Inizio col dire che il film non mi ha conquistato. L’ho guardato, anche senza annoiarmi, mi sono anche parzialmente divertito in qualche punto (ci arrivo dopo) ma non l’ho apprezzato fino in...
Inizio col dire che il film non mi ha conquistato. L’ho guardato, anche senza annoiarmi, mi sono anche parzialmente divertito in qualche punto (ci arrivo dopo) ma non l’ho apprezzato fino in fondo: arrivato alla fine, il primo pensiero è stato “Ok… quindi?”. Non interpretatemi male, il film non è brutto. Ma secondo me zoppica un po’, in particolare nelle sequenze a New York e nell’eccessiva resa macchiettistica di alcuni personaggi (anche qui, ora ci arrivo), nonostante ha una trovata che mi è piaciuta molto. Iniziamo davvero ora.
La parte iniziale del film è a mio parere molto bella. I paesaggi naturalistici coreani e la fotografia che li incornicia sono lodevoli e secondo me qui abbiamo un primo labile collegamento con Miyazaki (mi vengono in mente l’incipit de La Citta Incantata, in mezzo alla natura, ma anche alcune scene di Laputa e Nausicaa). Nel momento in cui la storia si sposta a New York, secondo me il film inizia a zoppicare e a cercare di affrettare eccessivamente il ritmo senza cavarci nulla di buono. Il personaggio interpretato da Jake Gyllenhaal a mio parere è reso in maniera eccessivamente comica e poco credibile, e non sono d’accordo alla giustificazione “eh ma dovrebbe essere il comic relief del film”: la Swinton secondo me fa spaccare dal ridere nonostante sia un personaggio glaciale, carismatico e ben definito. Il buon Gyllenhaal mi ricorda più un’imitazione scadente di Peter Sellers: simpatico, impacciato, “falso”-intellettuale, ma alla fine un disastro. La trama, inoltre, passa per stereotipi e argomenti molto convenzionali senza portare nulla che non sappia di già visto. La cosa che mi è piaciuta, invece, come già anticipato in un commento qualche giorno fa, è che la storia non risparmia nessuno e anzi da “un colpo al cerchio e uno alla botte”, senza risparmiare (ovviamente) i capitalisti visti come nemico giurato per l’intero film, ma senza risparmiare nemmeno gli ambientalisti (mostrando quanto anche loro possano giocare sporco qualora necessario), ne la protagonista stessa (che nei minuti finali dell’opera mostra quanto non fosse guidata da uno spirito di ambientalismo e amore per gli animali ma solamente da una profondissima amicizia con il SUO animale). In pratica: il film per tutto il tempo dice di voler combattere il capitalismo e tutto cio che esso rappresenta, ma alla fine si accontenta di un compromesso e non di cambiamento (prendo in prestito delle parole del Bergoglio di Jonathan Pryce, in merito:
“It seems to me that your church […] is moving in directions that I can no longer condone, or not moving at all, when time demands movement! […] We are not part of this world, we do not belong to it, we’re not connected! […] I changed!”,
“No, you compromise.”,
“No. No compromise. I changed. It’s a different thing. […] Life is all change”).
Ma questo compromesso (non cambiamento!) potrebbe anche essere una cosa positiva, un messaggio importante da comprendere e portare avanti! Anzi, a mio parere lo è. Ma, sempre a mio parere, è un modo utilizzato sbrigativamente per concludere romanticamente il film, senza affondare il colpo, senza davvero schierarsi, senza dare la propria visione (politica, sociale, culturale) sull’argomento. Ma il Cinema in quanto tale è sempre politica, sensibilizzazione e realtà. Cose che, secondo il mio modesto parere, vengono un po’ a mancare in questo film. Tutti perdono qualcosa, tutti vincono qualcosa, tutti ne escono fondamentalmente contenti (seppur con qualche livido). “Ok… quindi?”
Contiene spoiler