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Felicità - Recensione: la fragilità di una generazione allo sbando

Vincitore del Premio degli spettatori a Venezia 80, l'esordio alla regia di Micaela Ramazzotti è il ritratto sincero di una società incapace di fare i conti con il proprio dolore

Felicità racconta la storia di una famiglia disfunzionale, o "storta", come la definisce la stessa regista, in cui due genitori disonesti e manipolatori abusano delle insicurezze dei figli, prima spingendoli verso il baratro della disperazione e poi rifiutandone ogni responsabilità.

 

[Il trailer di Felicità, diretto da Micaela Ramazzotti]

 

 

La protagonista Desiré (con l'accento), interpretata dalla stessa Micaela Ramazzotti, è una parrucchiera dolce e ingenua che lavora sui set cinematografici, dove riesce a stento a sottrarsi alle continue molestie degli addetti ai lavori. 

 

Il compagno Bruno (Sergio Rubini), è un professore universitario di mezz'età che si atteggia a intellettuale borghese e non perde occasione di sminuirla e umiliarla, accusandola di essere troppo sprovveduta e disponibile nei confronti di chiunque.

A infastidire Bruno è soprattutto il modo in cui Desiré si mostra permissiva nei confronti della famiglia: suo padre Max (Max Tortora) è un baby pensionato, sguaiato e razzista, che per inseguire l'irragionevole sogno di diventare showman non esita ad estorcere denaro ai figli e a lasciarli nelle mani degli strozzini; la madre (Anna Galiena) meschina e superficiale, vede nell'allontanamento di Desiré una forma di tradimento e per questo cerca di controllare in maniera ossessiva la vita degli altri. 

 

Quando il fratello Claudio (Matteo Olivetti), emotivamente fragile, crolla sotto il peso della depressione, Desiré non si scompone, si fa carico delle sue insicurezze e lo supporta nel percorso di riabilitazione psichiatrica, pur dovendo affrontare la reticenza dei genitori che considerano la malattia mentale un'inezia da ragazzi.

 

Del resto, si sa, in passato disturbi del genere non c'erano perché ci si dava da fare: "ai tempi miei 'ste stronzate non esistevano", tuona Max, mentre rinfaccia ai figli di aver fatto tutto per loro e non aver ricevuto nulla in cambio. 

Il personaggio non è altro che lo specchio di una generazione troppo impegnata a giudicare per rendersi conto che problemi che affliggono i figli sono in gran parte causa loro.

Ma guai anche solo a pensarlo.

 

I problemi sono altri e la cosa migliore da fare è imputarne la colpa a qualcosa di esterno, di diverso, per poi voltarsi dall'altra parte e ignorare.

 

 

[Da sinistra Matteo Olivetti, Anna Galiena, Micaela Ramazzotti e Max Tortora in una scena di Felicità]

 

Affrontare un problema vuol dire ammettere che esista e nessuno dei personaggi di Felicità è pronto a questo. 

 

È più conveniente stordirsi con le gocce, con l'alcol, con il sesso e continuare a vivere nella menzogna, pensando che cedere a un ricatto o dimenticare un torto subito sia il giusto compromesso per realizzare i propri sogni. 

Invece, quella felicità tanto desiderata che Desiré pensava di poter raggiungere comprando un casale in campagna per allontanarsi dagli orrori del passato, passa attraverso l'altro, attraverso chi più ama: Claudio. 

Nel volto scavato del giovane, infatti, la protagonista vede il riscatto da una vita di violenza e prevaricazione. Solo sapendo Claudio realizzato, Desiré potrà dire di essere appagata.

 

Tutta questa frenesia nella vita dei personaggi si sviluppa in completa antitesi con il ritmo lento, dolce e malinconico della storia. 

In Felicità la tensione cresce gradualmente e quella che si era aperta come una commedia grottesca raggiunge, infine, i toni della tragedia, il cui centro è il rapporto tra i due fratelli: tenero, salvifico. 

Relazioni tossiche, depressione, dipendenza. 

Visti i temi che il film sceglie di trattare, sarebbe stato molto facile cadere nel cliché di raccontare le difficoltà della vita di periferia o la povertà culturale di certi ceti popolari. Al contrario, il film si concentra sulle persone, sulle loro personalità complesse, brillanti e vivaci, senza perdersi in riflessioni retoriche o paternali inutili.

 

Micaela Ramazzotti confeziona con Felicità un film delicato, ma capace di scuotere il pubblico; lo fa con umiltà, puntando tutto sulla costruzione dei personaggi e sull'universalità della storia.

 

Un esordio a mio avviso notevole, a cui va riconosciuto il giusto merito.

 

[articolo a cura di Valentino Ciotoli]

 

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