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Dogman: come celebrare l'essenza del Cinema di Luc Besson

Dogman è un'opera in grado di racchiudere ciascuna delle anime della filmografia del suo autore

Dogman è il film perfetto per celebrare i quarant'anni di carriera di Luc Besson

 

L'ultima fatica del regista francese sembra, infatti, essere un omaggio a tutto ciò che ha sempre caratterizzato il suo Cinema. 

 

[Il trailer Italiano di Dogman]

 

 

Sin dall'esordio, nel 1983, con Le Dernier Combat, Besson è stato capace di fondere nelle sue opere una vasta serie di immaginari e di abbracciare larghe fette di pubblico.  

 

Dogman, in sala grazie a Lucky Red dal 12 ottobre, sembra quasi voler ripercorrere tutto ciò che ha reso inconfondibile il suo stile, cercando di attualizzarlo con alcune delle istanze del Cinema contemporaneo.

 

L'opera racconta la storia di Doug, un bambino dell'America white trash che, dopo essere stato chiuso da suo padre nel recinto dei cani di famiglia, viene ferito in una colluttazione con il genitore perdendo l'uso delle gambe.

Inserito in una comunità, il protagonista di Dogman cresce, si innamora e riesce persino a laurearsi ma viene respinto dalla società: gli unici che mostrano un amore sconfinato per lui sono i suoi cani, che lo aiutano a intraprendere un deciso cambio di vita.

Se vi può sembrare che vi sia una certa consonanza con alcune recenti opere di grande successo come Joker, non avete tutti i torti; Besson non si è mai fatto problemi a inserire elementi di grido nelle sue opere, solleticando il gusto del pubblico con riferimenti di varia natura. 

 

In un mercato che cerca costantemente figure di "cattivi con motivazioni credibili", Dogman si staglia come l'elaborazione personale di un regista che ha colto in questo momento del Cinema mondiale la congiuntura giusta per riproporre alcuni dei suoi cavalli di battaglia.

 

 

[Subway è stato il primo grande successo di critica e pubblico di Luc Besson: con Dogman condivide la natura pop e l'anima da thriller]

 

 

Thriller e palpitazioni

 

Buona parte della carriera di Luc Besson è d'altronde costruita sulla sua capacità di tenere in pugno le emozioni degli spettatori.

 

Sin da quando nel 1985 si è rivelato al grande pubblico con il successo internazionale di Subway - che rappresentava un'iniezione di adrenalina nella tradizione del Polar francese - il suo mix altamente infiammabile di scene action, inserti musicali ed elementi più puramente thriller è diventato un marchio di fabbrica iper-riconoscibile, che nel suo Dogman si ripropone e si rinnova.

La storia del regista, che ha sempre saputo muoversi in mondi diversi come il videoclip e la pubblicità, con grande successo si è sempre riflettuta nel suo stile composito ed esplosivo, anche nelle vesti di produttore. 

Non è un caso che quando nel 1990 è tornato a proporre un film dalle fortissime vibrazioni thrilling come Nikita, il personaggio interpretato da Anne Parillaud sia diventato immediatamente uno dei volti più iconoci della sua intera filmografia.

 

L'ulteriore successo di Léon, probabilmente la sua opera più famosa e riuscita, l'ha confermato come un Maestro delle forti emozioni: la contaminazione sentimentale con l'action e il thriller - già fortemente dominante nella sua opera precedente - è divenuto uno dei marchi di fabbrica del Cinema del regista parigino, che sembrava aver trovato una formula vincente e caratteristica.

 

 

[Nikita è il primo, vero, personaggio iconico della carriera di Luc Besson: Dogman ne è debitore]

 

 

Nell'ultimo decennio la necessità di ricalibrare in un contesto moderno i suoi elementi tipici è stata riproposta in Lucy e Anna: quest'ultimo sembrava quasi una copia carbone glamour di Nikita, ma il messaggio sulla sua volontà di ritorno alle origini era arrivato chiaro agli spettatori. 

 

Eccolo, dunque, giungere a Dogman: un film dai tanti volti, uno dei quali è indiscutibilmente thriller

L'opera è costruita secondo una struttura che chiaramente insegue sensazioni di impatto sin dall'apertura, quando lo spettatore può solo intravedere lo straordinario Caleb Landry Jones protagonista del film, travestito da donna, all'interno di un furgone che trasporta decine di cani ed è portato a farsi mille domande sulla natura del personaggio.

Lungo lo svolgimento della pellicola Besson non si fa problemi ad attingere a un vasto repertorio di generi - dal gangster movie all'heist movie, passando anche per il revenge movie - sempre con l'intento di tenere vive le palpitazioni: Dogman sembra vivere di un patto con il proprio pubblico, quello dell'intrattenimento a ogni costo. 

 

Un patto che lo rende senz'altro sbilanciato e tumultuoso, ma che ci racconta tanto della natura di un regista che dopo quarant'anni di carriera non ha intenzione di perdere la propria coerenza e il proprio feeling con gli spettatori

 

 

[Dogman rinverdisce, sin dall'incipit, una lunga tradizione di personaggi bessoniani dediti ai travestimenti]

 

 

Formazioni ed evoluzioni 

 

Accanto alla padronanza del ritmo dell'opera e delle emozioni generate, c'è però un altro elemento che ha sempre contraddistinto il Cinema di Besson: la capacità di raccontare storie di formazione, possibilmente generate da un grande evento traumatico. 

A seguito di Nikita, in cui la parabola della protagonista arrivava in epoca adulta a seguito del suo passato da tossicodipendente, Besson si è sempre più spostato verso personaggi giovani, nel pieno della formazione della loro visione del mondo. 

 

L'etica del killer a pagamento di Léon/Jean Reno entra dunque a gamba tesa nella vita della piccola Mathilda/Natalie Portman e ne sconvolge l'esistenza, così come la prospettiva del giovane protagonista di Dogman è incardinata su una dolente presa di coscienza: nessuno lo amerà mai quanto i suoi cani. 

 

Doug sembra essere un po' la crasi tra i due: si tratta di un criminale con un codice etico, cresciuto senza genitori e senza un posto nel mondo.

 

 

[Il Doug di Dogman condivide l'etica di Léon e il percorso formativo di Matilda]

 

 

Non è però finita qui: Doug percorre un ulteriore momento di formazione, ovvero l'ingresso nella crew di un locale che propone drag show. 

 

Entrare in una simile comunità gli permette di sentirsi accettato, apprezzato e completare la sua formazione umana, costruendo per lui una comfort zone che - guarda caso - verrà sconvolta proprio dall'incontro con un poliziotto corrotto, come nella più classica tradizione bessoniana. La trasformazione fisica come metafora di crescita e ricerca del proprio posto, dunque, torna a fare capolino in un'opera del regista parigino, all'interno di una filmografia che sembra essere modulata dallo stesso senso di ricerca, metamorfosi e sperimentazione. 

 

Osservando la parabola artistica di Luc Besson è quasi possibile scorgere lo stesso trasformismo dei suoi personaggi: passare nel momento di massimo successo a una fase di inquietudine stilistica che attraversa il kitsch autoironico de Il quinto elemento, un'aggressiva rilettura di Giovanna d'Arco e uno sperticato pastiche di omaggi come Angel-A è segno di una smodata curiosità, la stessa fame di vita cinematografica propria dei suoi personaggi più famosi. 

 

Non è un caso che prima di ritornare a cercare un contatto con gli elementi più tipici del suo Cinema, Besson abbia scelto di mutare ancora, dirigendo un biopic come The Lady - L'amore per la libertà e la successiva gangster comedy Cose nostre - Malavita: ogni film è un nuovo tentativo di auto-affermazione, di perfezionamento. 

 

Sotto quest'ottica non si può di certo biasimarne la logica: se proprio bisogna fallire, almeno è possibile farlo in un modo spettacolare e divertente per il suo pubblico.

 

 

[A Dogman manca un cattivo di grande impatto paragonabile al Norman Stansfield di Léon, ma l'opera sfrutta alcune trovate giocose per sopperire a questa mancanza]

 


Uno sguardo infantile

 

Lungo tutta la sua carriera Luc Besson non ha mai perso una certa purezza nello sguardo, che lo ha sempre portato vicino ai più giovani.

Dogman non potrebbe neanche esistere senza il suo grande amore per gli animali.

 

Sin dal suo Le Grand Bleu, film diretto subito dopo il successo di Subway, il regista francese ha dimostrato di pretendere maggiormente verso un'idea di Cinema inclusiva, che abbracciasse con agevolezza tante sensibilità diverse. Essere riuscito a fare un film di gran successo su quella che era la sua vera passione giovanile - è noto che il giovane Luc volesse diventare un biologo marino per il suo amore per i delfini - deve averne segnato indiscutibilmente i propositi. 

Dai tempi di quel film sognante, così disequilibrato nella rappresentazione dei suoi personaggi e così attento nel voler trasmettere la purezza delle sensazioni vissute in mare dagli stessi, Besson non ha mai abbandonato l'ambizione di voler raggiungere tutte le fasce demografiche con le sue opere. 

 

Il suo Dogman si tinge di passioni, per il teatro e per la musica ad esempio, ma lo fa a un livello che sia immediatamente d'interesse per i più piccoli: William Shakespeare ed Edith Piaf sono porte d'ingresso riconoscibili per due mondi complessi e per lo spettatore più giovane imboccarle è un passo decisamente più semplice.

 

 

[Le Grand Bleu ha mostrato al grande pubblico l'amore di Besson per il Cinema per ragazzi e per gli animali, ben 35 anni prima di Dogman]
 

 

L'ambizione di giungere a un pubblico giovane ed entusiasta era già stata sdoganata a partire dalla metà degli anni 2000.

 

In quel periodo Luc Besson portò nei cinema di tutto il mondo dapprima la sua trilogia partita con Arthur e il popolo dei Minimei, poi Adèle e l'enigma del faraone e infine Valerian e la città dei mille pianeti: cinque film che ci parlano dell'eterna fanciullezza di un regista, cinque storie di trasformazione, crescita e relazione con il mondo esterno. 

Il regista si è formato attraverso la lettura dei fumetti e proprio la serie Valérian e Laureline agenti spazio-temporali gli aveva dato una ragione per provare a costruire mondi tutti suoi. 

 

Che un cineasta con un simile background dovesse confrontarsi con adattamenti di fumetti risultava quasi uno snodo obbligato a un certo punto della sua carriera: anche il suo ultimo lavoro deve tanto ai cinecomic di più disparata natura, com'è ovvio che sia, ma se possibile ne estremizza i caratteri. 

Dogman, abbandonando quasi ogni velleità di realismo, non può che vivere anche di sensazioni da Cinema per ragazzi: il rapporto tra Doug e i suoi cani è dolcissimo, questi ultimi si comportano come fossero degli assistenti devoti, dei piccoli elfi di un Babbo Natale un po' sinistro, che cerca di regalare serenità a chi è stato gentile con lui attraverso delle azioni di rappresaglia.

 

Per estremizzare questo concetto Besson non si fa problemi a inserire nel suo film momenti puramente slapstick, trasformando lo scontro decisivo dell'opera in una sorta di riedizione dello scontro tra Kevin McCallister e i ladri che cercano di invaderne la casa in Mamma, ho perso l'aereo: una scelta anti-drammatica, che sembra poter comunicare tanto sull'istinto giocoso del regista. 

 

  

[Da Le Grand Bleu a Dogman: un fil rouge che unisce tutti i film di Luc Besson]

 

 

Con la sua composizione complessa, i suoi eccessi e i suoi picchi emotivi, Dogman è un distillato di tutto ciò che Luc Besson ha apportato nel panorama mondiale per oltre 40 anni. 

 

L'essenza più pura di un regista eternamente bambino, che ama portare i suoi spettatori sulle montagne russe offerte da un Cinema dai tanti volti e dalle grandi ambizioni. 

 

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