#CinemaeBirra
''I am not Simone Choule!''
Mr. Trelkowski (Roman Polanski) - L'inquilino del terzo piano
Sinossi
Guardiamo l'etichetta: un breve riassunto del film (per chi soffrisse gli spoiler salti gli ultimi paragrafi)
Mr. Trelkowski (Roman Polanski) ha saputo da un amico di un appartamento sfitto a Parigi e vi si reca per vederlo ed eventualmente prenderlo.
Qui scopre che la precedente inquilina, una certa Simone Choule, si è buttata dal balcone ed ora è in ospedale in condizioni gravi, ma che ancora non ha “liberato” ufficialmente l’appartamento.
Il polacco conosce il proprietario, Mr. Zy, che dopo esserci sincerato della situazione familiare e delle abitudini del futuro inquilino gli concede l’affitto dell’appartamento.
Decide di andare a trovare la precedente inquilina per vedere quali fossero le sue condizioni: la trova completamente fasciata ed ingessata eccetto un occhio e la bocca, in cui manca un dente.
Durante la sua visita arriva Stella (Isabelle Adjani), un’amica di Simone, che tenta di farsi riconoscere.
Simone inizia a gridare e i due vengono cacciati da un’infermiera.
Appena usciti Trelkowski inizia a provarci con Stella: la porta prima a bere qualcosa per consolarla e poi i due vanno al cinema a vedere un film con Bruce Lee.
La donna allunga la mano e proprio mentre la situazione inizia a scaldarsi si accorgono di essere osservati da un uomo nella fila dietro e smettono.
Usciti dal cinema si salutano senza darsi un ulteriore appuntamento.
L’indomani Trelkowski scopre che, proprio mentre lui era con Stella, Simone è morta e l’appartamento si è di conseguenza liberato.
Decide di presentarsi al funerale della sconosciuta, dove incontra nuovamente Stella, ma intimorito dalle parole del prete e da un crocifisso che trova particolarmente minaccioso se ne va di corsa.
Organizza allora una “festicciola” con alcuni amici per inaugurare l’appartamento.
Il chiasso della combriccola e l’ora tarda svegliano un vicino che si palesa alla porta del nuovo inquilino intimandogli di smetterla, lui caccia i suoi amici e la serata si chiude così.
La permanenza di Trelkowski nel nuovo appartamento prosegue tra stranezze ed incontri imprevisti: prima un dente nel muro, poi varie persone che da un bagno dall’altra parte del cortile interno fissano un punto per ore, un bar in cui continuano a servirgli ciò che servivano a Simone, vari vicini “strani”ed un amico della precedente inquilina che lo va a trovare ed infine un furto in camera sua.
Il tutto condito dalle continue ed opprimenti lamentele per i rumori causati da Trelkowski nel suo appartamento e da piccoli riferimenti all’egittologia tra le cose di Simone.
Nel suo girovagare Trelkowski incontra di nuovo Stella, che da qui in poi sarà sempre più importante, in un bar e lei lo porta ad una festa a casa di amici di Simone.
I due finiscono per tornare insieme a casa di lei, ma qui l’uomo s’addormenta “vaneggiando” sul rapporto tra le parti di una persona e la sua interezza e quando una di queste smetta di essere altro ed inizi ad essere la persona stessa.
Se non si fosse capito il film via via che avanza diventa sempre più criptico a livello narrativo e alcuni eventi si susseguono in un costante limbo tra realtà, visione e pazzia.
Perciò taglierò corto sugli episodi e passerò al finale e ai riferimenti necessari per collegarlo al resto, poi nel commento parleremo del senso di tutto ciò.
Trelkowski inizia a perdere la cognizione della realtà, la sua personalità si sovrappone sempre più a quella della defunta Simone e nel frattempo il suo rapporto con i vicini, che incolpa del suo cambiamento, è sempre più conflittuale e nelle sue visioni questi sono sempre più mostruosi fino a portarlo a rifugiarsi nuovamente da Stella.
Passa la notte dalla (si presume) amante, ma inizia a dubitare anche di lei e dopo esser stato investito viene riportato a casa.
Qui in l'atto finale, un ultimo estremo gesto, osservato (nella sua visione della cosa) da tutti i vicini come se fosse uno spettacolo a teatro, si suicida buttandosi due volte dalla finestra da cui si era buttata Simone.
Una figura è tutta bendata ed ingessata in ospedale, due persone vanno a trovarla: sono Stella e Trelkowski nella stessa immagine dell’inizio della vicenda.
Simone/Trelkowski urla.
Commento
Stappiamo e versiamo: un'analisi del film, indipendentemente dalla birra, ma che ci porti nel mood del film.
“Se mi tagli la testa cosa avrai? Me e la mia testa o me ed il mio corpo?
Che diritto ha la mia testa di chiamarsi me?”
Mr. Trelkowski
L'inquilino del terzo piano è un bellissimo gioco di specchi e non intendo solo il fatto che l’appartamento di Mr. Trelkowski ne sia pieno zeppo e che Polanski ci giochi dal punto visivo molto spesso, ma anche, e soprattutto, il fatto che tutto quanto sia una continua riproposizione di immagini, di comportamenti riflessi e ripetuti.
Tanto che alla fine il nodo centrale della questione narrativa del film è proprio “un’immagine allo specchio” come il titolo del film di Ingmar Bergman.
Questo non toglie che a livello più intrinseco sia, secondo me, decisamente chiaro l’intento dell’autore polacco, quale che sia l’interpretazione data agli eventi.
Veniamo continuamente sballottati tra onirico, surreale e simbolismo, ma proprio laddove si perde un po’ il contatto con la verosimiglianza e la linearità si acquistano tutte le sensazioni e l’intento contenutistico: in questo senso vi darò quella che è la mia interpretazione, ma vi prego di non fossilizzarvi su chi è chi e cosa è cosa perché il valore del film sta, secondo me, da tutt’altra parte e ne parleremo subito dopo.
Tra Simone Choule e Mr. Trelkowski c’è un forte legame, questo è chiaro, ma proprio la scena finale sembrerebbe suggerire qualcosa di più (per come la vedo io): o Simone Choule è Mr. Trelkowski o viceversa.
Vediamo il personaggio interpretato da Polanski buttarsi e sotto le bende ci sembra chiaro il riferimento al suo volto ed al dente mancante, ma proprio attraverso una sua soggettiva lo vediamo accanto a Stella in visita all’ospedale, tutto sembra identico a quando lui era andato a trovare Simone.
Io credo, nonostante sembri la meno intuitiva, che la via più calzante sia la seconda, ovvero: Simone Choule, che a questo punto diventa la nostra protagonista, ha tentato il suicidio ed ora è in coma, prossima alla morte, e in un lungo sogno/visione proietta (e non mostra, sempre secondo me) tutto ciò che l’ha spinta fino all’atto estremo: un’allegoria della sua intera vita, dei suoi timori e delle sue sofferenze.
Come spessissimo accade i primi minuti sono fondamentali nell’interpretazione del film.
La prima inquadratura è una finestra senza nessuno, poi vi compare Polanski, regista e protagonista del film, e attraverso un movimento articolato viene simulato il guardar giù di qualcuno che sta per buttarsi e successivamente, ruotando, passiamo alla finestra del bagno dove una donna (Simone Choule?) osserva e “si trasforma” nell’autore polacco.
Polanski è sia regista sia protagonista e non credo, come spesso invece avviene, che sia una scelta dettata da megalomania o mancanza di mezzi, o anche solo dalla voglia di poter stringere e baciare impunemente Isabelle Adjani, ma piuttosto rappresenta, così come molti altri particolari sparsi per il film, la voglia di inserire dei piccoli “cortocircuiti che svelino” il gioco di specchi e di surrealtà alla base del film - un po’ come le lancette mancanti dei sogni de Il Posto delle Fragole - anche solo a livello inconscio, così che lo spettatore senta che dietro l’angolo c’è una chiave pronta a donare un senso a tutto.
Proprio in questo senso l’inizio rappresenta Polanski (con la scritta ben chiara “A Roman Polanski Film”) che ci racconta la storia di Simone Choule che noi vedremo come Mr. Trelkowski.
Questa soluzione, secondo me, “spiega” molte illogicità e “dettagli fuori posto” che si trovano nelle vicende di Trelkowski - di cui mai verremo a conoscenza del nome di battesimo, altro dettaglio non da poco - che a questo punto diventano indizi seminati da Polanski partendo dal fatto che il suo personaggio sa della casa nonostante tutti ne sembrino stupiti e si “permetta” di consigliare la portinaia sul come girare la chiave nel modo migliore (per restare ai primi minuti, poi le cose diventano "più visibili").
Indipendentemente che si pensi che il protagonista sia Trelkowski o la Choule il film parla della difficoltà di un individuo di accettare la propria sessualità e di come quest'ultimo si senta “osservato e giudicato” dalla società-caseggiato (non a caso il film si apre su due persone che osservano) tanto da giungere ad un gesto estremo come quello del suicidio, per ben due volte.
Questo è chiaro, Polanski non lo nasconde mai in tutti i dettagli che vediamo: la trasformazione di Trelkowski, i vicini, la “castrazione dell’individuo in un ambiente chiuso...
La tensione tra Trelkowski e Stella è palpabile fin dal primo momento in cui li vediamo insieme, un altro di quegli “indizi” lasciati in giro, tutto ci sembra correre troppo velocemente, ma forse è perché loro si conoscevano già, perché Stella non era solo un’amica, ma qualcosa di più come lei stessa ad un certo punto sembra suggerire: è “[…] la tua amica […]” quando parla con Trelkowski ed “[…] a Simone non interessavano gli uomini. […]”.
Per come la vedo io Simone era innamorata di Stella e forse tra le due c'era qualcosa o forse era solo una fantasia di SImone.
È anche vero che apparirà anche un fantomatico fidanzato-conoscente, ma quel personaggio sembra servire più per metterlo “in coppia” con Trelkowski e per poter “seminare” quel bacio finale che per un’effettiva sua relazione con Simone, ma anche fosse questo rafforzerebbe una forte instabilità emotiva e una difficoltà nel sentirsi accettata dal mondo della protagonista.
Stella (un’incredibile prova di sensualità di Isabelle Adjani), sostanzialmente una sconosciuta, viene inspiegabilmente vista da Trelkowski come un appiglio per tutta la vicenda (tanto da essere l’ultima da cui andrà prima di cedere al secondo suicidio), come a voler riprodurre l’esistenza di Simone che aggrappandosi in maniera forse morbosa - o semplicemente alienante - all’unica che la faceva sentire accettata e non giudicata sancirà la sua sconfitta con la separazione da lei.
Oltre all’aspetto narrativo Stella sembra proiettare tutte le caratteristiche che Simone sente di non avere e la sua volontà di esser come lei, infatti viene messo fortemente in luce il modo di Stella di vivere “dimenticandosi del resto del mondo” (nel momento in cui se ne andrà per l’ultima volta è per andare a lavoro, come una “rottura del mito”, ma forse qui mi sto spingendo troppo in là), il suo vivere la sua sensualità e il suo effetto sugli altri in maniera priva di alcun timore o dubbio.
E infine l’evoluzione del loro rapporto è emblematica e probabilmente non solo racconto degli ultimi giorni di Simone: le due si conoscono in un momento di forte vulnerabilità, quasi subito come due ragazzini si trovano ad amoreggiare al cinema (pur avendo entrambi una casa), ma si sentono osservati dal mondo e sono obbligati a smettere (l’uomo al cinema e la morte di Simone ne sono i simboli chiarissimi), si rincontrano di nuovo, ma lo sguardo inquisitore della chiesa e delle persone del palazzo (alias la società) fanno fuggire la povera ed insicura Simone, che goffamente tornerà da Stella solo dopo molto tempo, quando avrà maturato una maggior consapevolezza di se stessa.
Da quel momento diventerà il vero e proprio appiglio di cui si parlava precedentemente con quel conclusivo “Ti Amo” che non può essere solo la conclusione di tre incontri, ma forse anche quello di qualcosa di più.
Questo continuo tira e molla simula molto bene l’insicurezza di Simone, come varrà anche per la birra.
Lo sguardo inquisitore del mondo è chiaramente una colonna portante di questo film, tanto quanto gli specchi sparsi per l’appartamento, e, per chiunque lo abbia già visto, non servo io per farvelo notare è pressante, ingombrante, riesce a farci sentire a disagio come doveva sentirsi “la povera” Simone Choule.
Quindi non calcherò la mano nel sottolineare tutti questi continui bussare dei vicini, presentarsi alla porta, lamentarsi di comportamenti privati, fissare dalla finestra del bagno - dove “la vera Simone” si mostra, nel momento di maggior vulnerabilità di Trelkowski - che fanno proprio della loro continua presenza e invasività la loro forza.
Basta il finale per racchiuderli tutti con la chiara proiezione di Simone: il suo sentirsi al centro di uno spettacolo che fa ridere coloro che la odiavano e che la osservavano in continuazione, ma, alla fine del lungo movimento di camera, anche coloro che pensava esserle vicini (Stella che l’ha sostituita con Mr. Zy).
Polanski non sembra imputare tutte le colpe a un mondo incapace di accettare ma, caricando abbastanza “le visioni” di Trelkowski, sembra voler dire che anche Simone vedeva nel mondo più di ciò che, forse, c’era come a suggerire un sorta di circolo vizioso in cui il continuo sentirsi osservata e giudicata l’ha portata a vedere giudizi e sguardi anche laddove non c’erano.
Come suggerisce anche la scena in cui il primo vero intruso nella camera di Simone (l’uomo che cerca di entrare dalla finestra) sia in realtà lo stesso Trelkowski (la mano ferita l’indomani sarà la sua).
Una fotografia secondo me lucidissima di una condizione di difficoltà di questo tipo.
Il film è quindi, secondo me, un lungo viaggio interiore dentro Simone Choule, una continua lotta contro se stessa, contro il mondo e contro il suo modo di vederlo; Trelkowski cerca di scoprirsi, ma allo stesso tempo ciò che scopre è ciò che lo fa sempre più impazzire e sentire osservato e il circolo vizioso di cui ho già parlato diventa sempre più una spirale senza via di fuga se non quella della finestra da cui spesso si trova anche lui ad osservare.
La sua vocazione più personale e introspettiva sposta il registro dall’orrore più puro di Rosemary’s Baby (che assieme a quest’ultimo e a Repulsion forma la trilogia dell’appartamento) verso una maggiore tensione: tutto è costruito per sballottare lo spettatore e per farlo perdere nei meandri della mente di Simone, rappresentati benissimo dalla scenografia nella scena in cui, uscita sul corridoio, trova scale intricate e senza sbocchi.
Una suspense, però, senza un vero scioglimento, perché il finale nel suo rimescolare tutto lascia quel pelo di amaro in bocca di chi sa che ora deve riprendere tutto in mano e riscoprire il perché e il per come; sensazione che all'aumentare delle visioni ancora non mi sono tolto di dosso.
Le tracce che Polanski lascia per strada come le vie di un pensiero non hanno tutte un seguito: tutto l’aspetto egizio della questione sembra essere più un MacGuffin per lo spettatore che un vero punto di interesse così come la scena del bambino o quella in riva alla Senna, piccole deviazioni che in molti altri contesti risulterebbero fastidiose qui riescono ad essere come piccole divagazioni del pensiero.
Fughe da un contesto chiuso che però ritornano sempre al via e più che stonare creano ancor più attesa per ciò che succederà e per capire questo bellissimo rompicapo.
L'inquilino del terzo piano è tutt’altro che drammatico come le tematiche che tratta potrebbero lasciar presagire, perché vive del suo essere grottesco e surreale che lo rendono a tratti quasi divertente in unione con un mondo che sembra contorcersi per rendere la vita di Trelkowski più difficile (di nuovo l’immagine bellissima di quelle scale), ma questa esagerazione quasi ironica sfocia in una tragicità assoluta e lucidissima: senza scampo per la povera Simone, come un film circolare che alla fine ti riporta al suo inizio.
Simone/Trelkowski ci parla di questo “staccarsi da se stesso” quando in quel dialogo delirante con Stella si chiede fino a che punto uno può essere se stesso se privato di una parte e allo stesso tempo quando una parte può dirsi solo parte e non intero monco: qui non solo anticipa “la chiave” narrativa del film (Simone che si guarda dall’esterno), ma ragiona anche su quanto l’individuo possa sopportare di piegarsi alla società che lo circonda.
Questa tematica sembra molto cara a Polanski che, oltre che per le vicende di cronaca, ha per tutta la sua carriera giocato con il rapporto tra i limiti della società e dell’etica in relazione alla volontà di romperli: tutta la sua filmografia è fatta di masse che osservano altri superare limiti invalicabili, questa tensione per il proibito che è fortissima in La nona porta, Cul-de-sac, Il Coltello nell'Acqua o in Luna di Fiele (per fare degli esempi in una filmografia infinita) è in fondo la stessa che Trelkowski prova verso l’abito di Simone.
Così come il gioco del doppio tra i due protagonisti assomiglia molto a quello interprete-personaggio di Venere in Pelliccia e anche l’annullamento di sé proprio di Tess e Luna di Fiele.
Di cose ce ne sarebbero ancora un milione da dire, ma lasciamo qualcosa per i commenti e passiamo all’aspetto visivo.
Polanski e Sven Nykvist, lo storico Direttore della Fotografia di Bergman, riescono a costruire un film visivamente strabiliante, tra movimenti lunghissimi e articolatissimi come quello iniziale - gli stessi che Bergman gli negava - e lente carrellate.
Ogni spostamento della macchina da presa è funzionale nel creare l’idea di viaggio (dentro a Simone) e di continua instabilità oltre che spesso sottolineare l’ansia di alcune situazioni.
Tutta la scenografia riesce ad accrescere ed esaltare una fotografia cupa, un’estetica a tratti quasi sporca e caotica frutto del registro grottesco-surreale che il film prende quasi da subito.
I giochi di specchi sparsi per tutto il tempo sono perfetti e riescono, consciamente ed inconsciamente, ad “agganciare” quel finale in maniera incredibile.
Probabilmente è il film della trilogia dell’appartamento in cui si passa più tempo fuori dallo stesso, ma grazie al lavoro visivo è impossibile non sentire l’oppressione delle sei mura (perché i soffitti sono importantissimi) anche quando Trelkowski e Stella sono al cinema o il polacco si trova a lavoro.
Gli effetti visivi sono pochissimi rispetto a Repulsion o Rosemary's Baby, ma questo è assolutamente il linea con il suo esser fatto di tensione più che di orrore, ma sono perfetti nel risultare "posticci" e visibili quando l'obbiettivo è il grottesco e assolutamente credibili e realistici quando l'orrore e la tensione prendono il sopravvento.
In conclusione, oltre ad essere il mio film di Polanski preferito, consiglio L'inquilino del terzo piano perché oltre a essere un esempio perfetto di cinema di genere visivamente e tecnicamente magistrale, è un film che riesce, attraverso una narrazione quantomai intricata, a portare lo spettatore completamente dentro un personaggio complesso e sofferente come quello di Simone senza risultare patetico o troppo slegato dalla realtà.
Un grandissimo film.
La birra
Annusiamo ed assaggiamo: una scena in cui la birra è protagonista.
Vi dirò la verità: in tutti gli altri capitoli che leggerete di questa rubrica la birra sarà decisamente più centrale, e in questo film non si può dire che senza le scene in cui è presente si avrebbe avuto un film peggiore.
Ma - c'è sempre un "ma" - quelle tre/quattro scene in cui si palesa riescono ad essere una perfetta immagine del rapporto tra Trelkowski e Stella che, come abbiamo già visto, sono a loro volta proiezione della vita e della sofferenza di Simone.
Le scene non sono molte, ma tutto inizia con la birra quando Stella viene invitata a bere qualcosa, ma viene subito ripudiata - dalla birra cambieranno presto idea con altri drink - e continua in un tira e molla di bicchieri colmi di nettare di Ninkasi che non viene mai assaggiato per altre tre o quattro scene, fino a quando non riesce a bagnarcisi le labbra a casa dell’amico “rumoroso” e poi concludere il tutto al bar in cui rincontra Stella, dove finalmente riesce a “bersi la sua birra”.
Il lieto fine con il personaggio della Adjani arriverà qualche scena dopo e non in questo incontro, ma la dinamica è la stessa.
Per un film e un autore di questa levatura bisogna andare con qualcosa di decisamente “importante” perciò, nonostante io lo abbia visto bevendoci su un Lambic, voglio accostarci “qualcosa di più”: un Barley Wine (la versione inglese per essere precisi), in particolare uno con una storia molto particolare.
Accompagnamento
Il momento migliore, la bevuta: cosa accompagniamo al film?
Ecco un consiglio su cosa bersi mentre si guarda o riguarda ciò di cui abbiamo parlato.un'analisi del film, indipendentemente dalla birra, ma che ci porti nel mood del film
Il Barley Wine è letteralmente un “vino d’orzo” (come chiavano la birra Senofonte e Polibio) e come da definizione ha molti tratti in comune con l’altra bevanda.
È un prodotto che spesso è accompagnato da gradazioni molto superiori alla media (per un periodo le birre più forti di ogni birrificio venivano chiamate Barley Wine), possono essere fatte invecchiare e spesso, azzarderei anche un "sempre", ripassano in botte dopo la prima produzione per acquistare sentori ed aromi unici.
Sono birre impegnative e spesso definite “da meditazione” perché, nonostante possano piacere anche a palati meno allenati, spesso richiedono di essere bevute con calma, sorseggiandole, un po’ come un superalcolico post-cena, proprio per permettere di perdere il sentore di alcool che si volatilizza abbastanza velocemente restando in mano (in maniera simile a come si fa con i cognac) e per questa forte presenza di sentori sia al naso sia alla bocca che non si può “buttare giù” senza rifletterci un momento.
In bocca c’è molto malto e quindi tutti i sentori di tostato, pane, caramella e frutta secca tipici dei malti Pale, ma questi sono spesso accompagnati da una chiusura secca, proporzionale all’invecchiamento, e da sentori di quell’alcolicità leggermente acida tipica del vino.
Molto meno luppolata la versione inglese, che spesso è anche cromaticamente più scura, rispetto a quella americana.
Come sempre, non si fosse capito, gli americani amano il luppolo.
Perché una birra che sembra così “accogliente” in un film che vive di tensione?
I Barley Wine risultano essere bevute molto piacevoli, ma impegnative e riescono a simulare più di qualsiasi altra birra, secondo me, “l’esperienza” e “il viaggio”, accompagnano senza accelerare l’incedere della vicenda per poi portarti alla conclusione con quella leggerissima nebulosità da bevuta più alcolica che in questo caso calza a pennello.
La tensione ne L'inquilino del terzo piano c’è già tutta, perciò ho voluto metterci qualcosa che incrementi la scoperta continua, che accompagni i continui specchi e che porti a una totale immersione nelle sequenze finali in cui ormai la follia di Trelkowski è all’apice, e che stordisca nella maniera più forte possibile con l’ultima scena che già di per se stessa stordisce molto.
In particolare ho scelto una birra dalla storia unica: la Thomas Hardy’s Ale nella sua versione del 2015 (fateli invecchiare un pochino i Barley Wine che migliorano!).
La Thomas Hardy’s Ale nasce in onore dello scrittore omonimo nel 1968 per mano del birrificio Eldridge Pope, che ne interrompe la produzione nel 1999.
Nel 2003 sarà O’Hanlon a riportarla in auge fino al 2009, in cui sembrava giunta la definitiva fine.
Brew Invest (di due italiani) ha deciso di rimetterla in campo comprandone i diritti nel 2012 e producendo fino a una versione all'anno dal 2015, tutte in tiratura limitata: la prima ha preso anche una medaglia d’oro all’International Beer Challenge di Londra nel 2016 e l'ultima versione, del 2018, è celebrativa del 50° anniversario.
Come tutti i Barley Wine non costa poco - ma li vale tutti, come succede spesso in questo stile - e tutto ne ribadisce l’esclusività (l’etichetta, la tiratura limitata…), queste sono le parole del co-fondatore di Sierra Nevada, un’istituzione nel mondo craft-beer:
“Thomas Hardy’s Ale was the stylistic reference point for other Barley Wines which came onto the market in subsequent years.”
In particolare è una birra molto decisa, ripassata in botti di whiskey, in cui le note di malto sfociano nel tabacco e nel cuoio, in cui l’alcool la fa tendere al liquoroso.
Queste parole di Thomas Hardy sembrano perfette per descrivere L'inquilino del terzo piano e la “sua” birra, quindi non mi dilungherò oltre, se non per dirvi che è, ad oggi, una delle birre migliori che abbia mai incontrato:
“It was of the most beautiful colour that the eye of an artist in beer could desire.
Full in body, yet brisk as a volcano; piquant, yet without a twang; luminous as an autumn sunset.
Free from streakiness of taste, but, finally, rather heady.”
Thomas Hardy, The Trumpet Major
Buona visione e buona bevuta!
17 commenti
Fabrizio Cassandro
5 anni fa
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Fabrizio Cassandro
6 anni fa
Il Barley wine, semmai dovessimo incontrarci te lo faccio avere io, ho un cospicuo debito in birre!
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Fabrizio Cassandro
6 anni fa
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Adriano Meis
6 anni fa
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Fabrizio Cassandro
6 anni fa
Siamo in due ad averlo come preferito 👍
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Fabrizio Cassandro
6 anni fa
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Fabrizio Cassandro
6 anni fa
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Fabrizio Cassandro
6 anni fa
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Ambra
6 anni fa
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Fabrizio Cassandro
6 anni fa
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Fabrizio Cassandro
6 anni fa
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Fabrizio Cassandro
6 anni fa
Se lo leggi prima di me fammi sapere che sono curioso!
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Ambra
6 anni fa
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Fabrizio Cassandro
6 anni fa
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Fabrizio Cassandro
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Fabrizio Cassandro
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