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Una delle ragioni che da sempre ha spinto il pubblico ad amare la Settima Arte è che nel Cinema si può trovare conforto rifugiandosi nelle più meravigliose fantasie, si ha la possibilità di esplorare mondi esistenti o fittizi in epoche passate o future, di incontrare esseri reali o di fantasia, tutto stando semplicemente seduti su una poltroncina a pochi chilometri da casa.
L’unico limite è l’immaginazione e numerose opere ce lo hanno dimostrato: tra queste, il film d’animazione La città incantata è un esempio calzante.
Opera diretta dal regista giapponese Hayao Miyazaki, La città incantata è sbarcato al cinema nel 2001 (in Italia nel 2003, distribuito da Mikado Film) contribuendo a scardinare quel fastidioso binomio per cui si tendeva a associare l’animazione a un pubblico di tenera età.
Figura tra le più conosciute nel panorama dell’animazione giapponese e all’epoca arrivato al suo ottavo lungometraggio, Hayao Miyazaki aveva già dimostrato con i suoi precedenti lavori quanto un certo tipo di animazione potesse essere pregno di significati che solo una mente adulta, riflettendo, poteva arrivare a cogliere.
[Il trailer de La città incantata, di Hayao Miyazaki]
Questo è in realtà un po’ il marchio di fabbrica dello Studio Ghibli, la casa di produzione fondata nel 1985 da Miyazaki stesso insieme allo stimato collega e mentore Isao Takahata (Una tomba per le lucciole; Pioggia di ricordi).
Miyazaki iniziò a collaborare con Takahata in veste di animatore e scenografo per La grande avventura del piccolo principe Valiant e da lì il sodalizio artistico tra i due registi nipponici è proseguito con numerose collaborazioni.
Tra queste Nausicaä della Valle del vento, Il castello nel cielo e Kiki - Consegne a domicilio, con i primi due film che vedono Takahata nei panni di produttore e l’ultimo in quelli di direttore del dipartimento musicale.
Come per qualunque autore, è naturale preferire alcune opere di Miyazaki ad altre.
Scorrendo la sua filmografia, però, ci si rende subito conto che è impossibile giudicarne una in maniera assolutamente negativa.
Ma perché piacciono così tanto i film di Hayao Miyazaki?
[Personaggi appartenenti a diversi film prodotti dallo Studio Ghibli tra cui, al centro, Chihiro e il Senza-Volto de La città incantata]
Basta posare gli occhi su poche scene prese a caso da uno qualunque dei suoi film perché un senso di meraviglia tipico dell’età infantile si impossessi di noi e ci faccia viaggiare affascinati nel mondo del suo creatore.
Con Miyazaki torniamo tutti un po’ bambini e proprio grazie a questo riusciamo a percepire in maniera diversa dal solito ciò che ci si pone davanti, con la stessa purezza d’animo che contraddistingue i personaggi delle sue storie.
Questi, infatti, sono quasi sempre bambini e ragazzini, gli unici a non essere stati ancora corrotti dal marcio dell’età adulta.
La purezza dell’infanzia permette loro di vedere la magia che li circonda: è la stessa che permette a Mei, protagonista de Il mio vicino Totoro, di vedere quella creatura cicciona e pelosa che diventerà sua amica.
Tutto ciò è inaccessibile a chi ha ormai dimenticato il fanciullino che è in sé, facendosi inconsapevolmente rapire dai problemi quotidiani, da una noiosa routine che spegne qualunque entusiasmo o, peggio, da chi ha volontariamente preferito di dedicarsi esclusivamente al perseguimento di fama, potere, denaro, parole vuote e totalmente estranee alla mente di un bambino.
Così, stupiti dalla mente vergine di questi giovani protagonisti, volendo riuscire anche noi a vedere Totoro e i nerini del buio, abbandoniamo per un po’ le redini del nostro io presente, concediamo qualche ora d’aria al fanciullino ormai morente e ci godiamo lo spettacolo.
[Mei Kusakabe, protagonista de Il mio vicino Totoro, prova a catturare un nerino del buio]
Il semplice piacere che si prova nell’abbandonarsi a delle immagini è, in fondo, ciò da cui parte Miyazaki stesso.
Parlando del suo personalissimo modo di procedere per la realizzazione di un film, il regista ha raccontato di non sapere mai né quale sarà la trama della storia né tanto meno di avere chiaramente in mente i personaggi che la animeranno, fino al momento in cui non prende la matita in mano e si fa guidare da questa.
Solo una cosa è certa: qualunque idea gli baleni in mente lui la disegna.
Senza sapere se quel personaggio entrerà a far parte delle creature che popoleranno la storia o se quel luogo fantastico verrà sfruttato come ambientazione.
All’inizio della lavorazione di un film tutto questo è secondario, l’unica cosa fondamentale è che, qualunque cosa si vada a disegnare, questa deve essere bella.
Deve stimolare la curiosità e la voglia di continuare a guardarla, suscitare la voglia di vederla animata.
Ci sarà poi tempo per definire le linee guida del racconto.
L’animazione nei film di Miyazaki è un inno alla vita: tutti i luoghi in cui veniamo catapultati sono popolati dalle più diverse creature, sempre in movimento, esseri che animano ogni scena nel vero senso della parola, arricchendo la storia con la loro anima oltre che con i loro corpi disegnati.
“State disegnando persone, non personaggi.
[…] Non state disegnando volti, ma volontà.”
Tramite la sola animazione - curata in maniera maniacale dal perfezionista regista giapponese - spesso si riescono a percepire tratti distintivi del carattere dei personaggi semplicemente osservando la loro gestualità.
[L'agguerrita pirata Dola in un frame de Il castello del cielo]
Il pensiero di Hayao Miyazaki secondo cui un disegno senza anima non è animazione ha profondamente influenzato tutta la sua produzione e affonda le radici nella religione shintoista (shintō, letteralmente “via del divino”).
Dottrina animista e politeista originaria del Giappone, questa religione ha origini antichissime e altrettanto incerte (si stima sia nata intorno al 500 A.C.).
Fa sorridere però pensare che la sua relativamente recente diffusione nel mondo occidentale sia stata accelerata dal successo di manga e anime come Sampei, Sailor Moon, Ranma ½, Naruto, One Piece.
Secondo lo shintoismo il mondo che ci circonda non è esatta rappresentazione di divinità, bensì di forze divine costruttive o distruttive (spiriti benevoli e demoni).
Non esiste un unico dio superiore, trascendente, ma più entità divine in constante contatto col mondo terreno, i kami, che si manifestano e comunicano con noi tramite ciò che può essere da noi interpretato e decodificato: la realtà.
Quello dell’universo di Miyazaki è uno shintoismo profondamente animista: tutte le entità fisiche sono caratterizzate da un’insita spiritualità, dagli animali alle piante, dagli elementi naturali agli oggetti, fino a interi luoghi.
Questo perché esistono yaoyorozu-no-kami, 8 milioni di kami (il numero 8 è in realtà usato più per il suo significato di infinito che per il suo valore esatto) che concretizzano così la loro natura eterea tramite innumerevoli elementi terreni.
Tutto ha un’anima, tutto ha una vita e questa va rispettata e onorata, sempre.
Per essere in armonia con gli spiriti benigni e per non indispettire quelli maligni è fondamentale essere in sintonia con la natura e il mondo tutto.
Vedremo che al tema dell’ambientalismo - presente in diversi film di Miyazaki come Principessa Mononoke o Ponyo sulla scogliera - è stato dato notevole risalto anche ne La città incantata.
[L'idrovolante Savoia S.21 pilotato da Marco Pagot, alias Porco Rosso, in un frame dell'omonimo film]
Hayao Miyazaki attinge quindi dalla cultura giapponese e inserisce nelle sue storie anche diversi riferimenti alla sua vita personale trascorsa nel Paese del Sol Levante.
Uno dei più facili da individuare è quello relativo alla figura del padre, Katsuji Miyazaki, ingegnere aeronautico e direttore dell’azienda di famiglia, la Miyazaki Airplane.
Trasmessagli dal padre, la passione del regista per l’aeronautica e per il volo in generale si ritrovano in diversi suoi film: in Si alza il vento, Porco rosso, Nausicaä della Valle del vento possiamo apprezzare velivoli disegnati nei minimi dettagli; ne Il mio vicino Totoro, Kiki - Consegne a domicilio, Il castello errante di Howl sono numerose le scene di personaggi che si librano in volo.
Altri richiami all’infanzia di Miyazaki li ritroviamo nei personaggi di Nahoko (Si alza il vento) e in quello della madre di Satsuki e Mei (Il mio vicino Totoro) che rimandano alla madre del regista, Dola Miyazaki, con una salute costantemente precaria.
Ciò nonostante la donna riusciva a essere sufficientemente autoritaria, tanto che il regista ha voluto scherzosamente omaggiarla chiamando con il suo stesso nome la pirata protagonista de Il castello nel cielo.
Chi ha meno familiarità con il mondo orientale avrà però certamente notato che nel Cinema di Miyazaki - come ammesso dallo stesso autore - non mancano le influenze occidentali.
Diversi sono gli scrittori che con i loro mondi fantastici e personaggi allegorici lo hanno ispirato.
Tra questi figurano i francesi Antoine de Saint-Exupéry (Il piccolo principe) e Paul Valery (Il cimitero marino), gli inglesi Lewis Carroll (Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie) e Roald Dahl (James e la pesca gigante; La fabbrica di cioccolato), l’irlandese Jonathan Swift (I viaggi di Gulliver).
Tra i film diretti da Hayao Miyazaki, La città incantata è la perfetta unione tra cultura e mitologia giapponesi, elementi relativi alla sfera personale del regista e influenze occidentali, tutto fuso insieme in un connubio tra fantastico e reale, terreno e spirituale.
[Personaggi secondari che si incontrano ne La città incantata]
Protagonista de La città incantata è Chihiro, bambina in viaggio con i suoi genitori verso la nuova casa in cui tutta la famiglia si sta trasferendo.
Sbagliando strada, i tre arrivano davanti a un tunnel che è impossibile percorrere in auto e così, contrariamente alla volontà della timorosa e sospettosa Chihiro, gli adulti decidono per un'esplorazione a piedi.
Dopo diversi edifici disabitati e numerosi ristoranti deserti, la famiglia trova un locale il cui bancone imbandito con manicaretti di ogni tipo farebbe gola a chiunque (anche allo spettatore).
I genitori di Chihiro iniziano a mangiare ma la ragazzina, per niente a suo agio, desiste e si allontana per provare a capire che posto sia quello in cui sono finiti.
Passeggiando in quella che sembra una città abbandonata, Chihiro giunge di fronte a un maestoso edificio chiamato Aburaya e lì ha un primo incontro con un ragazzo che le si presenta come Haku e le intima di fuggire finché è in tempo.
Ma questo tempo è già passato: Chihiro scopre che i genitori sono ormai stati rapiti da quel mondo e, con l’arrivo della notte, quella strana città incantata si anima di spiriti e strane creature non umane.
Salvare la madre, il padre e andare via dalla città incantata non saranno cose semplici per Chihiro, la quale dovrà superare diverse prove per salvare tutta la famiglia.
Dal lavorare duramente nell’impianto termale dell’Aburaya - gestito dalla strega Yubaba - all’affrontare da sola spiriti e demoni, il percorso di Chihiro è sì la rappresentazione allegorica del passaggio dall’infanzia all’età adulta ma anche una lotta alla conservazione della propria identità in un mondo che fa di tutto per uniformarci.
[Ne La città incantata Chihiro si mette in gioco provando a trasportare un pesante pezzo di carbone verso la caldaia, così come fanno i fuligginini]
Le allegorie, i simboli, i sottotesti presenti ne La città incantata sono ciò che rende il film di Miyazaki incredibilmente denso di significati, analizzabile con diverse chiavi di lettura e tutto ciò già a partire dal titolo.
Il titolo originale de La città incantata, infatti, è Sen to Chihiro no kamikakushi traducibile come La sparizione causata dai kami di Sen e Chihiro.
Il nome Chihiro (千尋) significa “un migliaio” e “fare domande” o “essere alla ricerca”: quando la strega Yubaba accetta di assumere la ragazzina nel suo centro termale lo fa prendendosi in cambio una parte del suo nome.
Così da Ogino Chihiro (荻 野 千尋, con il cognome della famiglia a precedere il nome) resta solo il primo kanji relativo al nome e che, solo, viene letto “sen” (千).
Yubaba ruba una parte essenziale della personalità di Chihiro mettendola al suo servizio come Sen, nasconde un lato prezioso del suo carattere lasciando che la ragazzina sia solo un altro individuo come tanti che lavorano nella sua Aburaya.
La parola kamikakushi nel titolo originale è formata da kami (神, abbiamo visto che significa "spirito", “dio”) e kakushi (隠し), participio passato del verbo kakusu che vuol dire “nascondere”.
Dunque kamikakushi (神隠し) significa “nascosto dagli spiriti”.
L’espressione inglese to spirit away (far svanire), giocando sul termine spirit (spirito), è stata adattata a Spirited Away, intitolando così il film di Miyazaki in maniera decisamente più appropriata e completa rispetto a come è stato fatto con la lingua italiana.
Il furto di identità da parte di Yubaba è inoltre un’aspra critica nei confronti dell’annientamento di una persona in favore della nascita di un lavoratore, uguale e indistinguibile dagli altri, la cui vita è indissolubilmente legata allo stesso lavoro che la vita gliela porta via.
“Non puoi togliere così il lavoro agli altri.
Se non lavorano, l’incantesimo si rompe e tornano nella fuliggine!”
[L'infaticabile Kamaji, yōkai presente ne La città incantata, mentre lavora senza sosta nella sala caldaie]
È ciò che urla il personaggio di Kamaji quando Sen gli mostra di essere in grado di lavorare, portando un pezzo di carbone al posto di una delle palline di fuliggine che lavorano con lui nella sala caldaie (i tenerissimi susuwatari, spiritelli della mitologia giapponese visibili solo dai bambini, giunti a noi come fuligginini o nerini del buio e già visti ne Il mio vicino Totoro).
La frase pronunciata da Kamaji è emblematica del fatto che senza lavoro l’essere vivente si annulla, non vale più niente, scompare perché, tanto, non c’è altro che determini la sua esistenza.
Per evitare di finire nel perverso gioco di Yubaba, dunque, è fondamentale non dimenticarsi della propria identità e provare a tenere a mente il proprio nome, anche se è stato rubato dalla strega.
Ma torniamo Kamaji: questo essere dalle sembianze antropo-aracnomorfe è un altro affascinante personaggio de La città incantata.
Instancabile e preciso lavoratore - come ogni bravo ragno che si rispetti - coordina tutte le operazioni nella sala caldaie del centro termale.
Kamaji è uno yōkai, un essere sovrannaturale presente nella mitologia giapponese, con connotazioni piuttosto negative.
Di yōkai ne esistono diversi in base alla loro fisionomia (possono avere sembianze umane, animali, assomigliare a oggetti), ai loro poteri e all’attitudine a stare più o meno vicini agli esseri umani.
Kamaji non è certamente uno yōkai troppo socievole ma, come scoprirà Sen/Chihiro, sa dare il giusto riconoscimento alle azioni di chi ha davanti, finendo per mostrarsi addirittura dolce con chi lo merita.
Diversamente da Kamaji, la strega Yubaba non è così meritocratica.
Il suo personaggio è ispirato alla yama-uba, una strega della mitologia giapponese, e incarna il male di una società rigidamente gerarchica che viene piano piano annientata dal dilagare del capitalismo.
Il Giappone consumista, occidentalizzato, ormai lontano dai concetti di purezza shintoista, viene condannato ne La città incantata in diverse scene come, per esempio, quelle che mostrano la disumanizzazione dei genitori di Chihiro.
[La strega Yubaba de La città incantata circondata dalle ricchezze che riempiono il suo studio]
Nonostante tutto il significato negativo portato in scena dal personaggio di Yubaba, anche in lei si riscontrano (rari) atteggiamenti amorevoli: questo rimarca il fatto che non esiste una netta distinzione tra Bene e Male.
Gli stessi personaggi che popolano il centro termale passano dall’essere fortemente ostili nei confronti di Sen a tifare per lei: ne La città incantata, più che lottare tra loro, Bene e Male vivono in una realistica simbiosi.
Nel momento in cui un personaggio con connotazioni prevalentemente positive riesce a superare una prova, il motivo non è perché la controparte negativa viene fisicamente sconfitta, bensì perché la prima è riuscita a tener testa alla seconda, superando indecisioni e paure, sempre proseguendo con sincerità e agendo secondo alti valori per affrontarla.
Come ne La città incantata, in tanti altri film di Hayao Miyazaki non esistono veri e propri cattivi, si tratta piuttosto di personaggi che presentano un lato oscuro, quindi creature molto più umane rispetto a un classico antagonista che agisce solo e esclusivamente a danno dei buoni per il gusto di farlo.
Tra tutte le creature che popolano La città incantata, quello forse più affascinante, ambiguo, il personaggio che è diventato un po’ l’icona stessa del film, è il Senza-Volto, una sorta di ombra fluttuante con una maschera dall’espressione pacifica che rimanda al tradizionale teatro Nō.
Figura inizialmente molto calma, ricambia la gentilezza che gli viene offerta da Sen ma, una volta intrapresi i rapporti con gli altri dipendenti dell’Aburaya, inizia a cambiare atteggiamento, ad agire in maniera subdola e spietata con il solo fine di ottenere ciò che vuole.
[Il Senza-Volto, uno dei più complessi personaggi de La città incantata]
Leggendo in maniera più superficiale il Senza-Volto si potrebbe pensare a lui come a un personaggio di natura maligna, una creatura con un chiaro subdolo scopo fin dall’inizio, disposta a tutto pur di perseguirlo.
In realtà il Senza-Volto non è naturalmente avido, ma lo diventa quando circondato da esseri che, in fondo, lo sono quanto lui, e inizia a interagire con chi indossa la maschera del “buono” mentre nasconde la propria cupa natura.
Nelle scene in cui i dipendenti di Yubaba offrono enormi quantità di cibo al Senza-Volto in cambio di pepite d’oro, alimentando un circolo vizioso distruttivo, i confini di giusto e sbagliato si confondono, non si distinguono più i buoni dai cattivi, i puri dai corrotti, per il semplice fatto che tutti i personaggi in scena sono ormai corrotti.
Il Senza-Volto diventa riflesso di tutti quelli che lo circondano, che pendono dalle sue labbra senza preoccuparsi nell’immediato dei risvolti negativi che potrebbe avere il suo potere.
Questo profondo personaggio è la rappresentazione dei mostri generati da una società egoista e menefreghista, che accoglie e sorride allo straniero solo se c’è l’odore di un ricavo materiale ma che addita, condanna e allontana quello stesso individuo se ha da offrire solo le proprie virtù.
L’unica che prende le distanze da atteggiamenti del genere è Sen - mostrando così di non essersi dimenticata di Chihiro - che non solo non accetta l’oro del Senza-Volto ma, nonostante gli atti violenti di quest'ultimo, crede nella sua possibile purificazione e decide di aiutarlo.
Questo è un concetto cardine dello shintoismo in cui la vera purificazione non si raggiunge uccidendo la divinità colma d’ira ma riportandola in un luogo più adatto: esattamente ciò che viene fatto con il Senza-Volto.
[Chihiro/Sen è l'unico personaggio de La città incantata che prova a comprendere le ragioni del Senza-Volto, senza approfittarsi di lui]
Altra scena fortemente allegorica - con richiamo a un’esperienza di vita durante la quale il regista si trovò a ripulire il letto di un fiume dai rifiuti - è quella che vede protagonista lo Spirito del cattivo odore.
Il tema dell’ambientalismo e, di nuovo, la condanna del capitalismo sono temi espressi in maniera inequivocabile: se l’uomo continuerà a non prendersi cura della natura, a preoccuparsi solo dello sviluppo tecnologico e industriale, essendo accecato dall’ampliamento urbano, così facendo finirà per essere inghiottito in un mondo fatto dalla melma che lui stesso ha prodotto.
Anche in questo caso sarà Sen, con la sua sensibilità, a risollevare le sorti dell’Aburaya e sarà sempre lei che, tramite atti di sincero affetto, salverà un’altra anima smarrita nel corso di quella che sarà una storia d’amore delicata e intensa allo stesso tempo.
La figura assolutamente ordinaria di Chihiro/Sen, semplice bambina un po’ fifona che ha paura di attraversare un tunnel buio se non attaccata al braccio della mamma, vuole essere una fonte di ispirazione per le ragazzine della stessa sua età che, alla fine, vedono la loro coetanea compiere imprese grandiose.
Chihiro è a tutti gli effetti un’eroina senza poteri sovrannaturali.
Le sfide che affronta riesce a vincerle grazie a valori e qualità come lealtà, sincerità, una buona dose di coraggio e amore: caratteristiche già sue ma di cui non era ancora pienamente convinta o che non aveva ancora scoperto.
[Un frame da una delle più belle scene de La città incantata, tramite cui viene espresso con forza il messaggio ambientalista]
Come in tutti i film diretti da Hayao Miyazaki, anche ne La città incantata uno dei regali che vengono fatti allo spettatore è rappresentato da veri e propri momenti di rilassamento fisico e benessere mentale sparsi qua e là.
Scene di “respiro” in cui non avviene nulla dal punto di vista della narrazione ma che, allo stesso tempo, sono fondamentali per il ritmo della storia.
Grazie a queste pause il racconto ha il tempo di depositarsi nella mente e nel cuore di chi guarda non dopo la visione, bensì nel momento stesso di essa: una sosta in un prato ascoltando il soffiare del vento, un momento di riflessione affacciati a una ringhiera, osservando lo scorrere di un fiume.
In un'intervista fatta da Roger Ebert a Hayao Miyazaki il critico espresse il suo gradimento per questo tipo di scene.
Il regista spiegò:
“In giapponese abbiamo una parola. È ma. Vuoto.
È lì volutamente."
[Batte le mani]
"Il tempo tra i miei applausi è il ma.
Se hai solo un'azione continua, senza alcun respiro, è solo affanno.
Ma se ti prendi un momento, la tensione che cresce nel film può crescere in una dimensione più ampia.
Se hai solo una tensione costante, a 80 gradi tutto il tempo, diventi solo insensibile.”
[Uno dei momenti di ma presenti ne La città incantata, talmente intenso da far desiderare allo spettatore di essere istantaneamente teletrasportato nel luogo davanti ai suoi occhi]
Ad eccezione di questi preziosi ma brevi momenti di pausa in cui le scene si liberano dal contenuto narrativo e descrittivo, la composizione nei film di Miyazaki è ricca e particolareggiata nei minimi dettagli.
La sensazione è la stessa che si ha osservando un dipinto fiammingo: ogni creatura o elemento in scena non è mai uguale a un’altra, dalle entità naturali agli animali, fino anche agli oggetti.
Ogni cosa è in movimento perché viva e tutti gli elementi sono caratterizzati e caratteristici perché veri.
A proposito di movimento: ricordate la lanterna saltellante de La città incantata che fa strada a Sen, Senza-Volto e agli altri compagni di viaggio verso casa di Zeniba, la sorella di Yubaba?
Gli spettatori più attenti si saranno probabilmente accorti che l’oggetto animato - con la sua mano vestita da un familiare guanto bianco in vendita solo nei migliori atelier di Topolinia - è un palese omaggio da parte di Miyazaki ai Pixar Animation Studios di cui il regista giapponese è grande estimatore e richiama la loro famosa lampada-mascotte Luxo.
Parlando de La città incantata, come in realtà di tutti i film diretti da Miyazaki, una delle primissime cose che viene in mente pensando a queste opere è la loro colonna sonora.
Per queste oniriche creazioni musicali dobbiamo ringraziare Joe Hisaishi, compositore e pianista feticcio di Miyazaki (e particolarmente apprezzato anche dal regista Takeshi Kitano), che ha lavorato alle musiche di tutti i suoi film ad eccezione di quelle usate per il suo primo lungometraggio da regista, Lupin III - Il castello di Cagliostro.
Nelle composizioni di Hisaishi violino e pianoforte sono strumenti costantemente presenti che, con la loro delicatezza, diventano parte fondamentale della narrazione.
Che si tratti di scene più concitate o di pacifici ma, le musiche di Joe Hisaishi finiscono per diventare inscindibili tanto dal film specifico di cui sono cornice sonora quanto dall’atmosfera magica in generale che si respira nei film di Miyazaki.
Ascoltando le colonne sonore di Joe Hisaishi si viene automaticamente catapultati nei film relativi e si finisce per fantasticare di cavalcare lupi insieme a San di Principessa Mononoke o dormire insieme a Mei sul pancione soffice di Totoro ne Il mio vicino Totoro.
[Joe Hisaishi, pianista e compositore che con le sue musiche ha affiancato Hayao Miyazaki per quasi la totalità dei suoi film, compreso La città incantata]
Come se già non ci fossero elementi a sufficienza per considerare La città incantata un gioiellino dell’animazione, c’è una curiosità che riguarda anche l’architettura dei palazzi che si vedono in alcune scene.
Alcuni di essi sono stati ispirati a edifici realmente esistenti come, per esempio, i bagni termali dell’Aburaya che si rifanno all’hotel Notoya Ryokan, situato in Giappone nella prefettura di Yamagata.
Dal momento della sua uscita La città incantata ha fatto incetta di candidature e premi, vincendo l’Orso d’oro nel 2003 e il Premio Oscar per il Miglior Film di Animazione nello stesso anno.
La statuetta dell’Academy, però, non fu mai ritirata dal regista in segno di protesta contro la Guerra in Iraq, iniziata pochi giorni prima della cerimonia con l’invasione dei territori mediorientali da parte degli Stati Uniti.
Del resto non ci si poteva aspettare nulla di diverso da un uomo coerente e intransigente come Hayao Miyazaki, pacifista per cui "durante le guerre non ci sono alleati o nemici, ma solo assassini".
Parola di suo “figlio” Howl.
Premiato con il Leone d’oro alla carriera nel 2005 e con l’Oscar onorario (stavolta accettato) nel 2015, Hayao Miyazaki ha regalato all’umanità un patrimonio cinematografico di inestimabile valore, di cui La città incantata è uno dei gioielli più preziosi.
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