Velvet Buzzsaw si apre con una lunga sequenza ambientata in un'asettica mostra d'arte. Con un'inquadratura dall'alto ci viene presentato questo ambiente bianco, perfetto ed impostato. Ci si sente un...
Velvet Buzzsaw si apre con una lunga sequenza ambientata in un'asettica mostra d'arte. Con un'inquadratura dall'alto ci viene presentato questo ambiente bianco, perfetto ed impostato. Ci si sente un po' come il Monsieur Hulot in PlayTime di Tatì, persi in un mondo estraneo e distaccato, quasi meccanico, dove l'arte non è più espressione del sentimento, ma semplice merce. Questo luogo è popolato da spocchiosi critici come Morf (Jake Gyllenhaal) che vagano di qua e di là dispensando i loro apatici giudizi nei confronti delle opere esposte, giudizi però preziosi per i collezionisti e distributori, perché fondamentali per trarre profitto da possibili future mostre. Alla spietata critica di Dan Gilroy nei confronti del mercato dell'arte contemporanea non sfuggono nemmeno gli artisti (John Malkovich), anch'essi schiavi di questo meccanismo dove sono i numeri a parlare e non le emozioni. L'artista è preda del cinico giudizio e ambisce alla pura originalità dimenticandosi di pensare l'arte come un movimento interiore, una spinta verso la rappresentazione esteriore di ciò che alberga dentro di lui. In questo scenario ricco di ipocrisia e sarcasmo, s'inseriscono le opere dell'artista sconosciuto Vetril Dease. Da subito riconosciute come grandiose e ipnotiche, vengono immediatamente date in pasto al mercato, disattendendo la volontà dell'artista di volerle distruggere dopo la sua morte.
L'inquadratura dall'alto viene ripetuta durante tutto l'arco del film, inquadrando sempre da più lontano la città, come a voler man a mano racchiudere in questo mondo d'ipocrisia la società contemporanea nella sua interezza.
Come in Nightcrawler, Dan Gilroy in Velvet Buzzsaw vuole dare una rappresentazione cinica e tagliente di un mondo - nel precedente film era il mondo della televisione, in particolare della cronaca sensazionalistica, qui invece quello dell'arte contemporanea -, alterato dal desiderio di avidità e fama degli uomini. Tuttavia, rispetto a Nightcrawler, sceglie di affidarsi unicamente a tanti, forse troppi, personaggi sopra le righe, volutamente odiosi. Non c'è il tempo per empatizzare con nessuno di essi perché sono presentati fin da subito come sgradevoli. Lou Bloom invece era un personaggio sì disprezzabile, ma ne seguivamo la crescita e ne ammiravamo l'entusiasmo; lo spettatore tifava involontariamente per il suo desiderio di affermarsi come uomo di successo in un campo in cui si trovava finalmente a suo agio. Per questo sul finale si rimaneva incollati alla sedia, agghiacciati dalla sua lucida e fredda determinazione. Velvet Buzzsaw invece manca di tensione perché del destino di questi personaggi non ce ne frega nulla, di conseguenza l'horror diventa semplicemente un pretesto per creare situazioni sanguinose ma del tutto inefficaci. I dialoghi partono come brillanti e ricchi di caustica ironia, ma alla lunga si fanno artificiosi, troppo didascalici di quello che vuole essere il messaggio del film. I quadri maledetti dell'artista hanno in sé un'atmosfera oscura e inquietante. Purtroppo la messa in scena delle sequenze d'orrore non riesce minimamente a riprodurre tale atmosfera disagiante, risultando quindi in scene piuttosto piatte e poco incisive.
Un peccato perché dal regista di uno dei miei film preferiti mi aspettavo qualcosa di più, soprattutto dal punto di vista della costruzione della tensione e dei personaggi.
Contiene spoiler