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Data inizio produzione: 10/09/2018
Data fine produzione: 30/11/2018
Joker
Prima uscita: 31/08/2019 - Mostra del Cinema di Venezia (ITA)
Distribuzione italiana: 03/10/2019
Sceneggiatura: Todd Phillips, Scott Silver
Fotografia: Lawrence Sher
Montaggio: Jeff Groth
Lingua: inglese
Colore
Digitale
Aspect ratio: 1.85:1
Camere: Sto arrivando!I Alexa 65, ARRI Alexa Mini, ARRI Alexa LF
Ottiche: Hasselblad Prime DNA
Budget: 55.000.000 $
Box Office Mondiale: in sala
#cinefacts
80%
#pubblico
83%
#film
Crime, Thriller, Drammatico
Joaquin Phoenix, Robert De Niro, Zazie Beetz
Specifiche tecniche
0%
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Arthur Fleck è un uomo sconfitto: soffre di una patologia che lo costringe a ridere quando non vuole e non riesce a sfondare come comico, riciclandosi come clown per feste o piccoli eventi.
Il presentatore di uno show televisivo, le ripetute vessazioni e la scoperta del suo vero passato lo faranno esplodere e sbocciare in una nuova, terribile identità.
joker
todd phillips
Robert De Niro
joaquin phoenix
zazie beetz
frances conroy
Drammatico
thriller
crime
Cinecomic
DC
Il Joker di Todd Phillips sceglie di raccontarci una storia che si presta a molteplici chiavi di lettura, caratteristica questa posseduta solo dai grandi film.
E Joker è indubbiamente...
Il Joker di Todd Phillips sceglie di raccontarci una storia che si presta a molteplici chiavi di lettura, caratteristica questa posseduta solo dai grandi film.
E Joker è indubbiamente un grande film, nonostante scelga di poggiarsi interamente sulle spalle del suo protagonista - un Joaquin Phoenix da mostrare in qualunque scuola di recitazione da qui in avanti - e nonostante le evidenti ispirazioni degli sceneggiatori arrivino a volte a mangiarsi la storia che stiamo vedendo.
La Gotham del Joker di Todd Phillips è una più che evidente New York scorsesiana, e non è l'unico omaggio che il film tributa al regista di Taxi Driver.
Arthur Fleck è un nuovo Travis Bickle, ne condivide il disagio e la ricerca di un posto nel mondo, entrambi faticano a rapportarsi con il prossimo e con l'universo femminile ed entrambi vivranno un momento decisivo che cambierà loro la testa grazie all'uso di un'arma.
Anche il finale è identico: l'antieroe assurge a modello, l'assassino diventa un simbolo, la reazione violenta non viene demonizzata dai più ma anzi è vissuta come atto liberatorio e dovuto.
Con tanto di gesto delle dita a forma di pistola contro la tempia, che se in Taxi Driver risulta agghiacciante nel finale, in Joker viene reiterato durante il film.
Re per una Notte è l'altro evidentissimo film di Martin Scorsese da cui Scott Silver e Todd Phillips hanno preso a piene mani, ma se Rupert Pupkin era comunque in grado di fare quello che desiderava fare - il suo show di stand-up comedy è a tutti gli effetti divertente - Arthur Fleck resta imprigionato nella sua malattia, che non gli permette di relazionarsi con il mondo esteriore e di vedere le cose da un punto di vista diverso dal proprio.
Joker è infatti interamente raccontato attraverso i suoi occhi, le lenti con cui guarda il mondo sono quelle che vengono messe davanti agli occhi degli spettatori, che spesso non si rendono conto che ciò a cui assistono è soltanto una gigantesca illusione partorita da una mente gravemente malata.
E questa presa di posizione da parte della regia dà modo a Joaquin Phoenix di cannibalizzare totalmente il film, con il risultato di essere presente praticamente in tutte le inquadrature e di far sì che qualunque altro personaggio presente in Joker risulti essere una figurina bidimensionale senza importanza.
Ma se il peso di Taxi Driver l'ho vissuto come un difetto del film, arrivo adesso ad esporre quelli che secondo me sono i suoi pregi più grandi.
Tecnicamente il film lo ritengo ineccepibile.
È una banalita, perché è talmente evidente che quasi non si dovrebbe neanche sottolineare, ma la fotografia del film aumenta la sensazione di malessere e illustra alla perfezione il momento che precede l'esplosione di una bomba civile.
Le tonalità spaziano dal gelido al tiepido, mantenendo sempre una patina in superficie come se anche ciò che vediamo fosse sudicio, impolverato e trascurato come l'anima di quel Joker che ancora deve diventare Joker; costumi e scenografie seguono la spirale inesorabile del personaggio, e se all'inizio del film Arthur indossa degli abiti anonimi e al limite dell'incolore, il suo trucco e quell'abito rosso e senape nel terzo atto colpiscono l'occhio.
Così come lo colpiscono il rosso vivo del sangue e le luci di una città che ancora non conosce i led e i neon e vive di bulbi a incandescenza che contribuiscono a collocare la storia nel 1981 (a scanso di equivoci a un certo punto si vede Blow Out in cartellone in un cinema: il film di Brian De Palma uscì negli USA a fine luglio 1981).
La composizione dei quadri è una gioia per gli occhi: il film inizia con Arthur allo specchio che si sta truccando da clown e il film dichiara così da subito il doppio e la maschera, il reale e la rappresentazione del reale, e staccando su un primissimo piano di Phoenix ne mette in risalto gli occhi e lo sguardo.
Tutti temi che saranno centrali in Joker, così come il suo tentativo forzato di sorridere, obbligando se stesso con le dita a piegare la bocca verso l'alto.
In tutto il primo atto di Joker Joaquin Phoenix risulta spesso impallato, semi-nascosto da un oggetto, non visibile totalmente, un po' come se egli stesso non volesse esporsi e allo stesso modo come se fotografia e regia volessero occultarlo alla nostra vista per non mostrarcelo intero.
Ma per tutto il film la macchina da presa è totalmente dipendente dalla sua figura: lo scruta, ne indaga i dettagli e ne mostra implacabile i difetti, con quella schiena curva e quella cassa toracica spigolosa, si soffema su primi e primissimi piani di Phoenix che danno modo all'attore di recitare nel dettaglio minimo, riuscendo a cambiare espressione muovendo a volte appena un paio di muscoli facciali.
E il lavoro che Phoenix ha fatto sul suo personaggio in Joker mi ha colpevolmente portato a stare con lui.
Probabilmente in Joker, più che in altri film hollywoodiani recenti, il lavoro di scavo dentro le sensazioni dello spettatore risente molto del vissuto di quest'ultimo.
Per vari motivi personali, che non starò qui a illustrare, sono da sempre portato a empatizzare tantissimo con le figure emarginate, i personaggi tristi, coloro che vengono ripetutamente presi a calci dalla vita e non hanno possibilità di riscatto, gli ultimi della società che non riescono e non possono in alcun modo risalire la scala sociale per poter dire di aver vissuto una vita gratificante.
Gli sconfitti, i malati, i perdenti.
Soffro sempre molto vedendoli perché istintivamente mi metto nei loro panni e mentre mi rendo conto di che fortuna io abbia a non trovarmi al loro posto, ne piango i destini infami che li hanno collocati lì.
In un posto da dove loro malgrado non riescono a uscire, nonostante abbiano una tremenda voglia di farlo.
Ogni film cambia a seconda di chi lo sta guardando e capita che arrivi in maniera totalmente diversa agli spettatori, in base a cosa quegli spettatori hanno affrontato nella loro vita.
Arthur Fleck in Joker mi ha fatto una pena immensa, e ammetto senza vergogna che la sceneggiatura - che pur non risplende per originalità - è riuscita a farmi stare dalla sua parte.
Anche se è un omicida.
Anche se è un pericolo per la società.
Comprendo il suo dolore e la sua fatica, visibile nei lividi sul corpo e percepibile nei lividi psicologici impressigli dentro dal suo passato.
Non ne condivido le reazioni, ovvio.
Ma capisco perché arrivi a fare ciò che fa e capisco il sentimento di rivalsa che prova alla fine.
Capisco anche come mai Joker negli USA stia facendo molto discutere, ed è un tema che in altri paesi può essere compreso fino a un certo punto.
In questo periodo storico le élite sono sempre più distanti dal mondo reale, il ricco è sempre più ricco e il povero sempre più povero, il ceto medio sta svanendo e il capitalismo ha ormai così tanto in pugno le nostre esistenze che qualunque decisione si debba prendere nell'ottica di un miglioramento collettivo delle condizioni di vita deve necessariamente scontrarsi con la realtà di un'industrializzazione selvaggia, di una società schiava del mercato azionario che essa stessa ha creato e totalmente dipendente dallo sfruttamento delle risorse naturali in esaurimento.
A tutto ciò aggiungiamo che negli USA il discorso sul controllo delle armi è ormai all'ordine del giorno, con le stragi nei supermercati e in mezzo alle strade che si fanno più frequenti e un Donald Trump che vuole rimanere saldamente attaccato alla NRA, ribadendo il diritto degli statunitensi a possedere un'arma da fuoco sancito dal II emendamento della loro Costituzione.
È evidente quindi che Joker appaia come una fortissima critica a quella società e alla mancanza di controllo, ed è chiaro altresì che l'establishment statunitense abbia il terrore che il film possa essere preso come simbolo e spinta per l'inizio di una rivoluzione armata che parte dal basso, da quella società civile sempre più abbandonata a se stessa, dove gli aiuti sono lasciati al buon cuore delle associazioni di volontariato perché istituzionalmente, quando c'è da tagliare qualche fondo, i primi a subirne le conseguenze sono loro... esattamente come succede nel film.
Kill the Rich, recitano i titoli di giornale in Joker.
Oltre alla già citata performance di un immenso Joaquin Phoenix - che ha lavorato fisicamente e psicologicamente sul personaggio dimagrendo una ventina di chili e studiando la patologia che costringe chi ne è affetto a incontrollabili esplosioni di risa o di pianto - Joker è a mio avviso costruito con grande classe per farsi beffe dello spettatore in maniera subdola e ingannevole.
Come detto, il racconto viaggia attraverso gli strumenti di decodificazione propri di Arthur, e ci viene detto da subito quanto questi strumenti siano registrati su codici non convenzionali: l'uomo è un derelitto, sconfitto dalla vita e dagli eventi, schiavo di una malattia mentale che gli impedisce addirittura di spiegare di cosa si tratti, costringendolo a comunicare la cosa tramite un biglietto.
Tornando al discorso dell'immedesimazione, quella scena in autobus all'inizio del film mi ha colpito in maniera impressionante, e non mi vergogno a dire che ho immediatamente empatizzato con lui al punto di trovarmi in lacrime mentre assistevo al profondo dramma di questo ometto frainteso, deriso e incompreso.
"La cosa peggiore della malattia mentale è che tutti si aspettano che tu ti comporti come se non l'avessi"
Questo recita una delle tante frasi scritte sul diario di Arthur/Joker, ed è una riflessione di una lucidità devastante che sottolinea quanto la società non sia disposta ad accettare, aiutare, coinvolgere il diverso e lo sfortunato.
Joker sceglie dunque di metterci alla prova e giocare con noi fin dal principio: penso sia palese l'intenzione di Todd Phillips e Scott Silver nel lasciare che l'interpretazione di tutto il film, e soprattutto del finale, resti aperta alle varie chiavi di lettura.
Scelta che ritengo sia molto più affascinante rispetto a un mero "è andata così" perché a ben vedere, e scostandosi per un momento della monumentale prova di Phoenix, lo script è in molti passaggi quasi banale.
Ma all'inizio vediamo Arthur ospite del talk show di Murray Franklin, sapendo perfettamente che ciò che stiamo vedendo non sia vero.
Illusione palesata dallo stacco improvviso che ci riporta al momento in cui guarda la tv, nella bettola dove vive con una madre bisognosa di affetto e attenzioni.
La seconda volta che Joker ci illude è invece più infida: da spettatori, pur sembrandoci strano, accettiamo il fatto che Sophie Dumond (Zazie Beetz) scelga di frequentare Arthur.
Crediamo al loro primo incontro in ascensore e a quello successivo sulla soglia della porta, crediamo allo spettacolo di stand-up comedy dove in seguito all'intoppo iniziale di Arthur la vediamo ridere, crediamo al loro appuntamento nel quale lei chiarisce il proprio punto di vista in merito all'omicidio dei tre yuppie in metropolitana e crediamo anche al rapporto consolidatosi al punto da accompagnarlo in ospedale per assistere la madre.
Ma tutto ciò non è mai esistito.
Esiste solo nella testa di Arthur, in quella testa che lui sa perfettamente essere malata anche se ancora non sa fino a che punto lo sia.
Le allucinazioni di Arthur in Joker peggiorano con il passare del tempo.
E quando scopre la verità su se stesso e sulla madre, la malattia lo corrode sempre di più, facendolo svalvolare completamente perché come ammette lui stesso non ha più niente da perdere.
Allora quando alla fine del film lo vediamo trucidare Murray Franklin - interpretato da un Robert De Niro sornione, conscio di essere all'interno di un film che cita a piene mani due film dei quali fu protagonista con due performance straordinarie - e quando vediamo Arthur che a tutti gli effetti si tramuta in Joker, quando dopo il terribile incidente in strada si rialza e viene acclamato dalla folla…
Siamo davvero sicuri che ciò che vediamo sia reale e non sia invece l'ennesima illusione di una mente distrutta dalla malattia?
Quale sarebbe altrimenti la barzelletta che la psicologa della prigione "non riuscirebbe a comprendere"?
"Ho sempre pensato alla mia vita come a una tragedia, adesso vedo che è una commedia" racconta il Joker.
Per un uomo costretto a ridere anche quando non vuole, l'illusione di una vita da protagonista potrebbe essere l'unica vera scappatoia da un mondo reale che non accetta le rivoluzioni.
Che non vuole che il povero si ribelli, che tiene lontano il diverso e lo prende a calci mentre sta in terra e a pugni mentre in bagno chiede soltanto un abbraccio da parte di quello che crede essere suo padre.
Da un mondo che preferisce prendersi gioco di una figurina tragica come quella di Arthur Fleck, chiamando l'emittente televisiva per chiedere di poterlo rivedere e così riderne ancora.
Per ridere di lui e non con lui.
Per non accettare che un uomo simile possa essere "destinato a portare gioia e sorrisi nel mondo".
Perché la società si è dimenticata di indossare una faccia felice e preferisce affondare e nel frattempo accumulare il possibile finché può.
Allora forse è davvero meglio illudersi di essere riusciti a ucciderla, questa società.
Meglio convincersi che coloro che non ti hanno mai guardato al punto di farti dubitare della tua stessa esistenza adesso ti guardino e ti ammirino, meglio credere che il mondo intero prenda esempio da te e ti porti sulle spalle in trionfo.
E scappare come in un cartone animato in un finale al limite dell'onirico, illuminato da un bianco accecante e irreale dove Joker fugge per l'ennesima volta da chi lo insegue, in un ralenti che chiude un film non perfetto ma carico di cruda poesia, che ci regala un personaggio difficile da digerire e impossibile da dimenticare.
"In ogni strada di questo paese c'è un nessuno che sogna di diventare qualcuno.
È un uomo dimenticato e solitario che deve disperatamente provare di essere vivo".
La frase di lancio di Taxi Driver nel 1976 calza alla perfezione per il Joker del 2019.
E la cosa più pesante da accettare è rendersi conto che a oltre quarant'anni di distanza gli ultimi siano rimasti tali.
Ma non pensiamoci troppo, e mettiamoci addosso una faccia felice.
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La Recensione più entusiasta
di Marco Natale
02 nov 2019
100%
È un film che non riesco a giudicare obiettivamente. Mi ha emotivamente travolto. Phoenix è devastante, sentivo il suo dolore e riuscivo a capire perfettamente il suo pensiero, insomma una...
È un film che non riesco a giudicare obiettivamente. Mi ha emotivamente travolto. Phoenix è devastante, sentivo il suo dolore e riuscivo a capire perfettamente il suo pensiero, insomma una performance che ti entra dentro. Phillips, che mi è stato sempre simpatico da Una Notte Da Leoni a Trafficanti dove si era già dimostrato capace di fare film più autoriali trattando temi sociali e politici, ti porta in un viaggio verso la follia che cresce sempre di più. Non una follia nata a caso. Ti butta in faccia la follia della natura umana e di questa società marcia. Accendete la tv o uscite fuori e vedete cosa abbiamo in comune con questa Gotham. Politici che mentono dicendo di fare del bene quando se ne fregano dei poveri e non ci pensano due volte a tagliare fondi socialmente utili, personaggi televisivi che si divertono a prendere in giro le persone (*coff* Barbara D'Urso *coff*) fregandosene dei loro sentimenti, cittadini che non hanno alcun rispetto per il prossimo e il diverso e chissà cos'altro. Un film che mi ha stravolto emotivamente, disturbato, affascinato e che ho già visto 2 volte e non vedo l'ora di vederlo una terza volta. Da vedere e rivedere. Grazie Todd e grazie Joaquin per essere un attore così devastante
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La Recensione più cattiva
di SViulenz
31 ott 2019
80%
Bisogna sorridere. Sempre. Mantenere vivo il sorriso sul volto nonostante ciò che ci circonda fa di tutto per rimuovercelo. Sorridere rende felici e rasserena gli altri. Il sorriso, come quello...
Bisogna sorridere. Sempre. Mantenere vivo il sorriso sul volto nonostante ciò che ci circonda fa di tutto per rimuovercelo. Sorridere rende felici e rasserena gli altri. Il sorriso, come quello contagioso di un clown, è una maschera che la società ci chiede di indossare per far finta che tutto vada bene, che non ci sia nulla di cui preoccuparsi. Ridi, scherza sui problemi e vedrai che tutto andrà a posto da sé.
Ma anche il più paziente, il più fragile, arriva ad un punto in cui sorridere non gli è più possibile. Quel momento in cui non riesce più a reggere i colpi, le infamie e le cattiverie che il mondo continua ad infliggergli. Ed è un punto di non ritorno, perché si tratta di quel limite hobbesiano che la civilità presuppone per mantenere una convivenza serena tra gli esseri umani. Quello civile è un patto di non aggressione, di rispetto verso l'altro, di collaborazione reciproca, di empatia. Quel "siamo lupi mannari" detto nel discorso finale di Arthur ricorda appunto l'homo omini lupus di Hobbes: l'uomo è istintivamente una bestia feroce. La civiltà esiste per cercare di limitare questo suo istinto.
Arthur è un uomo piccolo, gracile, disturbato da una risata isterica e dolorosa. Necessita di supporto per riuscire a mantenere l'autocontrollo, per tenere a bada I disturbi che da sempre lo attanagliano. Quando I servizi sociali di cui fa uso vengono sospesi a causa di un inspiegabile taglio di fondi, Arthur non ha più alcun freno. Non c'è più nulla che possa contenere la sua rabbia verso tutti coloro che continuano ad ignorarlo e, anzi, ad infierire su di lui. Non ha più i medicinali necessari ad affrontare il male che cova dentro di sé. Come soluzione alternativa alla sua instabilità emotiva scopre la violenza - violenza che non gli provoca alcun rimorso -. E' l'omicidio a sangue freddo, nato dalla rabbia, dall'insofferenza nel continuare a salire una ripida scalinata senza ottenere mai nulla di concreto e appagante in cambio. Sentendosi dimenticato, trascurato, lasciato solo ad affrontare una malattia mentale che lo rende diverso, strano, ripugnante agli altri. La violenza diventa allora, come le medicine, una nuova dipendenza che gli rende sopportabile la malattia. E insieme diventa anche un elemento che lo rende visibile agli altri e alla società, gli fa acquisire importanza trasformandolo addirittura nel simbolo di un movimento.
Si tratta di una scalinata simbolica, nel film riproposta più volte, che generalmente tutti cercano di salire adeguandosi a delle regole. Paradossalmente è iniziando ad indossare una vera maschera da clown sorridente, anche quando non gli è richiesto, che Arthur si scopre esistere, diventando ciò che la società avrebbe dovuto tenere a bada. Smette dunque di sorridere a comando perché impostogli da regole di convivenza che un cinismo smisurato hanno infranto. È scegliendo di scendere la scala, di abbracciare il lato oscuro di sé, che Arthur completa la sua trasformazione nel Joker. I freni del patto sociale sono ormai stati infranti dalla stessa società che glieli ha imposti. Arthur viene sbloccato e con lui si sblocca una grossa fetta della popolazione di Gotham che, come lui, si è sempre sentita invisibile, trascurata, presa in giro, tradita da promesse mai davvero mantenute. La stessa rabbia che Arthur covava dentro di sé, la cova anche parte della città che, insieme a lui, esplode in un turbine di furore e violenza.
La rivolta violenta è però una non soluzione, perché potrebbe semplicemente essere frutto di una prospettiva sbagliata nei confronti di un problema; un po’ come cercare di entrare in un edificio e andare a sbattere contro la porta a vetri scorrevole che, non aprendosi, sembrerebbe non percepire la tua presenza: potrebbe invece semplicemente trattarsi della porta di uscita. Ma è giusto che Arthur non consideri questa opzione, perché è vittima di un male, quello della malattia, che non gli permette di avere una visione lucida della realtà. Qui il film di Todd Phillips si fa più cupo e critico perché chi dovrebbe avere una visione lucida della realtà sceglie di far finta di nulla, si affida al cinismo, dimentica l'empatia sferrando un pugno in faccia a chi chiede aiuto e un minimo di considerazione nei suoi confronti. Lasciando campo libero a chi invece è vittima di illusioni provocate dal male intrinseco in sé.
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di Tati23
02 giu 2020
82%
PENSAVO CHE LA MIA VITA FOSSE UNA TRAGEDIA, MA ORA MI RENDO CONTO CHE È UNA COMMEDIA”
Il film Joker è stato presentato a Toronto Film Festival e al...
PENSAVO CHE LA MIA VITA FOSSE UNA TRAGEDIA, MA ORA MI RENDO CONTO CHE È UNA COMMEDIA”
Il film Joker è stato presentato a Toronto Film Festival e al Festival di Venezia.
Todd Phillips dirige e sceneggia la pellicola utilizzando una trama che si discosta dalla linea narrativa della DC Comics, per creare una storyline completamente originale riguardo uno dei villain più iconici di Gotham City e futura nemesi di Batman.
Il regista sceglie di sviluppare la storia di del film Joker in una Gotham più cupa e cruda, che ricorda molto quella usata per Batman Il cavaliere oscuro.
Lo fa utilizzando tematiche attuali come la disoccupazione, la criminalità non controllata per le strade, una politica arrivista che non pensa al bene dei cittadini che si scontra scioperi e cortei. Lasciando una Gotham inerme, sperduta ed indifesa come i suoi abitanti. Si evidenzia inoltre un nuovo lato della figura di Thomas Wayne meno empatica e più crudele.
L’interpretazione di Joaquin Phoenix nei panni di Arthur Fleck/Joker regge la maggior parte del film, coprendo le imperfezioni di una trama a tratti prevedibile e che non convince del tutto. Ed è proprio la caratterizzazione del personaggio e la sua evoluzione a rendere questo Joker una sorta di simbolo di protesta delle masse.
Si gioca soprattutto sulla dualità della figura del pagliaccio e sul desiderio del protagonista di riuscire a far ridere quando la sua esistenza è fatta di solitudine e mortificazione. Un personaggio che per difendersi esce dagli schemi ed usa la violenza come unico appiglio di salvezza.
In conclusione il film Joker risulta un cinecomic lontano dalla solita visione, controverso e dark. Lavora sulla psicologia dell'iconico villain esplorandone le origini attraverso un percorso fatto di distruzione e dolore, che si chiuderà con la creazione di quel personaggio che il pubblico conosce.
Una pellicola crudelmente poetica che non ha paura di mostrare il lato scomodo della società e che dividerà l’opinione dei fan.
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di Pentothal
30 gen 2020
87%
Genere completamente diverso per il regista, che dopo Trafficanti mostra le sue ottime capacità nel variare, Joaquin Phoenix strabiliante, il resto come fotografia e sceneggiatura da brividi!
Genere completamente diverso per il regista, che dopo Trafficanti mostra le sue ottime capacità nel variare, Joaquin Phoenix strabiliante, il resto come fotografia e sceneggiatura da brividi!
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26 nov 2019
90%
secondo me il miglior film tratto dai fumetti.
non si perdono in cose troppo ''fumettose'' o su un Joker troppo vicino alla controparte cartecea.
una vera storia di origini, dell'ascesa...
secondo me il miglior film tratto dai fumetti.
non si perdono in cose troppo ''fumettose'' o su un Joker troppo vicino alla controparte cartecea.
una vera storia di origini, dell'ascesa alla follia del personaggio più pazzo della DC.
onestamente non ho sentito nemmeno la necessità di un Batman in questa storia.
come commentato però nell'articolo relativo al sequel, trovo che sia un film che non necessità di un seguito, funziona bene da solo.
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di Marco Natale
02 nov 2019
100%
È un film che non riesco a giudicare obiettivamente. Mi ha emotivamente travolto. Phoenix è devastante, sentivo il suo dolore e riuscivo a capire perfettamente il suo pensiero, insomma una...
È un film che non riesco a giudicare obiettivamente. Mi ha emotivamente travolto. Phoenix è devastante, sentivo il suo dolore e riuscivo a capire perfettamente il suo pensiero, insomma una performance che ti entra dentro. Phillips, che mi è stato sempre simpatico da Una Notte Da Leoni a Trafficanti dove si era già dimostrato capace di fare film più autoriali trattando temi sociali e politici, ti porta in un viaggio verso la follia che cresce sempre di più. Non una follia nata a caso. Ti butta in faccia la follia della natura umana e di questa società marcia. Accendete la tv o uscite fuori e vedete cosa abbiamo in comune con questa Gotham. Politici che mentono dicendo di fare del bene quando se ne fregano dei poveri e non ci pensano due volte a tagliare fondi socialmente utili, personaggi televisivi che si divertono a prendere in giro le persone (*coff* Barbara D'Urso *coff*) fregandosene dei loro sentimenti, cittadini che non hanno alcun rispetto per il prossimo e il diverso e chissà cos'altro. Un film che mi ha stravolto emotivamente, disturbato, affascinato e che ho già visto 2 volte e non vedo l'ora di vederlo una terza volta. Da vedere e rivedere. Grazie Todd e grazie Joaquin per essere un attore così devastante
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di SViulenz
31 ott 2019
80%
Bisogna sorridere. Sempre. Mantenere vivo il sorriso sul volto nonostante ciò che ci circonda fa di tutto per rimuovercelo. Sorridere rende felici e rasserena gli altri. Il sorriso, come quello...
Bisogna sorridere. Sempre. Mantenere vivo il sorriso sul volto nonostante ciò che ci circonda fa di tutto per rimuovercelo. Sorridere rende felici e rasserena gli altri. Il sorriso, come quello contagioso di un clown, è una maschera che la società ci chiede di indossare per far finta che tutto vada bene, che non ci sia nulla di cui preoccuparsi. Ridi, scherza sui problemi e vedrai che tutto andrà a posto da sé.
Ma anche il più paziente, il più fragile, arriva ad un punto in cui sorridere non gli è più possibile. Quel momento in cui non riesce più a reggere i colpi, le infamie e le cattiverie che il mondo continua ad infliggergli. Ed è un punto di non ritorno, perché si tratta di quel limite hobbesiano che la civilità presuppone per mantenere una convivenza serena tra gli esseri umani. Quello civile è un patto di non aggressione, di rispetto verso l'altro, di collaborazione reciproca, di empatia. Quel "siamo lupi mannari" detto nel discorso finale di Arthur ricorda appunto l'homo omini lupus di Hobbes: l'uomo è istintivamente una bestia feroce. La civiltà esiste per cercare di limitare questo suo istinto.
Arthur è un uomo piccolo, gracile, disturbato da una risata isterica e dolorosa. Necessita di supporto per riuscire a mantenere l'autocontrollo, per tenere a bada I disturbi che da sempre lo attanagliano. Quando I servizi sociali di cui fa uso vengono sospesi a causa di un inspiegabile taglio di fondi, Arthur non ha più alcun freno. Non c'è più nulla che possa contenere la sua rabbia verso tutti coloro che continuano ad ignorarlo e, anzi, ad infierire su di lui. Non ha più i medicinali necessari ad affrontare il male che cova dentro di sé. Come soluzione alternativa alla sua instabilità emotiva scopre la violenza - violenza che non gli provoca alcun rimorso -. E' l'omicidio a sangue freddo, nato dalla rabbia, dall'insofferenza nel continuare a salire una ripida scalinata senza ottenere mai nulla di concreto e appagante in cambio. Sentendosi dimenticato, trascurato, lasciato solo ad affrontare una malattia mentale che lo rende diverso, strano, ripugnante agli altri. La violenza diventa allora, come le medicine, una nuova dipendenza che gli rende sopportabile la malattia. E insieme diventa anche un elemento che lo rende visibile agli altri e alla società, gli fa acquisire importanza trasformandolo addirittura nel simbolo di un movimento.
Si tratta di una scalinata simbolica, nel film riproposta più volte, che generalmente tutti cercano di salire adeguandosi a delle regole. Paradossalmente è iniziando ad indossare una vera maschera da clown sorridente, anche quando non gli è richiesto, che Arthur si scopre esistere, diventando ciò che la società avrebbe dovuto tenere a bada. Smette dunque di sorridere a comando perché impostogli da regole di convivenza che un cinismo smisurato hanno infranto. È scegliendo di scendere la scala, di abbracciare il lato oscuro di sé, che Arthur completa la sua trasformazione nel Joker. I freni del patto sociale sono ormai stati infranti dalla stessa società che glieli ha imposti. Arthur viene sbloccato e con lui si sblocca una grossa fetta della popolazione di Gotham che, come lui, si è sempre sentita invisibile, trascurata, presa in giro, tradita da promesse mai davvero mantenute. La stessa rabbia che Arthur covava dentro di sé, la cova anche parte della città che, insieme a lui, esplode in un turbine di furore e violenza.
La rivolta violenta è però una non soluzione, perché potrebbe semplicemente essere frutto di una prospettiva sbagliata nei confronti di un problema; un po’ come cercare di entrare in un edificio e andare a sbattere contro la porta a vetri scorrevole che, non aprendosi, sembrerebbe non percepire la tua presenza: potrebbe invece semplicemente trattarsi della porta di uscita. Ma è giusto che Arthur non consideri questa opzione, perché è vittima di un male, quello della malattia, che non gli permette di avere una visione lucida della realtà. Qui il film di Todd Phillips si fa più cupo e critico perché chi dovrebbe avere una visione lucida della realtà sceglie di far finta di nulla, si affida al cinismo, dimentica l'empatia sferrando un pugno in faccia a chi chiede aiuto e un minimo di considerazione nei suoi confronti. Lasciando campo libero a chi invece è vittima di illusioni provocate dal male intrinseco in sé.
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21 ott 2019
80%
Il film ha soddisfatto ampiamente le mie aspettative, era il "Joker" che mi aspettavo di vedere. Joaquin Phoenix regge sulle sue esili e quasi deformi spalle tutto il film, forse è uno di quei pochi...
Il film ha soddisfatto ampiamente le mie aspettative, era il "Joker" che mi aspettavo di vedere. Joaquin Phoenix regge sulle sue esili e quasi deformi spalle tutto il film, forse è uno di quei pochi esempi in cui l'attore protagonista supera per importanza il regista; questo ci può stare, dal momento che Todd Phillips non è Scorsese e Phoenix è un fenomeno tra i fenomeni da ormai diversi anni. Phillips, tuttavia, svolge il suo lavoro in maniera ottima, così come il comparto tecnico con fotografia, montaggio e musiche risulta coerente e segue la rotta illuminata dal faro del film, che rimane ad ogni modo il suo attore protagonista. In "Joker" le caratteristiche dei classici cinecomic sono quasi assenti, del resto non esiste nemmeno un eroe e un cattivo, e la narrazione si concentra sul dramma psicologico di Arthur, in un crescendo ineluttabile di follia e disperazione. Per ottenere questo, Phillips pesca sapientemente a piene mani dalla filmografia di Scorsese, Taxi Driver e Re per una notte su tutti, con uno sguardo anche all'indimenticabile Joker interpretato da Heath Ledger, sebbene in quest'ultimo predomini più la filosofia della follia e del caos piuttosto che la pazzia in se per se. Anche a me la sceneggiatura è apparsa un po' esile, essa infatti poteva essere l'elemento chiave per rendere questa pellicola un capolavoro assoluto, benchè non manchino scene memorabili, su tutte la danza del Joker sulla coreografica scalinata e nello squallido bagno al neon, danza che, per l'appunto, è considerata storicamente un'espressione ancestrale della follia. Infine, credo che questa incredibile e faticosissima interpretazione di Phoenix possa finalmente valergli l'oscar come miglior attore protagonista, seppur trovando personalmente la sua prova in "The Master" di poco superiore. P.S. SPOILER: la scena finale nell'Arkham Asylum mi ha ricordato subito un'altro finale, la corsa di Steve nell'ospedale psichiatrico in "Mommy" di Dolan.
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di Daniel-san
20 ott 2019
90%
Il tema della pazzia è un aspetto che affascina il pubblico.
Quando opportunamente trattato riesce anche a riscuotere un successo globale.
Cos’è di fatto la pazzia? Siamo obbligati ad...
Il tema della pazzia è un aspetto che affascina il pubblico.
Quando opportunamente trattato riesce anche a riscuotere un successo globale.
Cos’è di fatto la pazzia? Siamo obbligati ad indossare “maschere sociali”, per poter vivere in comunità? Viene naturale escludere coloro che non si adeguano alle regole comuni?
Le questioni sollevate da Joker, sicuramente non brillano di originalità nelle tematiche. Eppure continuo a chiedermi perché la pellicola mi abbia affascinato in maniera tanto forte, e perché se ne parli così tanto.
Come ho già letto in svariate recensioni e articoli, il film di Todd Philips mette in tavola tante questioni, molte delle quali (se non tutte) attuali, che lo portano obbligatoriamente ad essere un prodotto discusso.
E tali discussioni non nascono tanto per la scelta dei temi trattati, quanto per le modalità.
Il mio personale parere è che questo film non poteva essere girato in maniera differente: quando il protagonista di un’opera diventa un uomo alienato, disadattato e disturbato, il modo migliore per “empatizzare” con gli eventi diviene quello di mostrare una pellicola alienante (ed a tratti anche disturbante) agli occhi dello spettatore. Le questioni nate in merito al film, probabilmente intendono smuovere una critica proprio nell’aver reso il prodotto troppo “trascinante”, facilmente “influenzabile”; ma, in fondo, la differenza tra un buon prodotto o meno, non sta proprio nella capacità di coinvolgere completamente chi lo sta guardando?
Questo film non sarà un capolavoro, ma a mio parere non lo si può definire come un “film non riuscito”. È vero, a volte strizza un po’ troppo l’occhio a qualche pellicola di Scorsese, ma qualsiasi artista prende ispirazione da prodotti di successo e verso cui nutre stima. Personalmente ho visto in questo Joker un’ottima regia, un Joaquin Phoenix in grado di far suo un personaggio difficile, una fotografia volutamente “malsana” ed una colonna sonora veramente azzeccata, sia nei brani scelti che nelle composizioni originali.
Ne esce fuori un prodotto che non profuma di nuovo, ma che al contempo ti sembra di vedere per la prima volta. Una pellicola che ti cattura, e che ti fa uscire dalla sala pensando “ma è roba che ho già visto, come ha fatto a coinvolgermi e catturarmi a tal punto?!”. In un era dove Hollywood rischia di arenarsi nell’assenza di originalità, Joker riesce per me a portare aria di freschezza pur trattando argomenti o personaggi già visti.
Si potrebbe parlare della filosofia pirandelliana delle maschere sociali, si potrebbe parlare dell’empatia nei confronti dei folli, degli incompresi; la mia intenzione è piuttosto parlare di una chiave di lettura strettamente personale che ho dato durante la visione (che sicuramente non sarà la tematica principale, ma che mi ha particolarmente colpito, a causa della fase della mia vita in cui ho vissuto questa pellicola): in un periodo in cui sentivo solo voglia di ridere ed essere felice, e quando in realtà avevo bisogno di piangere, Joker mi ha insegnato che non sempre bisogna sforzarsi di essere felici, di stare bene; ma che, piuttosto, affrontare certi drammi con tristezza e pianto aiuta, aiuta a metabolizzare le mazzate che la vita può darti, senza farti sfociare nella follia.
Joker, nonostante si è rivelato all’altezza delle mie aspettative, è stato comunque una rivelazione. La conferma che il “cinema d’autore” è perfettamente compatibile con quello “commerciale”, che anche un prodotto non strettamente legato ai canoni del “blockbuster hollywoodiano” può raggiungere una grossa fetta di pubblico. Sta alla gente, poi, dare la giusta chiave interpretativa; interrogarsi sulla morale (qua, più che in altri prodotti, fortemente soggettiva) che si voleva raggiungere.
La pellicola di Todd Philips dovrebbe essere d’esempio per quei film che vogliono rivolgersi a quante più persone possibili, perché dimostra che anche un film che non fa forza sul soggetto o sulla sceneggiatura può risultare un prodotto eccelso (e, a modo suo, originale); sfruttando al massimo tutti gli altri mezzi che, nel loro insieme, costituiscono quello che è il Cinema
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di HAL 9000
20 ott 2019
80%
Il joker di Tod Phillips è piaciuto praticamente a tutti. Personalmente ho sempre amato i personaggi emarginati perchè riesco ad essere in sintonia con loro, a capirli, e come ha detto Josh Brolin...
Il joker di Tod Phillips è piaciuto praticamente a tutti. Personalmente ho sempre amato i personaggi emarginati perchè riesco ad essere in sintonia con loro, a capirli, e come ha detto Josh Brolin "per apprezzare joker bisogna aver sofferto". Gli elementi che più ho apprezzato di questa opera sono sicuramente le citazioni di due grandi film taxi driver e re per una notte. Joker è un grande film perchè offre al pubblico la possibilità di dare delle interpretazioni. Sicuramente non è esente da difetti alcune scene sono poco originali, ma poco importa questo joker grazie anche alla superlativa prova di Joaquin Phoenix è già entrato nel immaginario collettivo come simbolo di ribellione.
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19 ott 2019
85%
Il Joker di Todd Phillips sceglie di raccontarci una storia che si presta a molteplici chiavi di lettura, caratteristica questa posseduta solo dai grandi film.
E Joker è indubbiamente...
Il Joker di Todd Phillips sceglie di raccontarci una storia che si presta a molteplici chiavi di lettura, caratteristica questa posseduta solo dai grandi film.
E Joker è indubbiamente un grande film, nonostante scelga di poggiarsi interamente sulle spalle del suo protagonista - un Joaquin Phoenix da mostrare in qualunque scuola di recitazione da qui in avanti - e nonostante le evidenti ispirazioni degli sceneggiatori arrivino a volte a mangiarsi la storia che stiamo vedendo.
La Gotham del Joker di Todd Phillips è una più che evidente New York scorsesiana, e non è l'unico omaggio che il film tributa al regista di Taxi Driver.
Arthur Fleck è un nuovo Travis Bickle, ne condivide il disagio e la ricerca di un posto nel mondo, entrambi faticano a rapportarsi con il prossimo e con l'universo femminile ed entrambi vivranno un momento decisivo che cambierà loro la testa grazie all'uso di un'arma.
Anche il finale è identico: l'antieroe assurge a modello, l'assassino diventa un simbolo, la reazione violenta non viene demonizzata dai più ma anzi è vissuta come atto liberatorio e dovuto.
Con tanto di gesto delle dita a forma di pistola contro la tempia, che se in Taxi Driver risulta agghiacciante nel finale, in Joker viene reiterato durante il film.
Re per una Notte è l'altro evidentissimo film di Martin Scorsese da cui Scott Silver e Todd Phillips hanno preso a piene mani, ma se Rupert Pupkin era comunque in grado di fare quello che desiderava fare - il suo show di stand-up comedy è a tutti gli effetti divertente - Arthur Fleck resta imprigionato nella sua malattia, che non gli permette di relazionarsi con il mondo esteriore e di vedere le cose da un punto di vista diverso dal proprio.
Joker è infatti interamente raccontato attraverso i suoi occhi, le lenti con cui guarda il mondo sono quelle che vengono messe davanti agli occhi degli spettatori, che spesso non si rendono conto che ciò a cui assistono è soltanto una gigantesca illusione partorita da una mente gravemente malata.
E questa presa di posizione da parte della regia dà modo a Joaquin Phoenix di cannibalizzare totalmente il film, con il risultato di essere presente praticamente in tutte le inquadrature e di far sì che qualunque altro personaggio presente in Joker risulti essere una figurina bidimensionale senza importanza.
Ma se il peso di Taxi Driver l'ho vissuto come un difetto del film, arrivo adesso ad esporre quelli che secondo me sono i suoi pregi più grandi.
Tecnicamente il film lo ritengo ineccepibile.
È una banalita, perché è talmente evidente che quasi non si dovrebbe neanche sottolineare, ma la fotografia del film aumenta la sensazione di malessere e illustra alla perfezione il momento che precede l'esplosione di una bomba civile.
Le tonalità spaziano dal gelido al tiepido, mantenendo sempre una patina in superficie come se anche ciò che vediamo fosse sudicio, impolverato e trascurato come l'anima di quel Joker che ancora deve diventare Joker; costumi e scenografie seguono la spirale inesorabile del personaggio, e se all'inizio del film Arthur indossa degli abiti anonimi e al limite dell'incolore, il suo trucco e quell'abito rosso e senape nel terzo atto colpiscono l'occhio.
Così come lo colpiscono il rosso vivo del sangue e le luci di una città che ancora non conosce i led e i neon e vive di bulbi a incandescenza che contribuiscono a collocare la storia nel 1981 (a scanso di equivoci a un certo punto si vede Blow Out in cartellone in un cinema: il film di Brian De Palma uscì negli USA a fine luglio 1981).
La composizione dei quadri è una gioia per gli occhi: il film inizia con Arthur allo specchio che si sta truccando da clown e il film dichiara così da subito il doppio e la maschera, il reale e la rappresentazione del reale, e staccando su un primissimo piano di Phoenix ne mette in risalto gli occhi e lo sguardo.
Tutti temi che saranno centrali in Joker, così come il suo tentativo forzato di sorridere, obbligando se stesso con le dita a piegare la bocca verso l'alto.
In tutto il primo atto di Joker Joaquin Phoenix risulta spesso impallato, semi-nascosto da un oggetto, non visibile totalmente, un po' come se egli stesso non volesse esporsi e allo stesso modo come se fotografia e regia volessero occultarlo alla nostra vista per non mostrarcelo intero.
Ma per tutto il film la macchina da presa è totalmente dipendente dalla sua figura: lo scruta, ne indaga i dettagli e ne mostra implacabile i difetti, con quella schiena curva e quella cassa toracica spigolosa, si soffema su primi e primissimi piani di Phoenix che danno modo all'attore di recitare nel dettaglio minimo, riuscendo a cambiare espressione muovendo a volte appena un paio di muscoli facciali.
E il lavoro che Phoenix ha fatto sul suo personaggio in Joker mi ha colpevolmente portato a stare con lui.
Probabilmente in Joker, più che in altri film hollywoodiani recenti, il lavoro di scavo dentro le sensazioni dello spettatore risente molto del vissuto di quest'ultimo.
Per vari motivi personali, che non starò qui a illustrare, sono da sempre portato a empatizzare tantissimo con le figure emarginate, i personaggi tristi, coloro che vengono ripetutamente presi a calci dalla vita e non hanno possibilità di riscatto, gli ultimi della società che non riescono e non possono in alcun modo risalire la scala sociale per poter dire di aver vissuto una vita gratificante.
Gli sconfitti, i malati, i perdenti.
Soffro sempre molto vedendoli perché istintivamente mi metto nei loro panni e mentre mi rendo conto di che fortuna io abbia a non trovarmi al loro posto, ne piango i destini infami che li hanno collocati lì.
In un posto da dove loro malgrado non riescono a uscire, nonostante abbiano una tremenda voglia di farlo.
Ogni film cambia a seconda di chi lo sta guardando e capita che arrivi in maniera totalmente diversa agli spettatori, in base a cosa quegli spettatori hanno affrontato nella loro vita.
Arthur Fleck in Joker mi ha fatto una pena immensa, e ammetto senza vergogna che la sceneggiatura - che pur non risplende per originalità - è riuscita a farmi stare dalla sua parte.
Anche se è un omicida.
Anche se è un pericolo per la società.
Comprendo il suo dolore e la sua fatica, visibile nei lividi sul corpo e percepibile nei lividi psicologici impressigli dentro dal suo passato.
Non ne condivido le reazioni, ovvio.
Ma capisco perché arrivi a fare ciò che fa e capisco il sentimento di rivalsa che prova alla fine.
Capisco anche come mai Joker negli USA stia facendo molto discutere, ed è un tema che in altri paesi può essere compreso fino a un certo punto.
In questo periodo storico le élite sono sempre più distanti dal mondo reale, il ricco è sempre più ricco e il povero sempre più povero, il ceto medio sta svanendo e il capitalismo ha ormai così tanto in pugno le nostre esistenze che qualunque decisione si debba prendere nell'ottica di un miglioramento collettivo delle condizioni di vita deve necessariamente scontrarsi con la realtà di un'industrializzazione selvaggia, di una società schiava del mercato azionario che essa stessa ha creato e totalmente dipendente dallo sfruttamento delle risorse naturali in esaurimento.
A tutto ciò aggiungiamo che negli USA il discorso sul controllo delle armi è ormai all'ordine del giorno, con le stragi nei supermercati e in mezzo alle strade che si fanno più frequenti e un Donald Trump che vuole rimanere saldamente attaccato alla NRA, ribadendo il diritto degli statunitensi a possedere un'arma da fuoco sancito dal II emendamento della loro Costituzione.
È evidente quindi che Joker appaia come una fortissima critica a quella società e alla mancanza di controllo, ed è chiaro altresì che l'establishment statunitense abbia il terrore che il film possa essere preso come simbolo e spinta per l'inizio di una rivoluzione armata che parte dal basso, da quella società civile sempre più abbandonata a se stessa, dove gli aiuti sono lasciati al buon cuore delle associazioni di volontariato perché istituzionalmente, quando c'è da tagliare qualche fondo, i primi a subirne le conseguenze sono loro... esattamente come succede nel film.
Kill the Rich, recitano i titoli di giornale in Joker.
Oltre alla già citata performance di un immenso Joaquin Phoenix - che ha lavorato fisicamente e psicologicamente sul personaggio dimagrendo una ventina di chili e studiando la patologia che costringe chi ne è affetto a incontrollabili esplosioni di risa o di pianto - Joker è a mio avviso costruito con grande classe per farsi beffe dello spettatore in maniera subdola e ingannevole.
Come detto, il racconto viaggia attraverso gli strumenti di decodificazione propri di Arthur, e ci viene detto da subito quanto questi strumenti siano registrati su codici non convenzionali: l'uomo è un derelitto, sconfitto dalla vita e dagli eventi, schiavo di una malattia mentale che gli impedisce addirittura di spiegare di cosa si tratti, costringendolo a comunicare la cosa tramite un biglietto.
Tornando al discorso dell'immedesimazione, quella scena in autobus all'inizio del film mi ha colpito in maniera impressionante, e non mi vergogno a dire che ho immediatamente empatizzato con lui al punto di trovarmi in lacrime mentre assistevo al profondo dramma di questo ometto frainteso, deriso e incompreso.
"La cosa peggiore della malattia mentale è che tutti si aspettano che tu ti comporti come se non l'avessi"
Questo recita una delle tante frasi scritte sul diario di Arthur/Joker, ed è una riflessione di una lucidità devastante che sottolinea quanto la società non sia disposta ad accettare, aiutare, coinvolgere il diverso e lo sfortunato.
Joker sceglie dunque di metterci alla prova e giocare con noi fin dal principio: penso sia palese l'intenzione di Todd Phillips e Scott Silver nel lasciare che l'interpretazione di tutto il film, e soprattutto del finale, resti aperta alle varie chiavi di lettura.
Scelta che ritengo sia molto più affascinante rispetto a un mero "è andata così" perché a ben vedere, e scostandosi per un momento della monumentale prova di Phoenix, lo script è in molti passaggi quasi banale.
Ma all'inizio vediamo Arthur ospite del talk show di Murray Franklin, sapendo perfettamente che ciò che stiamo vedendo non sia vero.
Illusione palesata dallo stacco improvviso che ci riporta al momento in cui guarda la tv, nella bettola dove vive con una madre bisognosa di affetto e attenzioni.
La seconda volta che Joker ci illude è invece più infida: da spettatori, pur sembrandoci strano, accettiamo il fatto che Sophie Dumond (Zazie Beetz) scelga di frequentare Arthur.
Crediamo al loro primo incontro in ascensore e a quello successivo sulla soglia della porta, crediamo allo spettacolo di stand-up comedy dove in seguito all'intoppo iniziale di Arthur la vediamo ridere, crediamo al loro appuntamento nel quale lei chiarisce il proprio punto di vista in merito all'omicidio dei tre yuppie in metropolitana e crediamo anche al rapporto consolidatosi al punto da accompagnarlo in ospedale per assistere la madre.
Ma tutto ciò non è mai esistito.
Esiste solo nella testa di Arthur, in quella testa che lui sa perfettamente essere malata anche se ancora non sa fino a che punto lo sia.
Le allucinazioni di Arthur in Joker peggiorano con il passare del tempo.
E quando scopre la verità su se stesso e sulla madre, la malattia lo corrode sempre di più, facendolo svalvolare completamente perché come ammette lui stesso non ha più niente da perdere.
Allora quando alla fine del film lo vediamo trucidare Murray Franklin - interpretato da un Robert De Niro sornione, conscio di essere all'interno di un film che cita a piene mani due film dei quali fu protagonista con due performance straordinarie - e quando vediamo Arthur che a tutti gli effetti si tramuta in Joker, quando dopo il terribile incidente in strada si rialza e viene acclamato dalla folla…
Siamo davvero sicuri che ciò che vediamo sia reale e non sia invece l'ennesima illusione di una mente distrutta dalla malattia?
Quale sarebbe altrimenti la barzelletta che la psicologa della prigione "non riuscirebbe a comprendere"?
"Ho sempre pensato alla mia vita come a una tragedia, adesso vedo che è una commedia" racconta il Joker.
Per un uomo costretto a ridere anche quando non vuole, l'illusione di una vita da protagonista potrebbe essere l'unica vera scappatoia da un mondo reale che non accetta le rivoluzioni.
Che non vuole che il povero si ribelli, che tiene lontano il diverso e lo prende a calci mentre sta in terra e a pugni mentre in bagno chiede soltanto un abbraccio da parte di quello che crede essere suo padre.
Da un mondo che preferisce prendersi gioco di una figurina tragica come quella di Arthur Fleck, chiamando l'emittente televisiva per chiedere di poterlo rivedere e così riderne ancora.
Per ridere di lui e non con lui.
Per non accettare che un uomo simile possa essere "destinato a portare gioia e sorrisi nel mondo".
Perché la società si è dimenticata di indossare una faccia felice e preferisce affondare e nel frattempo accumulare il possibile finché può.
Allora forse è davvero meglio illudersi di essere riusciti a ucciderla, questa società.
Meglio convincersi che coloro che non ti hanno mai guardato al punto di farti dubitare della tua stessa esistenza adesso ti guardino e ti ammirino, meglio credere che il mondo intero prenda esempio da te e ti porti sulle spalle in trionfo.
E scappare come in un cartone animato in un finale al limite dell'onirico, illuminato da un bianco accecante e irreale dove Joker fugge per l'ennesima volta da chi lo insegue, in un ralenti che chiude un film non perfetto ma carico di cruda poesia, che ci regala un personaggio difficile da digerire e impossibile da dimenticare.
"In ogni strada di questo paese c'è un nessuno che sogna di diventare qualcuno.
È un uomo dimenticato e solitario che deve disperatamente provare di essere vivo".
La frase di lancio di Taxi Driver nel 1976 calza alla perfezione per il Joker del 2019.
E la cosa più pesante da accettare è rendersi conto che a oltre quarant'anni di distanza gli ultimi siano rimasti tali.
Ma non pensiamoci troppo, e mettiamoci addosso una faccia felice.
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Anna
10/06/2024
Eris
20/10/2024
Silvia
03/07/2024
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