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L'angelo sterminatore - Rimanere chiusi dentro

Sì, ma perché non riescono ad uscire?

Sì, ma perché non riescono ad uscire? 

 

"Se il film che state per vedere vi sembra enigmatico, o incongruo, anche la vita lo è. 

È ripetitivo come la vita, e, come essa, soggetto a molte interpretazioni.

L'autore dichiara che non ha voluto giocare su dei simboli, almeno coscientemente. 

Forse la migliore spiegazione per L'angelo sterminatore è che, ragionevolmente, non ne ha alcuna."

 

Parola di Luis Buñuel.

L’impatto che ha avuto il movimento surrealista, sviluppatosi principalmente negli anni ’20 del secolo scorso, è stato di importanza notevole nel mondo dell’arte, della letteratura, della fotografia e del Cinema.

 

Basti pensare a David Lynch, Alejandro Jodorowsky e ad alcuni dei loro film più noti come El topo o Eraserhead per dare una misura dell’eredità culturale proveniente da quella semplice intuizione, quella “narrazione poetica” di cui Buñuel è stato il precursore e ideatore.

 

 

 

 

Sarebbe però superficiale considerare l’avanguardia con un mero fenomeno storico, una fonte di ispirazione che poi, tramutatasi attraverso diverse forme e sotto altri contenuti, è giunta sino a noi con un aspetto meno puro, ma sgrezzato e fruibile.

 

L’importanza di Buñuel non è soltanto da ricondurre all'innovazione che ha introdotto nel mondo artistico, e a ciò che poi ne è derivato, ma costituisce una dimensione a sé che ha un valore intrinseco di portata impressionante.

 

Se le prime opere di questo regista ci hanno consegnato il manifesto del movimento surrealista, reso chiaro ed evidente sin dalla prima scena del film di esordio, il famoso Un Chien Andalou, nel quale osserviamo lo stesso autore che, con un rasoio, "squarcia lo sguardo" della protagonista, metaforicamente intendendo la rivoluzione strutturale e percettiva dell’arte stessa che il surrealismo si propone di effettuare, il resto della sua filmografia inizialmente si snoda attraverso una più stretta vicinanza alle tematiche politiche e sociali, con un crescente sentimento di protesta di sottofondo che poi si acuirà ulteriormente con l’esito della guerra civile spagnola, con l’instaurazione della dittatura franchista che lo spinse ad emigrare nel Nuovo Continente.

 

Infatti quando si parla di Buñuel, tra le prime considerazioni che vengono fatte, c’è sempre la legittima constatazione di una posizione anti-clericale e anti-borghese, evidente soprattutto, rispettivamente, in Viridiana e ne Il fascino discreto della borghesia, sebbene vada poi rimarcato che in entrambe queste pellicole il racconto stravolge e rimodella la tematica di base per mostrarci anche altri aspetti. 

 

Abbiamo quindi da un lato un’estetica prettamente surrealista, volta a rappresentare ciò che è “oltre”, o se vogliamo ciò che è sepolto ed invisibile alla vista, e che tuttavia spesso è il motore principale delle azioni umane; dall'altro una sfiducia sociale, intesa sia nei riguardi dell’umanità in sé, sia nelle sovra-strutture che ella stessa ha creato, e nelle quali è imprigionata.

 

Dalla fusione di queste due anime nasce il suo film più criptico e suggestivo, sin dal potente e simbolico titolo: L’angelo sterminatore.

 

"Fragile impasto di sordidi vizi, colpevoli debolezze, splendide virtù, l’uomo reca in sé la propria condanna e la propria salvezza.

 

La sua stessa anima è la gabbia che lo terrà prigioniero fin quando l’Angelo Sterminatore verrà a separare l’innocenza dal peccato, l’umiltà dalla superbia, l’odio dall'amore."

 

 

 

 

La premessa narrativa, per chi non la conoscesse, è la seguente: al termine di una cena di alta borghesia gli invitati non riescono ad andarsene, costretti a rimanere in una stanza, comune a tutti loro.

 

Va inteso che non c’è alcun reale impedimento, ma come un’impossibilità intrinseca ed intima ad uscire dalla porta, che pure è spalancata.

Questo aspetto non è solo funzionale alla storia, ma ne è elemento integrante e fondante.

 

Dovendo forzatamente convivere, la maschera della cortesia e dell’educazione lentamente scompare per lasciare il posto all'avidità animalesca, finché i personaggi sprofondano in livelli di degrado sempre più importanti.

 

In tale contesto è semplice ravvisare una critica alla società borghese, imbrigliata all'interno del suo stesso vuoto, nella coazione a ripetere che caratterizza l’intera prima parte dell’opera, con incontri che si susseguono sempre uguali e sempre insignificanti, con una ripetitività evidente e reiterata, volta a trasmettere la finzione della situazione; la dimensione dell’ambiente sociale borghese richiede regole che intrappolano le persone a recitare parti di cui conoscono solo alcune battute, e sono costrette a ripeterle all'infinito, come un meccanismo che si è inceppato – al tempo stesso, colpisce la natura "volontaria" del fenomeno, che trasporta il problema dalla struttura sociale al suo principale artefice, ossia l’essere umano, che nuota nel vuoto del significato della sua presenza.

 

La messa in scena della propria esistenza, "dei sordidi vizi e delle splendide virtù", è da ricercare all'interno dell’uomo stesso, come suggerisce la didascalia: e nelle mura del teatro casalingo in cui si svolge la farsa di quest’opera, e metaforicamente della vita stessa, osserviamo il rifiuto al cambiamento di una classe sociale, ed in definitiva dell’essere umano, ingabbiato secondo Buñuel nella propria stessa essenza, da cui quindi non può in alcun modo fuggire ed in cui crolla senza fine, e quindi senza neppure finire mai davvero.

 

C'è l’inconscia rivendicazione di una natura individualista (da intendersi come un'unica grande collettività, come poi si vedrà) nella quale la sopravvivenza è affidata alla ripetizione passiva di azioni dal significato intrinseco ignoto: indicativo in tal senso l’espediente che infine i personaggi riescono a trovare per risolvere il problema.

 

 

 

 

Le immagini simboliche che talvolta ricorrono durante la visione (le pecore, l’orso, la zampa di gallina) sfuggono alla comprensione dello spettatore perché inglobate in una scelta allegorica di maggior respiro. 

 

Tali elementi non sono rappresentativi di qualcosa di specifico, ma è la loro complessiva presenza a fare da contorno al dramma che si consuma, fattori assurdi ed onirici che fanno capolino, improvvisamente e senza ragione apparente, nella vita dell’essere umano, che si mischiano alla logica che lo governa, rappresentando la dimensione irrazionale e sotterranea che si agita alle fondamenta dell’esistenza. 

Interessante notare come la rappresentazione sia sempre collettiva, un’identità multicentrica che converge verso un unico scopo, il meccanico proseguimento di sé: in tal senso è ulteriormente evidente di come il protagonista di quest’opera sia l’uomo nella sua totalità, e le varie anime che lo compongono e che sono confusamente frammentate tra i personaggi.

 

Ma l’umanità non è da sola: non necessariamente, almeno, se si crede che ci sia un aldilà, che possa esistere una dimensione ultraterrena e religiosa: in tal senso, oltre al significato ineluttabile ed auto-riferito della propria condizione, che si risolve spontaneamente ripristinando le condizioni partenza, come un reset che però porterà alle stesse inevitabili conseguenze poiché esse sono contenute già nelle premesse, è da credersi che nelle sequenze conclusive ci sia anche un riferimento alla salvezza, alla redenzione ed all'affidarsi a qualcosa che va oltre le limitate capacità umane: ma anche questa speranza è disattesa, e la fede si dimostra un altro labirinto nel quale secondo Buñuel l’uomo, per propria natura, non sa districarsi, costretto da se stesso ad interpretarlo nello stesso modo in cui vive il salotto borghese in cui era stato mostrato in precedenza.

 

Il che ci riconduce alla domanda fondamentale che rimane alla base di quest'opera, che forse più di tutte riassume questo capolavoro esistenziale:

 

“Sì, ma non capisco: perché non riescono ad andarsene?" 

 

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4 commenti

Gioze

6 anni fa

Mi aggrego

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Stefano Romano

6 anni fa

Ah, certo! Il cinema è commistione di influenze, di sapori, di idee. "Carnage" parte sicuramente da un presupposto teatrale come da te accennato, ma contiente secondo me anche qualche goccia di surrealismo, laddove i quattro non riescono ad abbandonare il salotto. La grandezza di Polanski risiede nel trasformare un dictat narrativo in qualcosa di diegetico e quindi riuscire a parlare della classe borghese senza bisogno di escamotage narrativi.

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Simone Braca

6 anni fa

Sicuramente. Personalmente, ho sempre pensato che la dinamica del dialogo che lentamente e gradualmente si carica di tensione abbia altri film come "capostipiti" e fonti di ispirazione. Ad esempio Carnage lo assocerei più ad un "Chi ha paura di Virginia Woolf?" come tipo di film, il filone è quello - mentre qui l'idea non è univocamente funzionale a far interagire forzatamente i personaggi, o meglio, questo aspetto è presente ma solo in parte, mentre il focus è proprio "la porta chiusa", ed il perché lo sia. Però certamente ci possono essere delle affinità.

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Simone Braca

6 anni fa

same here :)

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