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Maria - Recensione: di bellezza e di follia - Venezia 2024

Pablo Larraín torna a Venezia con il suo quarto biopic, stavolta dedicato a Maria Callas 

Maria di Pablo Larraín è uno dei film maggiormente attesi dell'81ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia.

 

Diretto da un habitué del Lido e con un cast capitanato da una star come Angelina Jolie, il film approda in Concorso con legittime speranze di gloria.

 

 

[Pablo Larraín e Angelina Jolie sul set di Maria]

 

 

Maria è a tutti gli effetti un film di ritorni per Larraín: oltre a tornare per la quarta volta alla Mostra, dopo il Premio Osella per la sceneggiatura ottenuto a Venezia 80 con El Conde, l'autore cileno torna a dirigere un film in lingua inglese di produzione statunitense e, soprattutto, torna a riproporci la sua personalissima idea di biopic.

 

Come si desume dal titolo l'opera racconta gli ultimi giorni di vita di Maria Callas: un soggetto che si presta a una formula, quella del film biografico condensato in pochi giorni e innervato da sfumature surreali, che il regista cileno ha ormai fatto propria e reso celebre con i precedenti Neruda, Jackie e Spencer, questi ultimi presentati con fortune alterne a Venezia. 

La grande attitudine a questo genere di racconti ha inevitabilmente fatto del nativo di Santiago del Cile il direttore d'orchestra ideale per questo ambizioso progetto, nel quale è coinvolta anche l'italiana The Apartment.

 

Non si può di certo affermare che il regista cileno sia nuovo a sfide registiche e di casting intriganti: sfide che, ancora una volta, possono dirsi vinte. 

Malgrado a un primo sguardo Angelina Jolie non si sovrapponga perfettamente all'immagine di Maria Callas, così perfettamente incastonata nell'immaginario collettivo, la prova fornita dalla diva nel ruolo della Divina è a mio avviso la migliore della sua carriera. 

L'intepretazione della protagonista è dir poco vibrante: mai vicina all'imitazione ed elegantissima nella gestualità, al contempo dolente ma innervata da quella malinconica ironia che immaginiamo possa appartenere solo alle personalità più grandi. 

 

Se al momento dell'annuncio del cast avete storto il naso, dopo aver visto Maria, probabilmente, non potrete immaginare un'interprete diversa nei panni di Maria Callas.

 

 

[L'interpretazione di Angelina Jolie e la messa in scena di Pablo Larraín sono i fiori all'occhiello di Maria]

 

 

La poderosa prova di Angelina Jolie viene sublimata dall'ormai consueta regia magistrale di Larraín, che alterna formati, incornicia la sua protagonista in una Parigi sognante, lavora magnificamente con la musica in chiave diegetica ed extradiegetica e - con l'ausilio della fotografia di Edward Lachmann - costruisce un'opera visivamente strabiliante.

 

La sceneggiatura di Steven Knight, già autore dello script di Spencer, replica alcuni degli espedienti utilizzati nella precedente collaborazione con Larraín, incentrando integralmente l'opera sui dualismi e le contraddizioni che contrappongono "Maria" e "La Callas": la donna e la Primadonna, l'animo più fragile bisognoso di adulazione e la celebrità universalmente venerata, la donna ormai vittima delle proprie dipendenze. 

A essere rimarcata a più riprese all'interno del film è la volontà di Maria Callas di raccontare la propria autobiografia, di riappropriarsi della propria vita: vengono così toccati numerosi temi, dal controverso amore con Aristotele Onassis al rapporto complesso con la madre, passando per la sua ossessione per la bellezza e il peso.

 

Per farlo, però, a volte la sceneggiatura non osa a sufficienza, indugiando sui simboli senza approfondire alcune delle sue trovate migliori: in quanti film di produzione statunitense ci ricapiterà di vedere una Diva di tale portata "intervistata" da un personaggio che personifica la sua dipendenza dai farmaci?

 

 

 

 

A indebolire complessivamente il mio giudizio sull'opera sono alcune ingenuità tipiche del Cinema Hollywoodiano: l'uso poco incisivo del bianco e nero per il racconto dei flashback e l'inspiegabile uso dell'inglese anche nei dialoghi tra persone che potrebbero tranquillamente dialogare nel proprio idioma nativo, a mero titolo esemplificativo.

 

A tal proposito, però, un notevole plauso va rivolto a Pierfrancesco Favino, Alba Rohrwacher e Valeria Golino, interpreti di tre prove assolutamente solide nei ruoli dei domestici di Maria Callas e di sua sorella, Iakinthi.

 

Le loro interpretazioni, così come quelle di Haluk Bilginer e Kodi Smit-McPhee, impreziosicono un film che inaugura più che positivamente un concorso senza chiari favoriti, nel quale sia l'autore cileno che Angelina Jolie potrebbero dire la loro per il palmarès finale.

 

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