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Analizzo alcuni aspetti in un modo che rappresenti il mio sguardo su Interstellar, pellicola che amo e che faccia anche da avvocato difensore di questo regista nei confronti di tutte le, a mio avviso, insensate critiche innalzate contro il suo ambizioso progetto.
Il Tempo.
Interstellar tratta di distorsioni temporali.
Ci sono dei momenti durante la visione in cui prendiamo coscienza dell’effettiva conseguenza degli effetti paradossali che la gravità ha per Albert Einstein sul tempo.
Scena emblematica è quella dei ventitre anni di videomessaggi giunti a Cooper dalla Terra dopo che lui ha percepito una sosta sul "Pianeta delle onde" di sole poche ore e noi spettatori, confinati nella dimensione diegetica del film, di non più di dieci minuti.
Ed è scioccante.
Christopher Nolan ha un dono nel saper fare percepire delle sensazioni e dei concetti ben precisi e di non facile comprensione allo spettatore tramite il montaggio (pensate a Memento e a quanto vedendolo sentiamo perfettamente lo stesso male spaesante di Leonard Shelby grazie al montaggio decostruito di Nolan).
Interstellar presenta intere sequenze a mio avviso montate in modo completamente sbilanciato.
Questo ha dato adito a molti detrattori di parlare a sproposito di “buchi di sceneggiatura”.
Spiegherò ora la scelta di Nolan.
In realtà questa struttura io la considero assolutamente geniale.
Tutta la prima parte è lineare, le azioni hanno tempi cinematografici classici, così come il montaggio degli eventi, questo finché cominciamo ad assistere alle prime irregolarità: Cooper che in men che non si dica è un pilota provetto, che è pronto istantaneamente a partire e che neanche il tempo di lasciare il vialetto di casa è già in orbita.
Questo ci disturba perché non vi è alcuna dissolvenza in nero o didascalia in sovraimpressione che, come ci aspetteremmo, denunci il fatto che sia trascorso del tempo; Nolan ci sta facendo sentire in questo modo il concetto/sentimento dell'urgenza, non con le interpretazioni e i dialoghi, ma tramite il montaggio degli eventi.
L'urgenza accelera la percezione del tempo psicologico, è un'esperienza che proviamo tutti.
Se c'è una cosa che ci ricorda il film è in primo luogo proprio il fatto che il tempo non è assoluto, e che quindi non esiste uno scorrere degli eventi considerevole alla velocità "standard", e in seconda battuta che esistono delle anomalie su quel ritmo.
Ma proseguiamo: nel giro di uno stacco d’inquadratura assistiamo a un'ellissi temporale di due anni (dall’orbita terrestre a quella di Saturno), e anche questa volta non c’entra nulla lo slittamento temporale dato dalla Teoria della relatività, ma l’equipaggio è semplicemente immerso nel crio-sonno.
Si è creato quindi un punto di discontinuità della vita dell'equipaggio: non come quando dormiamo, dove al nostro risveglio percepiamo essere trascorso del tempo dal nostro esserci assopiti la sera prima (questo perché percepiamo il sonno come un'azione che si svolge nel tempo), ma piuttosto una condizione simile a quella dello svenimento: un blackout, uno strappo dove i lembi della stoffa sono poi ricuciti e riavvicinati facendo sembrare che non sia accaduto nulla.
Come se lo strappo avvenisse fuori dal tempo, o meglio, non avvenisse proprio - "avvenire" implica infatti che l'azione si sviluppi nel tempo.
E il montaggio di Nolan e del suo team ci racconta quest'altra paradossale esperienza temporale.
Ma l’esempio per me più interessante l’abbiamo nella scena del "Pianeta delle onde", quando per la prima volta ci viene detto che un’ora su quel pianeta corrisponda a sette anni sulla Terra.
Riguardate l’intera sequenza e noterete che se gli eventi sulla navicella rimasta in orbita rispettano un ritmo e una temporalità “normale” (come quella della prima parte del film), quelli che avvengono sulla superficie del pianeta sembrano a primo acchito montati da un incompetente.
Nulla torna, né rispetta le nostre aspettative o la metrica sequenziata dal bel pezzo di colonna sonora Mountains di Hans Zimmer che in quel momento scandisce i secondi nella loro durata ritmica alla quale siamo abituati (quelli terrestri, per così dire); esempio eclatante sono proprio quelle montagne di acqua che un istante prima sono scorte all’orizzonte da Cooper e un momento più tardi minacciano "già" l’equipaggio, pur apparendo in realtà pressoché immobili, congelate e schiacciate dalla gravità gigantesca che quasi cristallizza il tempo.
Così come il momento del drenaggio della navicella sempre sulla superficie dell'esopianeta: a parole dovrebbe durare quasi un’ora, ma nei fatti si conclude in pochi istanti, e di nuovo non è presente alcuna dissolvenza in nero o cambio di scenario che suggerisca che sia passato quel tempo preventivato.
E poi ancora, gli eventi, scusate il gioco di parole, nei pressi dell’orizzonte degli eventi del buco nero sul finale, che si susseguono a un ritmo che ci pare sbilanciato e frenetico; inverosimile (il momento dell’attracco pare richiedere più tempo del frenaggio sommato alla rotta verso Gargantua, alla pianificazione della discesa e alla sua attuazione).
Qualcosa, di nuovo, non torna.
Ci pare.
Nolan però sa il fatto suo.
Non sono buchi di sceneggiatura: il regista, ne sono convinto, vuole così far sperimentare alle nostre menti le conseguenze percettive dello sfasamento temporale nelle tre forme che ho descritto: emotivo, percettivo e relativistico.
In base al contesto relativistico – che si traduce nella vicinanza o meno a una fonte di attrazione gravitazionale – il ritmo delle parole dei personaggi non muta (noi sentiamo i personaggi parlarsi sempre con la stessa velocità "naturale", tranne che nell'impressionante momento in discesa all’interno del buco nero dove la gravità è talmente immensa che il tempo tende a zero e le parole di Cooper sono percepite dallo spettatore come fossero "stirate").
La velocità con cui sono scandite le frasi, dicevo, resta sempre la medesima, ma il perfezionismo di Nolan deve avergli fatto comprendere che in questo modo si falsavano le premesse già paradossali della teoria einsteiniana, e allora sarà il ritmo delle azioni e il loro montaggio che sconvolge a perfezionare la rappresentazione della Teoria.
Altre volte invece è la presa di consapevolezza dell’immensità degli spazi percorsi e della lontananza fra i personaggi ad atterrirci.
Verso il finale assistiamo a una buona mezz’ora di montaggio parallelo fra gli eventi che si svolgono sulla Terra (con la figlia e suo marito) e quelli nei pressi di Gargantua.
Personalmente non ricordo altri esempi, perciò mi arrischio a dire che probabilmente si tratti dell’esempio di montaggio parallelo fra i punti fisicamente (e non fantasticamente) più distanti che si sia mai visto al cinema.
A voi il compito di correggere, se caso, questo dato.
Il ponte, il punto di contatto è costituito da due sole forze: la gravità e...
L'Amore.
Nove volte su dieci è questo il tema che sento sollevare da coloro ai quali Interstellar non ha pienamente convinto.
Come se 2001: Odissea nello spazio gli fosse necessariamente superiore solo perché non "scade" mai nel sentimentalismo.
Riflettevo proprio su questo fatto e su come la storia del pensiero occidentale ci porti istintivamente a istituire una scala assiologica (di valore) fra tutto ciò che è mentale e ciò che invece pertenga a "la pancia", o meglio, al cuore.
Non ci pensiamo neanche: spirito e mente stanno istintivamente un gradino sopra.
Questo retropensiero - vero e proprio pregiudizio - fa parte del nostro immaginario da non meno di 2400 anni.
2001: Odissea nello spazio è un film immenso, ma freddo, come spesso è fredda un'analisi filosofica.
E istintivamente questo lo pone a un livello superiore (non solo questo, sia chiaro - e io sono d'accordo con chi la pensi così, ma non con chi la pensi solo così).
Diversi filosofi, tuttavia, hanno osservato come nella veicolazione di un concetto sia spesso necessario anche l'apporto emotivo, e lo fanno riflettendo proprio sul cinema e su quanto esso veicoli concetti proprio di questo tipo. Il termine che usano è concettimmagine.
L'amore è tutto in Interstellar.
È il primo degli argomenti trattati.
Anche il tempo serve a Nolan per parlare di esso (e non viceversa).
L'amore incondizionato, l'amore paterno.
La scena chiave è quella dell'abbandono: la sincronizzazione degli orologi, la promessa d'amore di Cooper che dice a Murph "tornerò" e "ti voglio bene per sempre" (l'uso del presente è paradossale, ma non casuale e richiama appunto alla dimensione dell'eternità, dell'assenza di tempo, come quando prima l'ho usato di proposito per parlarvi di strappi, svenimenti, discontinuità).
Entrambe queste espressioni che ho evidenziato con il maiuscolo parlano di temporalità, così come l'ulteriore risposta della figlia "stay!".
Tutto il film sarà volto all'adempimento di quella promessa irrevocabile: "tornerò".
E c'è un pegno d'amore: l'orologio (di nuovo, vedete bene che in questo film il tema dell'amore è superiore persino a quello del tempo).
E Cooper tornerà, dopo un viaggio dove le leggi della fisica hanno rotto quella sincronizzazione fra la sua temporalità e quella della figlia.
Alla fine resta del tempo, ma del tempo perduto: quello che avrebbero dovuto passare insieme e che non gli sarà loro restituito (straziante il "rifiuto" di lei, ma coerente).
Solo quella promessa d'amore resiste perché essa il tempo - come dice il personaggio interpretato da Anne Hathaway - lo trascende.
È il loro amore (il pegno) il mezzo che salverà l'umanità.
E non è stucchevole questo: chiunque si sia innamorato sa che quella forza smuove la propria vita e quella di chi lo circonda.
Ha effetti reali: vale a dire sulle tre dimensioni dello spazio; reale non meno della gravità.
Ma è insondabile, e non si può tematizzare (proprio come quel limite teoretico e fisico costituito dall'avanzare oltre la singolarità spazio-temporale di un buco nero).
Quindi "al diavolo" la verosimiglianza di certe scene (astronauti che si spiegano la relatività in viaggio e co.), non era quello il fine e il tema del film a mio avviso.
La frase più significativa su questo aspetto ritengo sia: "l'amore trascende il tempo e lo spazio, Cooper: noi amiamo anche coloro che sono morti!".
Sfido chiunque a dire che questo sia stucchevole.
Questa cosa è semplicemente vera. Vera come le verità toccate da "2001", solo un po' più sporcate d'umanità.
E a proposito di 2001: Odissea nello spazio, i riferimenti sono davvero molti e tutti bellissimi, dai più palesi (i molti parallelepipedi neri monoliticiformi, lo Stargate, la forma dell’Endurance) ai più velati (come citazioni sonore di Zimmer al tema principale del Film e per essere precisi all’accordo di organo finale del tema).
Temi secondari.
Vi sono poi questioni riguardanti la cosiddetta etica delle generazioni future: siamo responsabili delle generazioni future?
Esiste una moralità che si estenda al di là del nostro universo di affetti, oltre ai nostri nipoti, ad esempio?
Ha senso parlare di tempo in etica?
L’umanità come concetto astratto ha diritti morali?
Altre riflessioni morali agostineggianti richiamano lo statuto del male che non esiste nella natura, ma soltanto in noi.
E riflessioni sul concetto di casa e il suo abbandono (la madreterra così come la casa privata su di essa) e la forza di gravità che, come l'amore mterno e non solo, cerca di farci restare ancorati ad essa o a desiderate costantemente di ricongiungersi, in un senso ampio, a lei.
Nel film vi sono più di una dozzina di inquadrature dall'esterno della navicella, direzionate verso la parte posteriore di essa e ciò che c'è alle sue spalle.
A mio avviso questa scelta richiama quella che forse è la mia inquadratura preferita di tutto il film, dove Cooper ha lasciato la sua casa e i suoi figli e abbiamo un paio di piani sull'esterno del furgone direzionate verso la sua parte posteriore e la cui linea prospettica direziona il nostro sguardo verso la casa alle spalle che si allontana.
_______________________
Un paio di obiezioni classiche al film: controrisposte.
Ci si lamenta a volte del fatto che Murph abbia intuizioni sul finale totalmente ingiustificate, e davvero troppo improbabili da risultare plausibili.
Una forzatura nella sceneggiatura.
Altri ancora lamentano l’assurdità di ciò che accade al di là dell’orizzonte degli eventi del buco nero.
Rispondere a queste obiezioni è semplicissimo: trattandosi di un limite teorico - quello dell’orizzonte degli eventi - Nolan aveva la piena libertà e autorità di speculare a proprio piacimento circa quello che avrebbe trovato Cooper nei pressi della singolarità: la chiave della cosiddetta Teoria del tutto che dovrebbe amalgamare la Relatività e la Teoria quantistica, l'infinitamente grande e il piccolo.
E riguardo alle facoltà magicamente illuminate della Murph adulta davanti alla libreria rispondo che visto che siamo in presenza del classico paradosso temporale “della gallina che porta nel passato l’uovo dal quale è nata” (il classico paradosso fantascientifico "alla Terminator") si può concludere che la donna non potesse che capire ogni cosa, e non potesse che salvare l’umanità.
Si tratta di una necessità logica: se così non fosse stato non ci sarebbe stata l’umanità pentadimensionale del futuro che avrebbe costruito la struttura tridimensionale per portarvici Cooper al fine di comunicare alla figlia tramite l’amore e la gravità (ricordate che sono le sole forze che si muovono attraverso le altre dimensioni e le trascendono) il modo per salvare l’umanità presente in modo tale che l’umanità pentadimensionale del futuro potesse esistere e costruire una struttura tridimensionale per portarvici Cooper al fine...
Capite che l’argomento è ricorsivo. Il solo fatto che Cooper sia dove sia implica che Murph non possa in alcun modo fallire o non comprendere la chiave di tutto.
112 commenti
Luigi Marte
4 anni fa
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Luigi Marte
4 anni fa
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Luigi Marte
4 anni fa
Per quanto riguarda le due scene finali, Cooper e Brand, non poteva chiudere con Cooper, perché Cooper doveva raggiungere Brand che stava già sul pianeta abitabile. Il nuovo focus è sulla loro nuova casa!
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Sebastiano Miotti
6 anni fa
Sono d'accordo: l'Interstellar del cervellotico Nolan si apre all'empatia (un po' come fa anche Dunkirk), con 2001 invece c'è una connessione più profonda, forse esistenziale
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Sebastiano Miotti
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Sebastiano Miotti
6 anni fa
Concordo abbastanza sull'osservazione sulla Hathaway
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Chiara Macrì
6 anni fa
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Soldier9.5
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BubbleGyal
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Cristina Viscione
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Claudio Serena
6 anni fa
Oppure sì.
Non si può mai dire con quel film!
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Sebastiano Miotti
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Marco Quilici
6 anni fa
Comunque sia addirittura lessi il libro di 2001 prima di vedere il film e proprio la definizione di "opera illimitata" per me, rimane unica del film. Credo che la netta differenza tra le due opere è che ciò che il libro spiega (proprio perchè è un libro), il film non lo fa, rendendolo così realmente illimitato.
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