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Black Flies è il terzo lungometraggio del regista parigino Jean-Stéphane Sauvaire ed è la terza volta che l'autore presenta il proprio film al Festival del Cinema di Cannes.
Un habitué della kermesse che, forse, ha dato per scontato che il proprio nome e il proprio breve curriculum fossero sufficienti a meritarsi un posto nella selezione ufficiale, senza quindi sentire addosso la pressione del doversi impegnare per realizzare un'opera che potesse davvero stare in mezzo alle altre a Cannes 2023.
Peccato che, a mio avviso, il film non meriti di stare qui.
Mi chiedo anzi cosa abbiano visto in Black Flies il presidente Thierry Frémaux e gli altri selezionatori.
[Una clip di Black Flies]
Black Flies racconta la storia di due paramedici che lavorano soprattutto di notte in una delle peggiori zone di New York, dove la violenza, le sparatorie e le persone da salvare fanno parte della quotidianità.
Ollie Cross (Tye Sheridan) è il novellino che sta ancora studiando per diventare medico e che non riesce a gestire il frullatore di sangue e umanità all'interno del quale viene lanciato tutte le notti, dovendo anche subire del nonnismo da parte di chi ha più esperienza di lui, Gene Rutkovsky (Sean Penn) è invece il navigato paramedico che le ha viste tutte e che quindi le vive con maggiore distacco e cinismo, con una vita privata che non smette di andare a rotoli e l'espressione di chi non si fa scalfire neanche da un uragano.
Se le premesse vi ricordano qualcosa è perché di storie simili ne abbiamo già viste tante e purtroppo Black Flies non porta nulla di nuovo sul campo: il film a mio avviso ha dei meriti dal punto di vista tecnico, soprattutto dal lato della gestione del sonoro e del montaggio, con qualche idea interessante dal punto di vista della fotografia, quasi obbligata a muoversi tra i lampeggianti e i neon della "città che non dorme mai" e impegnata a mostrarci in maniera a tratti insopportabile la materia organica di cui siamo fatti con i tessuti, il sangue, il dolore e le urla.
Ma oltre a ciò non ho trovato altro: dopo i primi minuti Black Flies scivola velocemente nel già visto muovendosi all'interno di una bolla anni '90 che fa rimpiangere il sottovalutato - secondo me - Al di là della vita di Martin Scorsese; al posto degli allucinati Nicolas Cage e Tom Sizemore qui ci sono Sean Penn e Tye Sheridan, che non riescono mai a dare l'idea di legare tra loro o di provare ad allontanarsi da ciò che ci si aspetta dai loro personaggi.
Entrambi gli interpreti usano il mestiere - Penn soprattutto, con la sua espressione accartocciata e insonne - ma la sceneggiatura li comprime in una gabbia che prevede la solita incapacità di conciliare il lavoro con la vita privata e i soliti scontri con i colleghi meno empatici.
Un film annoiato e stanco, prevedibile e nato vecchio, che non si sposta dai granitici cliché e dagli stereotipi del sottogenere "medical" con l'anziano e il rookie, facendoci viaggiare nella notte sulle ambulanze solo per poterci mostrare ogni volta un orrore più esplicito e sanguinolento di quello precedente, come se fosse obbligatorio accelerare sulla rappresentazione del dolore senza preoccuparsi di trasmettere l'emozione di chi lo prova, ma semplicemente limitandosi a filmarlo per scandalizzare.
Il film vorrebbe far conoscere le complicate condizioni psicologiche dei paramedici che ogni notte hanno a che fare con l'orrore e che raramente si sentono dire "grazie", qualcosa che li porta spesso a prendere decisioni definitive sulla propria vita.
Il messaggio è senz'altro meritevole, ma il modo in cui il film prova a veicolarlo è secondo me del tutto scomposto.
Se fossi perfido penserei che i natali del regista e i suoi film precedenti abbiano avuto un certo peso sulla scelta di inserire Black Flies in competizione al Festival di Cannes 2023.
Ma non lo sono così tanto.
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