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La grande bellezza: la consapevolezza e l'illusione

Riflessione sul film di Paolo Sorrentino premiato agli Oscar nel 2014

Dal momento in cui è uscito La grande bellezza, l’opinione pubblica e la critica si sono spaccate in due. 

 

Sono stati utilizzati diversi aggettivi per descriverlo: profondo, pretenzioso, intelligente, banale, amaro, autoreferenziale, poetico, noioso, malinconico, stereotipato, inconcludente, bellissimo... forse è proprio da quest'ultima parola che dovremmo partire.

 

In fondo, si inizia sempre dal titolo.

 

 

 

Paolo Sorrentino fornisce con La grande bellezza la rappresentazione di un ambiente intellettuale disastrato, nel quale pare essere crollato ogni valore, mostrandoci un'atmosfera priva di sacralità, dove tutto è ricondotto a un semplice trucco; un inganno del quale, ormai, si è anche consapevoli.

 

Il fascino della decadenza, della maestosità che rivela infine ogni sua illusorietà, cattura ipnoticamente lo spettatore, mostrando di volta in volta lo sguardo velatamente sarcastico del protagonista sulle ideologie politiche, sulla lotta attiva, su un’arte spesso inconsistente, sulla religione, in un’orgia di pragmatismo brutale, per citare Federico Fellini, che si riversa irruenta ma anche delicata su tutti gli aspetti del film, vanificando la ricerca di ogni significato, perché significati non sembrano essercene.

 

A tutto questo si contrappone la bellezza, la Grande Bellezza, che però non abita su una dimensione differente - qui sta l’ambiguità del film e qui sta in fondo anche parte della sua grandezza.

 

Riprendendo di fatto buona parte della tradizione letteraria del secolo scorso, concettualmente la bellezza è infatti insita nell’inganno che sottende: particolarmente esemplificativa in tal senso è la famosa citazione di Francis Scott Fitzgerald, che una volta scrisse:

 

"Imparai qualcosa sulla bellezza - abbastanza da capire che non aveva niente a che fare con la verità."

 

 

["Sono belli i trenini che facciamo alle nostre feste, sono i più belli di tutta Roma. Sono belli. Sono belli perché non vanno da nessuna parte."]

 

 

Fa tutto parte di un immenso quadro nel quale le speranze, le idee, le delusioni, le convinzioni, gli sforzi riescono a produrre, pur nella loro illusorietà, pur nella loro apparente mancanza di senso, una bellezza, forse la più struggente in assoluto: è tramite la consapevolezza della loro immaginaria promessa che viene regalata la chiave per accedervi.

 

In fondo, è tutto un trucco e non è detto che sia una cosa negativa.

Quello che cambia sono le reazioni: il disprezzo, il rifiuto o il disincanto.

 

È possibile fuggire via, ricercando un'autenticità perduta negli antichi miti della campagna, della solitudine, in un sentimento che potremmo definire molto europeo, come farà il personaggio di Carlo Verdone: oppure si può accettare la situazione, consci del fatto che bellezza non ha nulla a che fare con la verità e viverla malinconicamente, consapevolmente, con picchi di bellezza e sprofondi di vuoto, come farà Jep Gambardella.

 

Sono soluzioni di pari valore e l’autore non si schiera sebbene si senta, forse, più simile al personaggio di Toni Servillo.

 

 

 

 

Roma, del resto, è tra i simboli della decadenza storica per eccellenza, con visioni di gloria passata che riemergono ovunque, a ogni strada, a ogni angolo.

 

La grande bellezza sta proprio qui, nel vedere le cose finire, spegnersi, per cambiare e diventare altro, in qualche caso evolvendosi, assumendo una prospettiva diversa, rigettando ogni sentimentalismo per entrare nella sfera romantica nella sua accezione più completa.

 

Perché, continuando il giro di citazioni,

"Non esiste bellezza senza struggimento e non esiste struggimento senza la consapevolezza che tutto passa, tutto è mortale..."

 

Lo spazio per una riflessione ulteriore però c’è e ci sarà sempre. 

 

Lo stordimento genuino di una prima volta, la tragica morte di un ragazzo possono spazzare via, per un attimo, ogni cinismo, ogni pragmatismo, per abbandonarsi a una marea inconscia di emozioni che placare è impossibile, che rappresenta l’altra faccia della medaglia del mondo di Jep e compagni.

 

Mostrare questo aspetto, che pure sembrerebbe in contraddizione con il resto, è in realtà indice di forte onestà intellettuale, rigettando facili cinismi teatrali ed esibizionistici, scegliendo di andare oltre superficiali interpretazioni nichiliste per dirci che, in fondo, la dimensione emotiva delle nostre esperienze non è inficiata in alcun modo dalla conoscenza delle verità spesso terribili della condizione umana.

 

Si tratta, di nuovo, di un concetto particolarmente presente nella letteratura del secolo scorso, che è possibile ritrovare in buona parte del buon del cinema europeo, ma non solo: è uno dei pilastri fondanti della filmografia di Woody Allen, per fare un esempio.

 

 



Visivamente spettacolare, La grande bellezza di Paolo Sorrentino riconosce però anche una natura particolarmente dialogata che, parola dopo parola, una frase dopo l'altra va a costruire il film, ne va a cementare l'essenza, analizzando svariati sottotesti specifici, concorrendo a determinare la sensazione di vuoto che sembra permeare il film, sensazione smembrata e rimodellata in ogni sua sfaccettatura.

 

Il nulla, la pagina bianca.

 

La rinuncia a scrivere e la densità vuota.

Il nulla è centrale in quest'opera, dentro e fuori: Gustave Flaubert, dirà Jep, voleva scrivere un romanzo sul niente e non ci è riuscito. 

Già.

 

D'altronde com'è possibile rappresentare il niente?

È possibile però realizzare un film che ne parli, che lo prenda e ne faccia il centro della riflessione.

Che utilizzi la forma per far percepire il vuoto in essa contenuto.

 

La grande bellezza fa questo ed è un grande film.

 

"Finisce sempre così. Con la morte.

Prima, però, c'è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla bla... 

È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento. L'emozione e la paura.

Gli sparuti, incostanti, sprazzi di bellezza.

 

E poi lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile.

Tutto sepolto dalla coperta dell'imbarazzo dello stare al mondo.

Bla. Bla. Bla.

Bla.

Altrove, c'è l'altrove. Io non mi occupo dell'altrove.

Dunque che questo romanzo abbia inizio. In fondo è solo un trucco.

 

Sì: è solo un trucco."

 

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