#Oscar2019
''Cominciò presto la sensazione che Black Panther fosse più di un semplice cinecomic.
I semi sono stati piantati quando la Marvel ha reclutato il regista Ryan Coogler, il nativo di Oakland che ci ha spezzato il cuore con Prossima Fermata Fruitvale Station e ha fatto piangere uomini cresciuti con Creed.
Le clip virali che si diffondono di bambini afro-americani che guardano i volti impeccabilmente ritoccati di Chadwick Boseman, Michael B. Jordan, Lupita Nyong'o, Danai Gurira e Angela Bassett sul poster di Black Panther - messi per una volta di fronte a tanti personaggi di colore tra cui scegliere quale voler essere - erano i primi fiori della rivoluzione cinematografica.
Così come i video su Twitter delle donne in un salone da parrucchiere afro-americano eccitate per il primo trailer, con un adolescente nero che chiedeva:
"È così che si sentono sempre i bianchi?"
In un centro commerciale nel gennaio dell'anno scorso sono passato davanti a un altro nero e, invece di salutarmi con il solito "cenno del capo", ha semplicemente detto
"Black Panther tra un mese, yo."
Black Panther è stato il 18° film Marvel dell'era Kevin Feige - che iniziò con Iron Man nel 2008 - ma è stato il primo a portare con sé le speranze e i sogni di un gruppo demografico che non si era mai visto sullo schermo in questo modo, prodotto con tutte le cure e le risorse solitamente messe in campo per film con protagonisti più chiari.
Stavano rispondendo al racconto di Coogler della storia di un giovane re in una finta nazione africana che non era mai stata colonizzata.
E in un'era in cui persone di ogni colore urlavano dai tetti che le "Black Lives Matter!", Black Panther si sentiva come il puntino sotto quel punto esclamativo.
Questo notevole slancio sociale ha portato Black Panther ai vertici del box office nazionale del 2018 - incassando oltre 1,3 miliardi di dollari in tutto il mondo - e ora a una nomination come Miglior Film dell'Academy of Motion Picture Arts and Sciences.
Il primo cinecomic di sempre.
Non è che i cinecomic non siano mai stati amati dagli Oscar, è che solitamente ricevono lo stesso tipo di considerazione ricevuta dai grandi franchise di film d'azione, quindi vengono elogiati effetti speciali, sonoro, montaggio sonoro, trucco e occasionalmente scenografia, costumi o colonna sonora.
Ma se esiste un pregiudizio di fondo tra i membri dell'Academy che gli fa preferire i film drammatici a quelli di fantascienza, il pregiudizio raddoppia nel caso di film tratti da fumetti.
Quindi le rare occasioni in cui le cose cambiano si fanno notare; per esempio, una nomination per la sceneggiatura non originale per Logan, una come Miglior Attore Non Protagonista per Al Pacino in Dick Tracy.
(Se il tuo 'cinecomic' non è un film di supereroi hai più possibilità: Era Mio Padre con le nomination alla Fotografia e a Paul Newman come Miglior Attore Non Protagonista, Ghost World e American Splendor con la Sceneggiatura Non Originale; A History of Violence con William Hurt come Non Protagonista e la Sceneggiatura Non Originale)
È andata così fino al 2009, quando un film di supereroi ha vinto una categoria principale agli Oscar: l'onore postumo del Miglior Attore Non Protagonista conferito a Heath Ledger per la sua interpretazione del Joker ne Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan.
Ma il film non fu tra i cinque candidati per il Miglior Film di quell'anno, nonostante la sua ovvia qualità e la sua enorme popolarità (incassò 1 miliardo di dollari in tutto il mondo, il primo film di supereroi a superare quel traguardo).
L'anno successivo, l'Academy cambiò le regole per ampliare il campo dei candidati a Miglior Film portandoli da cinque a dieci, lasciando spazio a film tradizionali che potrebbero portare nuovi spettatori alla trasmissione televisiva degli Oscar - per non dimenticare l'importanza del pubblico televisivo, che può sintonizzarsi con maggiore entusiasmo per vedere se un colosso da box office come Avatar o Titanic porta a casa il premio finale a dispetto dei film meno popolari.
Se l'Academy non avesse allargato lo sguardo, Black Panther probabilmente non avrebbe ottenuto la nomination.
Nonostante i consensi critici - secondo Rotten Tomatoes è il film mainstream meglio recensito (e più recensito!) del 2018 - Black Panther non è un tradizionale film "Da Neri Per Gli Oscar".
Perché non tratta l'argomento che quasi ogni film nero che è stato nominato agli Oscar ha finora trattato: il dolore.
Non importa quanto siano straordinari film come 12 Anni Schiavo, Selma, Moonlight, Il Diritto di Contare e Precious, parlano tutti di sofferenza nera.
Hanno a che fare con la tragedia e il trionfo perché riguardano l'esperienza del nero nell'America bianca e quell'esperienza è intrisa di brutalità e degrado e, alla fine, di speranza.
Sono una lezione di storia su ciò che può essere superato, spesso da un Grande Uomo (o una Grande Donna) che fa una Grande Cosa.
C'è un posto per film come questi, ovviamente.
Non dovremmo mai dimenticare quelle lezioni di storia.
Ma fino ad ora, ogni film "Da Neri Per Gli Oscar" si è percepito, in un modo o nell'altro, come se fosse un compito a casa.
Black Panther no.
Non è così perché non tratta di dolore; tratta di eccellenza.
È, come ha detto Coogler durante la campagna stampa che ha portato all'uscita del film, il trattino tra "afro" e "americano".
Cosa significa essere ciascuna di quelle cose, entrambe le cose, e nessuna di quelle cose, tutto in una volta?
Cosa significa essere T'Challa (Chadwick Boseman), recentemente incoronato re di Wakanda, erede di generazioni di prosperità, di tecnologia, di potere... il tipo di potere che nessuna persona di colore nel mondo ha mai avuto?
Quali sfide deve affrontare un uomo che cerca di essere buono, che si deve confrontare con il dover essere cattivo?
Cosa significa essere Nakia (Lupita Nyong'o), una spia che viaggia per il mondo e capisce il ruolo che Wakanda potrebbe svolgere, ma è costretta a tenerlo segreto?
E cosa significa essere Killmonger (Michael B. Jordan), regnante Wakandiano per nascita, orfano a Oakland per circostanze, testimone del tritacarne che il mondo occidentale può essere per la gente di colore?
Sapere che c'è un posto che potrebbe essere un paradiso per uomini e donne come lui, ma che gira le spalle ai propri figli sparsi per il mondo?
Come ci si sente ad essere giovani, neri, brillanti e arrabbiati?
Coogler e i suoi collaboratori hanno creato un concorrente per il Miglior Film che si confronta con queste domande.
I costumi di Ruth E. Carter che mescolano il tradizionale con la moda contemporanea.
La scenografia di Hannah Beachler che ha creato un intero mondo, dalla guglia più grande al gioiello più piccolo, trasmettendo tutto il patrimonio del non conquistato.
La colonna sonora di Ludwig Göransson che abbraccia un vasto mosaico di musica e musicisti africani e abbraccia anche l'hip-hop moderno.
La sceneggiatura di Coogler e Joe Robert Cole che regala al pubblico bianco tutta l'avventura supereroistica che ci si aspetta da un film Marvel che ha un solo personaggio caucasico con dialoghi importanti (Andy Serkis), che chiude la storia di Killmonger con una frase come:
"Seppelliscimi nell'oceano... come i miei antenati che si buttavano dalle navi.
Sapevano che la schiavitù era peggio della morte".
Ho visto il film tre volte prima di innamorarmene.
La prima volta non l'ho visto per tutto quello che era, ho solo letto quello che c'era in superficie - ne ero rimasto impressionato, ma ne ero ancora lontano.
La seconda volta, ho visto alcune delle sovversioni che Coogler ha costruito: ad esempio, lo scontro finale tra T'Challa e Killmonger non avviene per caso su una ferrovia sotterranea.
Ma la terza volta... la terza volta, ho preso mio figlio da poco adolescente, che sta cominciando adesso a fare i conti con il suo ruolo in questo mondo.
C'è una sequenza all'inizio, quando Okoye (Danai Gurira) sta pilotando la navetta reale attraverso il dispositivo di occultamento che tiene nascosto il Wakanda dal mondo esterno. Dice tre semplici parole e, mentre stavo seduto accanto a mio figlio, quelle parole mi hanno distrutto.
"Siamo a casa."
Perché "casa" è un concetto che per l'afro-americano medio è difficile da concepire.
Pochi di noi sanno dov'è casa.
Certo, so dove sono nato, so anche dove sono nati i miei genitori.
Ma il dislocamento che c'è stato con centinaia di anni di schiavitù ha spogliato la memoria del "da dove arriviamo".
La maggior parte delle persone ne ha percezione: posso chiedere a una persona italiana da dove proviene la sua gente, e c'è una buona possibilità che indichi un posto su una mappa.
Lo stesso con molti scozzesi, polacchi, brasiliani, australiani, giapponesi... c'è una città, un paese, un villaggio da cui viene il loro popolo.
Ma io?
Una volta superata Haiti, dove è nato mio padre, o Trinidad e Barbados, da cui provengono i miei nonni materni, la mia risposta è... "Africa?"
Forse Ancestry.com o una cosa simile potrebbe restringere un po' il campo, ma non c'è alcuna connessione tra me e qualunque posto salti fuori con un lancio di dadi genetico.
Il potere di Black Panther è che immagina un luogo che potrebbe ospitare milioni di persone che non ne hanno uno.
Un luogo che non è segnato dal dolore, ma dal progresso.
Una terra che conosce la sua storia e si diverte, piuttosto che esserne imbarazzata.
Black Panther parla ai bambini che possono ancora credere alle fiabe e darne loro una nuova - una con re e regine, magia e onore, palazzi e passione.
E parla ai loro anziani che potrebbero aver dimenticato come si crede alle fiabe.
Per la prima volta, ho visto bambini bianchi travestirsi da eroe nero durante i comic-con.
Black Panther vincerà l'Oscar come Miglior Film? Se dovessi tirare a indovinare, direi di no.
Semplicemente non è abbastanza triste - per un Miglior Film o per un "Miglior Film Da Neri Per Gli Oscar".
L'oro che vincerà, però, è lo scintillio negli occhi di ogni bambino perduto che scopre la propria casa sullo schermo, una lucentezza che non svanirà mai.''
[traduzione dell'articolo originale di Marc Bernardin pubblicato su Entertainment Weekly]