personaggio.

 

Incontri ravvicinati del terzo tipo, E.T. - L'extraterrestre e Schindler's List sono grandissimi film e credo che nessuno si possa sconvolgere nel sentirli definire capolavori (ognuno a suo modo).

 

E.T. credo sia proprio il titolo che più di tutti definisce la carriera del suo creatore: amato alla follia da una parte del pubblico, sottostimato dall’altra; per me rappresenta l'essenza (oltre che capostipite) di un certo tipo di Cinema anni '80, quello del filone giovanile/famigliare, al quale appartengono titoli come Stand by Me, Karate Kid, Gente comune, I Goonies.

 

Steven Spielberg ha rilevato l'ingrediente fantascientifico, constatabile in una sua precedente opera, quell’Incontri ravvicinati del terzo tipo già citato sopra, e l'ha immerso in quella tipica atmosfera magica, evasiva, rassicurante e sognante, che ha sempre avvolto il decennio in questione.

Il risultato è una delizia per gli occhi e un sussulto per il cuore.

 

La sintesi della sua poetica, nel film per il quale lui stesso ha sempre dichiarato di voler essere ricordato. 

 

“Chiunque salva una vita, salva il mondo intero”

È la tagline di Schindler’s List, probabilmente il più grande film sulla Shoah che sia mai stato realizzato, sia per la sua capacità di colpire le coscienze collettive - senza per questo rinunciare al pathos e all’epica, la forma è sempre quella del grande racconto hollywoodiano - sia per la decisione di utilizzare il bianco e nero, come unico strumento possibile di indagine storica in grado di creare la distanza necessaria, data la delicatezza dell’argomento, tra pubblico e protagonisti sullo schermo.

 

Come non citare poi anche L’impero del Sole (con un giovane Christian Bale come protagonista), dramma di guerra che è stato recentemente saccheggiato da Angelina Jolie per realizzare il suo (mediocre) Unbroken.

 

E Jurassic Park?

Uso rivoluzionario degli effetti visivi (dinosauri ricreati con l’animatronica) e approccio moderno alla CGI così come la conosciamo noi oggi, al punto da poterlo considerare come un titolo spartiacque del Cinema contemporaneo. 

 

Il paragone con un qualunque altro regista, che si tratti di un suo coetaneo o meno, lascia un po’ il tempo che trova; il fatto che io, come immagino molti altri, possa preferire altri nomi del presente come del passato, non esclude comunque l’importanza che ha avuto Steven Spielberg nel più ampio contesto di rinnovamento del Cinema hollywoodiano degli anni '60 e '70.

 

In ogni caso - e concludo - sostenere la grandezza di Spielberg non implica certo togliere qualcosa ad altri giganti come Martin Scorsese o Francis Ford Coppola (per citare due suoi colleghi e amici); anzi, sono certo che i due registi italo-americani in questione sarebbero in prima linea a scendere in campo in sua difesa.

 

 

 

 

Spero con questo articolo di essere riuscito a mettere in luce la grandezza di questo regista, di aver argomentato a dovere a proposito della sua importanza nel Cinema USA dell’ultimo mezzo secolo e di aver rispedito quindi al mittente quelle che, personalmente, ho sempre reputato essere accuse infondate.

 

Social o non social.

 

Non ho altro da aggiungere, Vostro onore.

Chi lo ha scritto

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1 commento

Se vogliamo... Spielberg secondo me (non lapidatemi) manca un po' di personalità e di uno stile marcato rispetto ad altri come Scorsese, Fincher, Tarantino, Kubrick, Nolan...

Ma forse si può anche considerare come un suo punto di forza, adattare il suo stile quasi totalmente in funzione del film. 

Un po' come dire... batteristi tipo Jeff Porcaro, Stewart Copeland, Mike Portnoy, John Bonham hanno uno stile unico e super riconoscibile, mentre Roger Taylor e Dominic Howard molto meno riconoscibili ma altrettanto grandi perché si sacrificano totalmente in funzione della musicalità del risultato finale. Io la penso così

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