close

NUOVO LIVELLO

COMPLIMENTI !

nuovo livello

Hai raggiunto il livello:

livello

#CineFacts. Curiosità, recensioni, news sul cinema e serie tv

#articoli

Funny Games - Tra violenza borghese e intrattenimento

Funny Games, film tra i più radicali del regista tedesco Michael Haneke, torna al cinema in versione restaurata: non ci resta che accettare la sfida e diventare parte, di nuovo, del suo macabro gioco

Funny Games è un film peculiare.

 

Lo è sia per quanto riguarda la filmografia in genere - infatti come ogni film che fa parte di questa categoria con il tempo è divenuto un cult - sia per quanto riguarda la filmografia del suo regista, Michael Haneke, essendo prodotto dopo la sua Trilogia sul rapporto tra violenza e mass media (Il settimo continente, 1989, Benny’s video, 1992, e 71 frammenti di una cronologia del caso, 1994), tema che troviamo anche in questo film, e prima dei grandi capolavori sulla natura umana, intimi e drammatici, emotivamente foschi e leggeri come una carezza tagliente come La pianista (2001) o Amour (2012).

 

[Il trailer originale di Funny Games]

 

 

Funny Games ci fa immergere subito nelle dinamiche di una famiglia borghese austriaca, felice e spensierata, composta dalla madre Anna (Susanne Lothar), il padre George (Ulrich Mühe) e il bambino Schorschi (Stefan Clapczynski). 

 

Stanno andando nella loro seconda casa a passare le vacanze, quando la colonna sonora esplode in un rigettante fulmine noise che predice il caos dell’intero film.

La canzone in questione è Bonehead della band jazzcore Naked City, e rappresenta la totalità della colonna sonora del film, tornando diverse volte a commentarne il caos che stiamo “vivendo”. 

Questo caos però non è mai esplicito: è un caos elegante, essenzialmente perturbante e per questo inquietante, fondato nella cerebralità della messa in scena come, del resto, i due sconosciuti in abiti bianchi Paul (Arno Frisch) e Peter (Frank Giering), classici caratteri da film home invasion, con caratteristiche horror spiccatamente psicologiche.

 

Così come la famiglia presa in ostaggio anche Peter e Paul sono borghesi, si nota facilmente pur non conoscendo niente di loro per l’intero film (o meglio, pur ascoltando diverse versioni, tutte verosimili ma infondate, del loro background).

 

 

[Stefan Clapczynski, Ulrich Mühe e Susanne Lothar in Funny Games]

 

 

A trasformare una storia con venature horror che parla di borghesi in una "storia borghese" ci pensa la messa in scena, ibseniana, nordica e lenta, di un malessere statico, che si insinua lentamente e gioca con le sensazioni dello spettatore poco alla volta.

 

Ma lo straniamento perturbante si potenzia anche attraverso questa caratteristica, che puntualmente viene contraddetta e puntualmente ci spiazza. 

I due ragazzi aguzzini sono criptici nella loro totalità, non si conosce nulla di loro, non si sa neppure perché mettano in atto quelle torture psicologiche che accolgono molto presto la dimensione fisica, prima con le percosse e poi con la morte. 

 

Ci confondono.

 

Le scene violente di Funny Games sono quasi sempre censurate da una macchina da presa incedente, che arriva sempre, chirurgicamente e soffermandosi tanto, sulle conseguenze di queste azioni, sul dramma che provocano, producendo una tensione estremamente più carica di pathos di una messa in scena tipica, in certi casi mimando la letteratura, con macchina fissa e tempi dilatati. 

 

Ne è un esempio il momento successivo alla morte del bambino: non ci si aspetta la sua dipartita in quanto essenzialmente innocente, ancor di più non ci si aspetta che venga ucciso per primo, per poi assimilare il dramma in minuti interminabili di totale “assenza”, la casa in cui si svolge l’intera storia svuotata della vita, del bambino, ma anche, per un momento, dei suoi genitori affranti.

 

 

[Frank Giering e Arno Frisch in Funny Games]

 

 

Anche la casa ha un ruolo molto importante in Funny Games: in primis rende la trama teatrale, i suoi interni caratterizzano il dramma borghese; inoltre la violenza accade esclusivamente nelle sue mura, è luogo dell’Es sconsiderato e celato a occhi indiscreti per la follia omicida dei nostri due ragazzi weird.

 

“Celato a occhi indiscreti”: sarebbe così se non fosse che i due omicidi sono consci di essere dentro un film, sono marionette al servizio della messa in scena, personaggi che non sono in cerca d’autore ma che conoscono benissimo il ruolo datogli da Haneke, sceneggiatore oltre che regista. 

Paul prima fa l’occhiolino allo spettatore, poi gli parla e gli propone una scommessa che riguarda la vita e la morte dell’inconsapevole famiglia, infine gli dice, in un momento di generale sconforto scenico carico di cattiveria: 

“Siamo ancora in onda, ne avete abbastanza? Non volete un finale autentico?”

 

Ma Paul fa molto di più perché, in una scena totalmente incredibile e sconclusionata a seguito dell’improvvisa morte di Peter, prende un telecomando e riavvolge il nastro, torna al momento precedente la sua morte per ricominciare la scena e concluderla in maniera più decorosa secondo lui, per far sì che il film si concluda come è stato deciso a monte. 

Da una parte quindi Haneke rompe l’incantesimo della cinematografia e rende lo spettatore parte dei "Funny Games" messi in scena, nella sua immedesimazione nelle vittime, ma anche nel voyerismo sadico dei carnefici, in un meta-cinema in cui la quarta parete diviene membrana osmotica. 

 

 

Dall’altra la scena del telecomando rompe l’incantesimo nell’incantesimo rotto, palesando il livello più profondo del film, quello che riflette sul concetto di violenza e di intrattenimento e sul loro rapporto sadico quando tradotto nei media di massa.

 

 

[Arno Frisch e Stefan Clapczynski in Funny Games]

 

Quando la violenza diventa così superficiale da trasformarsi in intrattenimento? Quando, in generale, un fatto di cronaca vera assume le caratteristiche della serie televisiva per lo spettatore?

 

Funny Games è estremamente cinematografico e tutte le caratteristiche prese in prestito dal teatro hanno solo una valenza straniante e archetipica.

La distorsione temporale e l’estremo utilizzo dei primi piani sono colonne portanti del film e quest’ultimo elemento pone l’attenzione sullo sguardo dei personaggi, sui loro occhi che rispecchiano quelli dello spettatore che li sta guardando.

 

“L’Io si rispecchia in ciò che guarda” direbbe Leibniz, ed ecco che tra il rispecchiamento negli occhi impauriti delle vittime e quelli quasi senz’anima dei carnefici, il film termina con un fotogramma bloccato del primo piano di Paul che ci guarda con un’espressione che palesa il fatto che nell’intero film siamo stati la sua vittima.

 

Siamo stati risucchiati nel vortice emotivo della messa in scena, nello spettacolo delle percezioni che il film ha intessuto.

 

 

[Frank Giering e Arno Frisch, di fronte, e Stefan Clapczynski, Ulrich Mühe e Susanne Lothar, di spalle, in Funny Games]

 

 

Nel finale del film, con tutta la famiglia protagonista morta, con l’ultima morte, quella della madre, ancor più inaspettata di quella del bambino, in totale contravvenzione alla rassicurante pratica cinematografica della sopravvivenza di almeno un protagonista in questo tipo di film, Paul e Peter entrano in un’altra casa attraverso lo stesso espediente, quello delle uova, utilizzato all’inizio del film per entrare in casa di Anna e George. 

 

Ecco un nuovo palcoscenico per nuovi "Funny Games" crudeli e insensati in un “eterno ritorno” nietzschano. 

 

Una spirale nichilista che palesa la sua falsità e il suo essere prodotto di finzione, ma che dimostra, come un pasoliniano "teorema", l’attrazione dell’uomo per il male.

 

 

[Una frame di Funny Games]

 

P.S.: Nel 2007, esattamente 10 anni dopo, Michael Haneke dirigerà un remake shot-for-shot di Funny Games ambientato non più in Austria ma negli Stati Uniti, girato in lingua inglese e con attori del calibro di Naomi Watts e Tim Roth.

 

Le differenze con l’originale sono minime, di certo però gli attori austriaci in quanto meno famosi rendono la visione in qualche modo più immersiva, ne danno una sfumatura di verosimiglianza, sembrano più adeguati, più veri, e meno edulcorati della loro controparte hollywoodiana.

 

Become a Patron!

 

CineFacts non ha editori, nessuno ci dice cosa dobbiamo scrivere né soprattutto come dobbiamo scrivere: siamo indipendenti e vogliamo continuare ad esserlo, ma per farlo sempre meglio abbiamo bisogno anche di te! 

Se ti piace quello che facciamo e il nostro modo di affrontare il Cinema, sostienici con una piccola donazione al mese entrando tra Gli Amici di CineFacts.it: aiuterai il sito, i social e il podcast a crescere e a offrirti sempre più qualità!

Chi lo ha scritto

TI POTREBBERO INTERESSARE ANCHE

Articoli

Articoli

Articoli

Lascia un commento



close

LIVELLO

NOME LIVELLO

livello
  • Ecco cosa puoi fare:
  • levelCommentare gli articoli
  • levelScegliere un'immagine per il tuo profilo
  • levelMettere "like" alle recensioni