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Il 4 marzo 2018 Jordan Peele veniva chiamato da Nicole Kidman sul palco degli Academy Awards come vincitore dell’Oscar per la Miglior Sceneggiatura Originale per Scappa - Get Out, entrando nella Storia come il primo sceneggiatore nero a vincere una statuetta in questa categoria.
Poco dopo, lo stesso Peele twittava la sua personale e meravigliosamente esplicativa reazione:
I just won an Oscar. WTF?!?
— Jordan Peele (@JordanPeele) March 5, 2018
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Scappa - Get Out è stato il debutto alla regia di Jordan Peele, nonché il film basato su una sceneggiatura originale con l’incasso di debutto più alto di sempre.
Un successo di critica e pubblico di proporzioni gigantesche.
La Storia del Cinema è stata segnata da un film di genere talmente potente da entrare non solo nel mirino dell’Oscar, un premio il cui rapporto con l’horror è sempre stato piuttosto freddo, soprattutto quando si parla di premiare, ma anche nel cuore, difficilmente condiviso, di critica e pubblico.
Jordan Peele ha vinto anche un BAFTA e un Writers Guild of America Award per la stessa categoria, oltre a ricevere nomination in tutte le già citate kermesse per la Miglior Regia.
Cosa ha reso Scappa - Get Out un film così importante per il Cinema horror?
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Qui su CineFacts.it si è parlato ampiamente di come il genere sia un meraviglioso grimaldello utile agli escapisti della letteratura, del fumetto, dell’animazione e del Cinema, per comunicare a un pubblico vasto e incredibilmente eterogeneo i propri dubbi e le proprie paure, al fine di sollevare le coscienze.
Eppure, un concetto così ovvio e così reiterato sembra ancora estraneo a molti, arrivando persino a sostenere come il Cinema sia puro intrattenimento e come la voce e il pensiero del regista debbano rimanere fuori dalle storie.
Questo accade per una serie di bias comunicativi e cognitivi dei quali non starò qui a discutere, ma vi basti sapere che spesso sono generati non tanto da chi è vittima di tali bias, bensì da chi pensa di combattere giuste cause, veicolando tutto nel modo sbagliato.
Sta di fatto che se il Cinema, o qualsiasi altra forma di narrazione, fosse estranea al pensiero dell’autore, a questo mondo avremmo manuali d’istruzione e non romanzi e probabilmente la razza umana sarebbe una massa di esseri monodimensionali senza alcuna spinta emozionale.
[Il primo dei bugiardi di Ricky Gervais vi può dare una visione, umoristica, su un mondo senza bugie e senza ingerenze di sorta]
Siamo invece umani e in quanto tali mossi da pulsioni, emozioni, pensieri e tanti altri grilletti dal meccanismo spesso difettoso, la cui pressione non corrisponde sempre a una stessa reazione, scatenando eventi che portano poi gli artisti a realizzare opere che siano più o meno significative o di conforto.
Anche un'opera di puro intrattenimento come Star Wars è facilmente riconducibile a una serie di pilastri morali e narrativi alla base del pensiero di George Lucas e senza quello spettro di esperienze umane, non avremmo sicuramente una delle saghe più celebrate dal pubblico.
Il trucco del Cinema popolare sta nel mentire fantasticamente allo spettatore, costruendo un'affascinante sovrastruttura utile a veicolare il messaggio, indipendentemente da quanto complesso o meno questo sia.
Gli artisti sono fini osservatori della realtà e il loro occhio sarà sempre nelle storie e, per un tot di realtà alla base della loro storia, vi sarà spesso un cuscinetto di finzione a confezionare il tutto.
Un cineasta, come uno scrittore o un fumettista o un musicista, non è molto diverso da quello che infila una pillola in un gustoso wurstel per curare il proprio cane malato.
Un buon narratore è sì onesto con il suo pubblico quando deve veicolare certi messaggi, ma prima di tutto è un gran bugiardo.
Un bugiardo bianco, poiché va tutto a beneficio dello spettacolo: quando si parla di Cinema non si può negare quanto questo sia uno dei più evoluti mezzi di espressione, ma anche uno dei più bugiardi a partire non solo dalla sceneggiatura, ma proprio dai mezzi che utilizza per mettere in scena una storia.
Georges Méliès è forse stato il pioniere di tutti i più grandi bugiardi della Storia del Cinema e di questo non possiamo che essergli eternamente grati.
["Ne La notte dei morti viventi è il tizio che è pronto a combattere gli zombie, perché ha passato tutta la vita a combattere i bianchi"]
Parlando di generi e parlando di Georges, non posso evitare di chiamare in causa George A. Romero.
Quando Romero ha creato lo zombi moderno, il suo intento era quello di declinare la tradizione vudù caraibica dello zombi bianco - ovvero dello schiavo soggiogato dalla magia nera - in un mostro putrefatto mangiacarne, un ritornante la cui funzione era non solo quella di risvegliare l’atavica paura della morte, ma anche quella di piegare il tessuto sociale dell’uomo.
I morti viventi sono una piaga che disgrega ogni posticcia convenzione sociale creata dall’uomo, lasciandolo nudo ad affrontare la propria natura violenta e gli istinti egoistici più bassi, esponendo la vera natura di un animale sociale deformato dalla propria interpretazione della società al punto da andare contro la propria natura, divenendo un animale asociale e per questa ragione destinato a soccombere alla piaga dello zombi, poiché incapace di collaborare per sopravvivere.
Romero ha sviluppato un mostro il cui mito è diventato prima fenomeno pop e solo dopo ne abbiamo compreso l’efficacia di mostro moderno, superando miti più antichi come quello del vampiro, del mostro di Frankenstein e dell’ormai svilito fantasma.
Se Romero non avesse avuto l'urgenza di esprimere il proprio pensiero, molto probabilmente oggi non avremmo la figura dello zombi come la conosciamo, di conseguenza non avremmo tutte quelle opere generate dal lavoro seminale di Romero nello sfruttare tale artificio orrorifico per porre l'accento su determinati pensieri riguardo la nostra natura - come non avremmo nemmeno opere disinteressate al messaggio sociale, ma affascinate a tal punto dalla figura dal finire per inserirlo, anche se maldestramente, di rimbalzo, poiché parte indissolubile dal mito.
Contestualmente, in tutto questo discorso incredibilmente innovativo, si inseriscono molte morali e Jordan Peele ne coglie una molto interessante, ovvero che il nero de La notte dei morti viventi, contrariamente alla tradizione del genere horror, è uno degli eroi del film.
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Il ruolo di Ben ne La notte dei morti viventi - interpretato da Duane Jones - è fondamentale nella poetica di Romero e Jordan Peele ne ha colto l’essenza, capendo come quel personaggio sarebbe dovuto essere il protagonista di un film, per passare al pubblico la prospettiva di un uomo costretto da tutta la vita a combattere orde di uomini bianchi.
Il razzismo, nel film di George Romero, è una delle componenti interne utili a descrivere il mondo dal quale il regista è spaventato, ma non è il fulcro del discorso.
Facendo un salto nel tempo in avanti di oltre 50 anni rispetto a quel film, il tema del razzismo è ancora presente e i neri negli Stati Uniti sono ancora soggetti di discriminazioni indicibili, nonostante si sia cercato di veicolare la morale giusta molteplici volte.
Scappa - Get Out è figlio della necessità di veicolare il tema del razzismo, mettendo l’uomo bianco dal punto di vista dell’orda e l’uomo nero come prospettiva dello spettatore, poiché il motivo per il quale Ernest Hemingway sosteneva che la migliore scrittura è una scrittura onesta, ha sede nell'incontrovertibile verità secondo la quale è la verità ad avere una vera risonanza nel cuore del pubblico.
Perciò, per fare il giro, un buon regista scrivendo e girando un horror ha occasione di raccontare una bugia, che è la finzione, la metafora assurda a fine d’intrattenimento, con alla base il messaggio onesto e veritiero di una terribile realtà, illuminando la moralità nello spettatore proprio dove dovrebbe sentirsi colpevole.
Jordan Peele è disposto a sovvertire i pilastri del genere per crearne uno nuovo, poiché ne ha bisogno al fine di dare voce a un discorso del quale si è parlato molto e nei modi sbagliati.
Ancora una volta l'ingerenza del pensiero del regista si rende necessaria per creare un fenomeno di massa, arrivando a quante più persone possibili.
Siete ancora convinti che la voce di un autore debba rimanere fuori dal discorso creativo?
["È solo a film inoltrato che i bianchi vanno fuori di testa perché pensano 'Oh mio Dio! Credo di aver detto quella cosa. Credo di aver detto quella cosa che i cattivi stanno dicendo in questo film!'"]
Scappa - Get Out racconta la storia di Chris, un ragazzo che va a conoscere i genitori della propria ragazza, bianca, e scopre una famiglia apparentemente normale, eppure dominata da un culto razziale verso l’uomo nero che ha radici d’odio e di desiderio di dominio che vanno oltre l’immaginazione.
Quello che fa Jordan Peele nel film non è soltanto costruire un’allegoria orrorifica sul razzismo, quanto mettere in scena un trattato su cosa significhi essere un uomo nero negli Stati Uniti, vivendo costantemente l’idea di essere discriminato, di essere carne la cui volontà non conta e che può essere sottomessa e, anzi, deve esserlo per dare libero sfogo alla mania di controllo di uomini e donne il cui unico desiderio è avere potere su un altro uomo.
Il razzismo è consapevolezza dei propri limiti, senso di inadeguatezza, presunzione di superiorità imposta con la coercizione della mente, un libero esercizio di potere atto a far proliferare pochi su molti, convincendoli di non avere davvero scampo, di non avere diritto a un io la cui espressione può invece essere tenuta a bada, costretti dall’oblio dell’io ad assistere impotenti all’annullamento della propria persona.
Contrariamente al vuoto spinto provocato da tutti quei film che ribaltano i ruoli senza dire davvero nulla, Jordan Peele nel momento in cui decide di mettere come protagonista del film un uomo nero diviene anche conscio di quali siano le conseguenze narrative della sua scelta rispetto al messaggio che vuole mandare.
Scappa - Get Out non è una copia specchio di molti altri film di genere e non fa del messaggio la ridondante nota didascalica che rimbalza di battuta in battuta per le pareti della sceneggiatura.
Come ogni altro regista capace di lavorare d’invenzione e fantasia, invece, elabora una storia agghiacciante che funge da perfetta allegoria del messaggio di fondo, andando più in profondità con l’eleganza tipica di una storia orrorifica la cui forza non sta negli spaventi ad alto volume, ma nel costante sussurro di una nota greve.
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A differenza di qualsiasi altro film di genere, Chris, il protagonista interpretato da Daniel Kaluuya, non parte da una condizione di sicurezza per discendere gradualmente nell’orrore.
Chris è stato inghiottito dall’orda ancora prima di cominciare a correre e nel suo personale orrore quotidiano non esiste una linea di demarcazione tra una solida e rassicurante realtà e l’incubo, poiché sta combattendo da sempre e il suo senso di disagio esiste già nel momento in cui sente di dover passare un weekend cercando di interpretare un disastroso remake di Indovina chi viene a cena.
Questo elemento diventa fondamentale nella struttura dell’horror di Jordan Peele, poiché sin dall’inizio del film l’unica certezza che ci viene data è la presenza perenne di tensione.
Siamo come dentro la regola hitchcockiana della tensione, ma in questo caso noi spettatori non siamo consci della bomba che ticchetta nella valigetta sotto il tavolo, bensì in buona sostanza lo è collateralmente il protagonista e noi siamo costretti a condividere questo sospetto con lui, finché non capiamo che non solo nella valigetta c’è una bomba, ma che ogni tavolo del ristorante ne ha una pronta a detonare e tutto è reso possibile dalla nostra complicità.
La condizione di Chris è la stessa di Ben ne La notte dei morti viventi, ma lo sguardo dello spettatore non viene mitigato da altri protagonisti e veniamo introdotti alla logica della sua realtà, sperimentando in prima persona il senso di oppressione al quale è sottoposto lungo tutta la pellicola.
L’orda bianca, al buio della sala, empatizza con l’idea di sentirsi costantemente in trappola, annichilita da una società costruita sulle differenze di razza e il cui messaggio che viene passato è che il nero viva in uno stato di libertà vigilata e non di diritto, dove qualcosa gli è concesso, ma nulla gli è dovuto.
Scappa - Get Out colpisce il pubblico proprio perché nel suo essere un horror dell’anima - anche se fa squadra a sé in un sottogenere non ancora davvero definito - non ha macchinazioni concettuali e non gioca nemmeno sulle moralità più didascaliche che tanto annoiano il pubblico.
Peele ha trascinato lo spettatore nella condizione sociale di un nero, obbligandolo a stare seduto nella stessa poltrona di Chris, preda di qualcosa inesorabile e che potrebbe non avere fine nemmeno una volta che la volontà di combattere l’orda senziente diventa necessità assoluta.
Là fuori, oltre l’abisso, c’è ancora una piaga virulenta che domina le menti dell’orda: non è detto che questa volta si rendano conto di chi sia orda e di chi sia sopravvissuto.
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