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Anatomia di una caduta si propone come uno dei film più interessanti della selezione di Cannes 76.
Lo fa grazie all’abilità di Justine Triet, regista e sceneggiatrice a quattro mani con Arthur Harari, di giocare con il ritmo, la narrazione e le aspettative sollevate dal film.
Quello che ci viene raccontato in Anatomia di una caduta è un caso di cronaca da telegiornale nazionale: Sandra (Sandra Hüller), famosa scrittrice, viene accusata dell’omicidio del marito Samuel (Samuel Theis), animo artistico inespresso, trovato morto in circostanze ambigue dal figlio Daniel (Milo Machado Graner), la cui vista è rimasta danneggiata dopo un incidente.
[Anatomia di una caduta offre anche straordinarie interpretazioni]
Anatomia di una caduta si apre a casa di Sandra, cuore della vicenda dove tutto ha origine: a partire dagli umori protagonisti dell'anatomia, scientifica ed emotiva, degli eventi.
Sandra viene intervistata. Dalla mansarda esplode a tutto volume il brano rap P.I.M.P. di 50 Cent, in loop.
Il dialogo è brillante, una delle costanti del film, e ci offre un primo sguardo a una maschera dai molti volti, spesso ambigui.
Gli elementi del primo atto di Anatomia di una caduta sono come quelli di un giallo, suggerendo allo spettatore che il suo punto di vista seguirà l'autrice e il piccolo Daniel lungo lo snodarsi della risoluzione del mistero dietro la morte di Samuel.
Il setting è perfetto: siamo in un paesello fuori Grenoble, in una baita da cartolina avvolta nella neve e parte del classico contesto rurale da studio delle piccole comunità: la cultura del sospetto della provincia che riverbera lungo una nazione il prurito della speculazione, la circostanza del “salutava sempre”, il bisogno di innescare la macchina del gossip, morbosa e nutrita da miti e fatti di circostanza, arma del delitto perfetto per fare a pezzi, senza discrezione, l'accusata.
Non è così.
Anatomia di una caduta non è un processo alle intenzioni del popolo, non ci confrontiamo con le bigotterie del borgo cattive e gratuite, veniamo lasciati soli con i protagonisti per assitere a tutto ciò che solitamente ci è precluso.
Sulla scena non arriva un Hercule Poirot di Grenoble, ma un avvocato (Swann Arlaud) e da quel momento in avanti si aprono altri punti di vista: le telecamere dei media e quelle degli interrogatori della polizia, le ricostruzioni della scientifica, la verità del piccolo Daniel e infine il processo.
Anatomia di una caduta si sposta nell'aula di un tribunale e cambia nuovamente tono, torna la scrittura brillante.
L'avvocato dell'accusa è un personaggio senza nome scritto con intellgenza, protagonista di uscite sardoniche, sagace e maschera che non ci è antipatica, ma parte di un ragionevole dubbio: Sandra potrebbe avere ucciso il marito che tanto amava.
[Anatomia di una caduta è pregevole proprio nella gestione dei punti di vista]
Inizia l'anatomia del matrimonio, il processo alle intenzioni della scrittrice e delle sue parole, sia quelle della finzione sia della realtà.
Il figlio Daniel diventa protagonista e il suo sguardo innocente è acuto e prezioso, l'altro cuore della vicenda che porta nel processo sentimenti e angoli inediti per l'accusa, la difesa, i giurati, gli imputati e noi, seduti in sala, sileziosi e invisibili come la giuria del film.
Anatomia di una caduta ci offre il consulto degli esperti e l'oposizione alle loro verità, le argomentazioni degli avvocati, ma in particolare alle dinamiche di coppia che hanno portato alla morte di Samuel.
L'arte imita la vita.
Il dubbio è che Sandra possa essere una narcisista fredda, psicologicamente abusiva verso un uomo dall'animo buono. Oppure l'arte è arte e la vita è solo d'ispirazione e i narcisisti borderline sono solo ladri, resi più creativi dalle idee dell'arte.
Forse Samuel era solo un uomo particolarmente fragile opposto a una persona risoluta, magari anche sbagliata per lui, e la sua morte è il risultato di un gesto insano, quell'inganno che la nostra mente, quando si piega un po' troppo, arriva a suggerire come unica via d'uscita.
Anatomia di una caduta si sposta.
Insinua continui dubbi senza giudicare e nello sfruttare soluzioni così armoniose per navigare i differenti sguardi sulla vicenda, sembra metodico e preciso proprio come la mano di un anatomopatologo che esegue la sua autopsia, sezionando il corpo sul tavolo con cura e precisione.
Quello che colpisce sono i cambi di passo della sceneggiatura e della messa in scena: così oculata nella gestione dei ritmo del processo eppure così onesta e accorata nei rapporti umani e capace di contaminare la razionalità dei pareri esperti con l'umanità della storia e, in questo caso, con i ragionevoli dubbi delle dinamiche personali che spengono le visioni periferiche di chi guarda da fuori e si definisce esperto.
A non avere grazia e giusto riguardo c'è anche il nostro occhio indiscreto che grazie alla regia ci fa sbirciare l'imputata messa a nudo alla sbarra, concedendoci un corpo e una soggettiva carica di sospetti.
I sentimenti dei personaggi si accartocciano e si sfogano dal banco dei testimoni. Gli avvocati incalzano.
Il giudice cerca di gestire un processo che di seduta in seduta le sfugge di mano e la lascia a bocca aperta, perché quello di Anatomia di una caduta è un pretesto per mettere sotto esame un rapporto di coppia, guardare a quanto ci si può sentire soli nella scatola della propria mente, quanto sia logorante il senso di colpa e come le aulee della giustizia siano spesso una elaborata formalità utile a provare la nostra versione preferita dei fatti.
Perché per il dibattito pubblico, come per noi seduti in sala, i processi e i fatti di cronaca sono storie come altre.
Da queste ci aspettiamo la perversione, la morbosità e l'arte che una fine penna, o una mente un po' annoiata, ricava con molto mestiere dalla vita.
Anatomia di una caduta ci dice che a noi della verità, soprattutto quando è poco affascinante, importa poco.
CineFacts segue tantissimi festival cinematografici e non potevamo certo mancare a quello più importante del mondo!
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