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Priscilla - Recensione: tieni acceso il focolare domestico - Venezia 2023

Il biopic su Priscilla, moglie di Elvis, porta una ventata di freschezza in A24, raccontando la prigionia di una donna lasciata a casa da un mito della Storia della musica

In questa 80ª Mostra del Cinema di Venezia popolatissima di Cinema biografico arriva la nuova creatura nata dall’incontro tra A24 e Sofia CoppolaPriscilla. 

 

Il film racconta la figura di Priscilla Presley, ovvero la giovanissima moglie di Elvis: perfetto controcampo della recente opera incentrata sul Re del Rock 'n' Roll. 

 

[Il trailer internazionale di Priscilla]

 

 

A distanza di pochi mesi dalla descrizione a mio avviso kitsch ed esagerata di Baz Luhrmann, l'opera della regista statunitense non guarda più alla carriera e alla dimensione interiore della rockstar di Memphis, ma si concentra sulle ceneri attorno a un fuoco così alto e divampante da non poter non lasciare tracce su coloro che lo hanno sfiorato.

 

Priscilla (Cailee Spaeny), che incontrò ancora sedicenne Elvis (Jacob Elordi) durante il suo periodo nell’esercito in un campo militare in cui si era trasferita con la famiglia, si ritrova sin da subito immischiata in un amore atipico e non consumato. 

Tra i due scocca la scintilla: lei vede un mito interessarsi a una giovane sola e lontana da casa, mentre lui vede la purezza dell’innocenza e della quotidianità familiare ormai persa da tempo a causa della notorietà.

Una storia destinata a disvelare ben presto le necessità troppo diverse tra loro, che inizia con una lunga attesa e tanti rapporti mancati, il ritorno in patria di Elvis con la promessa di aspettarsi porta Priscilla a trasformarsi in una Penelope senza tela, bloccata nella casa paterna. 

 

Se però la moglie di Ulisse era una donna adulta che sceglieva la propria battaglia, la giovane non ancora diplomata si ritrova irretita dalle buone maniere e dalle attenzioni di un divo planetario che la conduce in un talamo senza passione, in una relazione senza sesso e in una coppia senza equilibrio, in cui è vista come solo ricordo della madre di Elvis.

 

 

[La giovanissima Priscilla in una delle sue lunghe attese]

 

 

Un destino che non cambierà, tra un uomo sempre in tour o con il seguito di amici e una donna a cui lui stesso ripete spesso di “rimanere a tenere acceso il focolare domestico” mentre lui è lontano. 

 

Priscilla vorrebbe vivere l’amore che legge sui rotocalchi tra il Re e le svariate star incontrate nella sua parabola a Hollywood, li sfoglia compulsivamente e rabbiosamente, più che per reale gelosia per la rabbia di qualcosa che aveva sognato, ma non ha sostanzialmente mai avuto. 

Sofia Coppola, prima donna in concorso fino a ora, costruisce un film in cui tutto è estremamente legato e aderente ai concetti che cerca di portare allo spettatore: non vediamo una lunga trattazione biografica della carriera di Elvis o le altre persone della loro vita, ma solo loro due e la tossicità del loro amore castrato, mancato e deluso. 

 

Priscilla si muove quindi lungo pochi momenti sparsi negli anni, come i pochi incontri di una relazione rarefatta e intervallata da tournée, riprese e altre pause che acuiscono ancora di più il peso dei rapporti sessuali mancati, dell’abuso di farmaci che Elvis instilla nella giovane donna e della violenza degli scontri in cui le differenti aspettative si palesano.

  

 

[Priscilla ed Elvis in uno dei pochi momenti in cui la dimensione familiare e quella pubblica si mischiano, ovviamente nella sua Las Vegas]

 

 

Priscilla è una Penelope in costante preparazione.

 

Non a caso il film si apre su Priscilla che si trucca, nella lunga attesa del ritorno a casa del suo Re che quando arriva è sempre meno luccicante, amorevole e perfetto di come viene rappresentato nella sua immagine pubblica: sono pochi i momenti televisivi e musicali in cui Elvis viene mostrato, ma è fondamentale l’uso dei rotocalchi, quanto di più patinato e fasullo possa rappresentare una personaggio noto. 

 

La discrasia tra questi due Elvis, oltre a rientrare perfettamente in un concorso in cui troviamo già Maestro e Ferrari che parlano della stessa dualità, ci racconta così della violenza emotiva e dell’egoismo di un uomo che sa di non poter dare amore o presenza, ma che comunque chiede cieca e immobile lealtà a una bambina, con la sola colpa di ricordargli un passato senza preoccupazioni, dipendenze e notorietà. 

Tutto questo non si muove solo a livello tematico-narrativo, ma passa soprattutto su un impianto visivo che trasmette immediamente la triste clausura attraverso una scelta cromatica estremamente contrastata, con luci spesso bruciate e neri profondi, con i colori spogliati di ogni brillantezza: l’immagine di una prigionia che può sembrare luminosa e ricca, ma che in realtà è cupa e deprimente come ogni altra privazione violenta di libertà.

Un viaggio all’interno della perdizione, buio e asfissiante per Priscilla che appena sedicenne e completamente devota a uno dei suoi miti si lascia trasportare all’interno di una vuota vita borghese, tra pillole per dormire o per restare svegli e tanta noia. 

 

Elvis è solo un’ombra come tante altre in una casa vuota, proibita e intoccabile in cui Priscilla si muove con la delicatezza e la paura di chi sa di non essere al proprio posto: un fantasma che riecheggia nella splendida colonna sonora fatta della non-voce del Re: pezzi riarrangiatati del suo repertorio, in una versione fatta di lunghe pause - come quelle che vive la moglie in attesa - tra le note lasciate sospese una lontana dall'altra, in cui serve qualche secondo di troppo prima di riconoscere l’uomo amato che proprio non assomiglia al mito visto in TV e sentito in radio. 

 

 

[Il matrimonio tardivo tra Priscilla e Elvis, come la maternità non riempie il vuoto troppo grande lasciato dall'attesa del Re]

 

 

Attraverso varie sequenze di montaggio e momenti di vuota e noiosa quotidianità Sofia Coppola costruisce un’opera in cui il tempo in attesa e il suo scorrere sono protagonisti. 

 

I montaggi serrati dei riti di preparazione di Priscilla e delle sue giornate a Graceland, presenti soprattutto nel primo atto del film, vengono poco alla volta soppiantati dalle lunghe pause in cui perdersi nelle sbarre di una prigione dorata; questi momenti sono la vera forza del film che riesce a trasmettere allo stesso tempo attesa, ripetitività, trepidazione e speranze mancate. 

 

Se un film come Spencer sceglieva di raccontare questa gabbia attraverso toni ed emozioni forti da film horror, Priscilla sceglie di muoversi su un piano più rabbioso e a lunga combustione: gli sguardi delle orde di uomini in casa Presley diventano sempre più invadenti, l’impossibilità di accettare un rapporto mancato sempre più impellente e le reazioni possessive e tossiche di Elvis sempre più violente. 

 

In questo la regista ci racconta di uno sguardo verso l’innocenza del Re di Memphis sempre più castrato e invidioso per cui Priscilla, da riflesso di un passato felice da preservare nella sua purezza, diventa presto il monito del degrado in cui è finito, come se ogni suo innocente sguardo urlasse quanto a fondo stia scavando la fossa in cui è finito.

 

 

[Le lunghe e fondamentali preparazioni, durante le attese, di Priscilla]

 

 

I due coniugi sono infatti due prigionieri incapaci di aiutarsi, ognuno con i propri carcerieri (da un lato il Colonnello per, dall’altro Elvis per Priscilla) e le proprie libertà negate, ma se la debolezza e la paura della star sono la causa della sua autocastrazione, per la giovane tutto deriva dalle aspettative, dalla visione del mondo del marito e da un rapporto di dipendenza e di sudditanza creato ad hoc per tenerla segregata. 

 

Una visione retrograda e possessiva di un uomo che “Doesn’t want to play with men” e che vuole una donna che pensi al focolare, alla figlia e che sappia stare sullo sfondo con vestitini non troppo appariscenti, mentre lui continua a essere al centro della scena: una donna che deve attenderlo perché lui vuole sapere di poterla trovare ogni volta che vuole. 

 

Priscilla è film che riesce a raccontare la tossicità di una relazione, la violenza emotiva di un uomo possessivo perfettamente e che sfrutta i meccanismi che si instaurano in questa situazione per decostruire le attese e le speranze mancate di una donna prigioniera: un'opera tra le più interessanti degli ultimi anni per Sofia Coppola, che riesce a portare in casa A24 una ventata di freschezza per nulla scontata. 

 

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