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Strade perdute: cavalcando selvaggi su strade perdute

Al cinema ritorna Strade perdute in una straordinaria versione restaurata in 4K ed è un'occasione perfetta per raccontarvi genesi e retroscena del neo-noir surrealista di David Lynch

Strade perdute è uno dei film più affascinanti della filmografia di David Lynch e contestualmente uno dei neo-noir più folgoranti della Storia del Cinema.

 

È una di quelle opere che tormentano lo spettatore durante e dopo la visione, sedimentando grazie al fascino del mistero di un racconto noir che muta in qualcosa di enigmatico, spaventoso e sensuale. 

 

Se guardiamo ai dieci film che compongono a oggi la filmografia del regista del Montana, possiamo notare che ha dedicato tre film al neo-noir: Velluto blu (1986), Strade perdute (1997) e Mulholland Drive (2001).

Una sorta di trilogia spirituale lungo la quale Lynch ha evoluto la propria poetica, partendo da un’interpretazione più classica per passare poi ai toni surrealisti dei lavori successivi.  

 

Per parlare delle caratteristiche di Strade perdute è necessario guardare al noir e alle sue caratteristiche, ma anche a come David Lynch è arrivato a concepire il film.   

 

 

 

La genesi di Strade perdute e la sua gestazione  

 

Nel 1991 David Lynch gira Fuoco cammina con me, lo splendido film di Twin Peaks che porta il vasto pubblico della TV a vedere un film di David Lynch al cinema per fargli scoprire che non è cosa sua. 

 

Il film è sfrontato come la TV non avrebbe potuto mai essere, un horror psicologico che trascina lo spettatore nei terrificanti ultimi giorni di vita di Laura Palmer condendoli di sesso, droga e abusi di ogni sorta.

Al pubblico non piace e Lynch starà lontano dai set per diversi anni.  

Tuttavia, una delle idee alla base di Strade perdute nasce proprio durante la produzione di Fuoco cammina con me. 

 

Lynch sta guidando la sua macchina verso casa dopo l’ennesima giornata di riprese: è notte e al regista viene in mente un'idea in merito a delle videocassette disturbanti consegnate a una coppia in crisi. 

Non c’è ancora un film, ma è qualcosa da tenere in considerazione: sarà poi uno degli elementi più raccapriccianti di Strade perdute e del suo surrealismo.  

 

Nel 1992 Lynch opziona il romanzo Gente di notte di Barry Gifford, con cui aveva già collaborato per l’adattamento di Cuore selvaggio e al quale aveva promesso che un giorno avrebbero scritto un film originale insieme.

Nel libro c’è un passaggio che colpisce Lynch: “Non siamo nient’altro che due Apache, cavalcando selvaggi su strade perdute.” 

 

In quella breve frase c’è qualcosa di evocativo e potente che diventa il carburante per scrivere qualcosa di nuovo e originale.

 

 


 

Siamo nel 1995 e Lynch ripesca l’idea delle videocassette, ma è anche affascinato dal caso di O.J. Simpson: è incredulo nel vedere con quale nonchalance un uomo accusato dell’omicidio della moglie spenda serenamente del tempo a giocare a golf. 

 

Scavando trova nella fuga psicogena un concept perfetto: un raro disturbo che si può manifestare in seguito a un trauma molto forte e che produce uno stato di coscienza alterato, una sorta di difesa per allontanare il soggetto dal trauma, fino a trasformare la persona in qualcun altro. 

Tuttavia non c’è solo questo. 

 

Una delle scene più iconiche del film, il momento “Dick Laurent è morto”, è tratto da un fatto accaduto davvero allo stesso Lynch quando un giorno, rispondendo al citofono, si sentì dire proprio quella frase.

Andando verso una finestra per vedere con chi stesse parlando, fuori non vide nessuno. 

 

Un momento di pura tensione e raggelante paura creato probabilmente da uno sbadato visitatore del quartiere con poco buon senso, che portò Lynch a cercare di riprodurre fedelmente quella situazione, spingendolo a comprare una casa a buon mercato sulle Hollywood Hills, che diventerà uno dei set di Strade perdute.   

 

Se vi sembra eccessivo, cercate di contestualizzare la produzione di Strade perdute con uno dei momenti cruciali per la carriera di David Lynch; il flop di Fuoco cammina con me ha donato al regista una ritrovata consapevolezza artistica. 

Guardando la sua storia i flop sembrano quasi avere l’effetto di un tonico creativo.  

Prima di girare Velluto blu Lynch si era schiantato come l'Hindenburg contro il fragoroso tonfo di Dune

 

Da quell’esperienza ha imparato a non scendere a compromessi riguardo il final cut, assicurandosi di rimanere in controllo della sua visione dall’inizio alla fine.   

 

 

 

 

Il flop di Fuoco cammina con me sembra l’ultimo centimetro di una candela che brucia da due estremità. 

 

Il suo Twin Peaks ha rivoluzionato la televisione e ha portato il regista a divenire uno dei personaggi pop degli anni ‘90, con nel mezzo lo straordinario Cuore selvaggio che gli valse la Palma d’oro al Festival di Cannes 1990; la stessa Cannes che due anni dopo storse il naso per il suo film su Twin Peaks.  

Al tempo stesso il regista era stato ucciso dai meccanismi di un mezzo estremamente limitato come era quello TV, incapace di comprendere gli evoluti meccanismi orizzontali della storia che volevano raccontare David Lynch e Mark Frost

 

In una manciata di anni il cineasta di Missoula passò dalla fama al ritiro artistico, per riprendere fiato dalle pressanti attenzioni che comporta essere una star a Hollywood. 

 

Lynch si trova in un sistema produttivo che richiede quasi esclusivamente intrattenimento e che sta volando verso Matrix e i blockbuster sempre più ambiziosi, ma il suo credo è quello imparato leggendo The Art Spirit, libro d'arte di Robert Henri che lo ha istruito riguardo la vita artistica introducendolo al principio per il quale l'artista deve potersi esprimere completamente, perseguendo il suo obiettivo. 

Non è una questione di soldi, di fama o di successo: si tratta di rimanere fedeli a se stessi.  

 

Lynch è cresciuto infinitamente nella gestione del set, degli attori e delle sue risorse e durante le riprese di Strade perdute si affida sempre più al suo istinto, al suo estro e al suo carattere. Indicativa di questa ritrovata saggezza zen produttiva è la ricorrente immagine dell’esplosione di un capanno che - sorpresa! - non era in sceneggiatura. 

 

Quando Patricia Norris, production designer di Strade perdute, informò Lynch che quel capanno sarebbe stato smontato il giorno dopo questo le chiese “Possiamo farlo saltare in aria?”.

 

Molti non sanno che David Lynch è un tecnico formidabile, sia sul set che in post produzione, e lavorando alla fotografia con Peter Deming ripesca il concetto di oscurità assoluta di Eraserhead.

 

I neri sono inchiostro, la luce è accecante e brillante e alcune delle scene più iconiche del film vivono di queste scelte: la corsa in macchina nel deserto illuminato soltanto dai fari dell’auto e la scena di sesso, quasi angelica, di fronte ai fanali della stessa sono solo due esempi. 

 

 

 

 

Finite le riprese di Strade perdute Lynch si chiude in una post produzione lunga circa sei mesi e a 50 anni mostra ancora una volta il suo sguardo aperto e moderno: la colonnna sonora di Strade perdute prodotta da Trent Reznor include una cover di Marilyn Manson (che ha una parte nel film), I’m deranged di David Bowie e due brani dei Rammstein.  

 

Strade perdute è un David Lynch Movie totalmente libero, il primo film di un secondo corso artistico sempre più lontano dagli studios: il film infatti esordisce nei cinema degli Stati Uniti il 21 febbraio 1997, non partecipa a Cannes e non compete per gli Oscar. 

 

A questo punto vi starete chiedendo se il film, considerando l’eredità che porta, è stato un successo al botteghino.

 

Ve lo racconto con questo episodio, sfruttando le parole di Marlon Brando.  

David Lynch è amico dell’attore e spesso a casa sua assieme a Harry Dean Stanton giocano a fare dei siparietti, con i due vestiti da donna mentre prendono il té. 

 

Lynch mostra il film a Brando e questi gli dice: “È un film incredibilmente buono, ma non incasserà niente.” 

Così è stato. 

Lo stesso regista sa benissimo di non aver fatto un “film commerciale”, ma ha ritrovato anche un gran senso dell’umorismo, insieme alla libertà artistica, ovvero quella cosa necessaria per condurre una buona "Art Life", concetto per lui fondamentale. 

 

Tant’è che quando i critici Gene Siskel e Roger Ebert gli danno due pollici versi, Lynch li mette sul poster dell’opera con la didascalia “Due ottime ragioni per vedere Strade perdute.” 

 

 

 

 

Strade perdute  

 

Strade perdute è il terzo flop al box office della carriera di David Lynch, ma se Dune è un film discutibile e con ovvi problemi creati in post produzione, Fuoco cammina con me e Strade perdute sono due opere a mio avviso straordinarie.

 

L’opera va alle radici del noir per scomporne le parti cardine: un protagonista che si addentra in una vicenda misteriosa, la dark lady, dei criminali, il mistero, una trama quasi sconclusionata rispetto al punto di partenza. 

 

Se in Velluto blu Lynch aveva aderito a questa struttura, in Strade perdute sovverte le regole per realizzare un surreale neo-noir grottesco costruito sulla superficie del Nastro di Möebius: una narrazione dove i concetti di principio e fine si perdono, sublimando il concetto di trama sconclusionata, ma lasciando allo spettatore abbastanza elementi per farsi una ragione di cosa stia raccontando il film.

 

Il protagonista ha due volti e ci sono due vicende noir che si avvitano e si sovrappongono: se l’inizio del film sembra mettere in scena cosa accadrebbe se il protagonista di un noir sposasse la sua dark lady, la seconda metà sembra quasi il canonico racconto neo-noir.

Qui diventa interessante il concetto del Nastro di Möebius, perché in entrambi le parti abbiamo la medesima costruzione in continuità di un noir con la discesa del protagonista verso un mistero sempre più fitto, mentre noi spettatori siamo coinvolti come parte attiva nel decifrare il flusso degli eventi.  

 

David Lynch sembra portare con sé da Twin Peaks la voglia - già espressa in altre opere - di intendere il Male attraverso forme universali che appartengono alla sua visione di come si regola l’universo. 

 

In Strade perdute abbiamo uno dei fascinosi, quanto terrificanti, cattivi lynchiani: Robert Loggia e il suo Dick Laurent entrano nell’universo degli uomini geniali ma malvagi, eppure non è lui il motore del Male che permea il mondo nel quale si muove il protagonista.

Così come in Twin Peaks c'è BOB, in Strade perdute c'è l’Uomo misterioso di Robert Blake. 

Una presenza raggelante, un ometto dal volto bianco cadaverico che rappresenta quella voce che trasforma gli uomini in esseri crudeli, un agente cosmico che agisce per conto del Male giocando con il destino del protagonista. 

 

Strade perdute è una straordinaria opera neo-noir, già incredibilmente moderna nel 1997 e che vive del racconto per immagini. 

Un film stupefacente nel suo storytelling, che passa per la messa in scena di ogni sequenza e che se non avete mai visto vi ricorderà (o vi insegnerà) come il mistero, il fascino verso l’ignoto e il dipanarsi dell’intreccio in storie “complesse” che coinvolgono il pubblico non debba passare per dialoghi che spieghino ossessivamente quanto accade sullo schermo.

 

Vi lascerà annichiliti, vi trasfomerà in un secchio da riempire con informazioni senza fascino alcuno.

Strade perdute è rappresentazione del Cinema come forma di narrazione visiva il cui scopo è quello di stuzzicare lo spettatore, di coinvolgerlo, di farlo appassionare agli eventi e renderlo un'Alice persa nella tana del Bianconiglio.   

 

Strade perdute è anche l’ultimo film che vede David Lynch collaborare con Jack Nance, il suo attore feticcio venuto a mancare, ironia della sorte, in circostanze mai chiarite fino in fondo. 

 

Credo che Strade perdute possa essere riassunto dalle parole scritte da Janet Maslin del New York Times: “Un'elaborata allucinazione che non può essere scambiata per il lavoro di qualcun’altro.” 

 

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