Le crisi di mezza età esistono, e ciascuno vive la propria in maniera strettamente personale.
Non mi è chiaro capire come (e se) Pedro Almodovar ha vissuto la propria, ma senza dubbio...
Le crisi di mezza età esistono, e ciascuno vive la propria in maniera strettamente personale.
Non mi è chiaro capire come (e se) Pedro Almodovar ha vissuto la propria, ma senza dubbio Salvador Mallo ne attraversa una che lo trasforma.
Dolor y Gloria è il primo film che ho avuto modo di vedere di questo fantastico regista spagnolo, e se da un lato è un peccato, perché tanti autoriferimenti possono essermi sfuggiti, dall’altro è una fortuna: in quei 113 minuti in sala, ho avuto modo di approcciarmi al protagonista ed a ciò che egli rappresenta, imparando a conoscere l’uomo che sta dietro le quinte.
Questo punto di partenza si dimostra quindi tanto inusuale quanto utile: è utile per avvicinarsi in maniera più consapevole al cinema di Almodovar, per cogliere con più attenzione le intenzioni del regista nella sua filmografia, e per capire il vissuto del regista e la sua evoluzione a livello cinematografico.
La pellicola è chiaramente autobiografica, anche se risulta difficile, per chi (come me) sconosce il regista, capire quanto profondamente personale essa arriva ad essere. Nella sua narrazione si vede un personaggio in crisi, che omaggia il capolavoro felliniano ma al contempo se ne discosta completamente, che vive una crisi fisica e psicologica (probabilmente dovuta anche all’età in cui tale crisi è vissuta), e che spinge il protagonista di fronte ad una scelta: accettazione o rifiuto.
L’accettazione diventa quindi il tema portante di tutta la narrazione, sia rivolta alle condizioni che hanno reso possibile la gloria, sia a quelle che sono diventante causa di dolore. La sorpresa giunge proprio nel finale, non tanto per la conclusione di tale percorso di accettazione, quanto piuttosto per le modalità con cui esso si realizza: è in quel momento che diventa palese a chiunque quanto il regista abbia voluto parlare di sé, quali sono state le tappe fondamentali che hanno segnato il suo carattere ed il suo modo di fare cinema.
La salda sceneggiatura, dove è evidente la cura dedicatale, diventa il contorno di una pellicola che mostra anche i suoi punti di forza nelle prove degli attori e nelle scelte registiche: chi, come me, pensava di vedere un film profondamente drammatico, dai toni cupi e con colori spenti, resterà piacevolmente sopreso.
Il film lascia la parte di “dolore” strettamente legata alla figura del suo protagonista, di cui Banderas diventa un degnissimo interprete, per dare invece “gloria” a tutto ciò che lo circonda: scenografie luminose, colorate e personaggi carismatici mostrano un chiaro bisogno di ricercare il positivismo, di vedere il bicchiere mezzo pieno, da parte di un uomo segnato dagli stenti.
Almodovar mostra queste sue intenzioni già dalle scene iniziali, con dei titoli di testa pieni di colori accesi, e sorprende anche con delle scelte registiche insolite, quando deve narrare su schermo delle parti particolarmente descrittive, che potrebbero dunque risultare pedanti.
Consiglio questo film per chi, come me, ha il desiderio di conoscere questo regista tanto rinomato, prima ancora di arrivare a conoscere i suoi film.
Contiene spoiler