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C'era una volta a... Hollywood è il nono film di Quentin Tarantino: incentrato sulla figura di Rick Dalton, star televisiva in declino, e Cliff Booth, fedele stuntman dell'attore, divenuto poi inseparabile e fedele collaboratore.
Nel giorno della sua release ufficiale mi sono gettato in una magnifica proiezione in 35mm per gustare l'ultima, controversa, fatica del regista americano.
Quentin Tarantino è una delle più grandi e deliziose anomalie del sistema Hollywood e del cinema mondiale.
Non viene da una famiglia ricca.
Non è andato in college prestigiosi e non ha frequentato scuole di cinema blasonate.
Quentin Tarantino era un videotecaro di Los Angeles, un eterno bambinone innamorato del cinema americano tanto quanto del cinema di genere Italiano, di quello di arti marziali cinese e, insomma, del Cinema in ogni sua forma e senza confini di provenienza, aperto ad accogliere qualsivoglia declinazione culturale che gli autori internazionali sapevano dare nell'interpretare la Settima Arte.
Quentin Tarantino è anche quello che, presentando Le Iene in Italia, parlava di Lucio Fulci come di un maestro e inseguiva Michele Soavi tessendone le lodi.
Un regista che quando ha presentato il suo C'era una volta a... Hollywood al Festival del Cinema di Cannes, ha sorpreso tutti presentandosi due giorni in anticipo sul programma, alla prima di The Wild Goose Lake - e noi ci chiediamo ancora se abbia o meno gradito le suggestioni di Diao Yinan e la famigerata scena dell'ombrello.
Tarantino ha utilizzato attivamente il suo amore ossessivo per il Cinema e per la scrittura e la letteratura, costruendo il suo essere autore su molteplici influenze.
Sceneggia Pulp Fiction pensando a J.D. Salinger e plasma la sua poetica sulla penna di Elmore Leonard, facendo della dialettica pop e pulp un marchio di fabbrica, rendendola ancora più imponente grazie a tutti quei dettagli, elementi di un universo narrativo nel quale la realtà, per quanto simile alla nostra, è piuttosto una linea parallela nella quale ambientare storie dove i suoi personaggi possono muoversi liberamente.
Assecondando le sue logiche e arrotondando le piegature che queste imporrebbero su un mondo riprodotto 1:1.
Prima di arrivare a C'era una volta a... Hollywood Tarantino aveva già creato la propria mitologia.
L'idea di creare le sigarette Red Apple, il Big Kahuna Burger o la compagnia di taxi Big Jerry Cab Co. non è solo un furbo espediente per evitare d'inserire marchi esistenti, che possono pur sempre creare ingerenze o beghe legali nella distribuzione o nello sviluppo del prodotto, ma anche un meccanismo utile a suggerire allo spettatore che dei rapinatori possono parlare di Madonna e di Like a Virgin prima di una rapina, perché molti preferiscono il Big Kahuna Burger a McDonald's.
Tarantino gira come Lucio Fulci, riproponendo l'inquadratura delle lacrime di sangue di Paura nella città dei morti viventi in Kill Bill, fa il verso ad Antonio Margheriti con Bastardi Senza Gloria, ripesca spunti visivi da Sergio Leone e nella sua dialettica visiva richiama Howard Hawks, Jean-Luc Godard, Federico Fellini e Don Siegel, creando in una folle pellicola come Kill Bill un misto tra lo spaghetti western e il cinema wuxia, prendendo Lady Snowblood come una delle principali fonti d'ispirazione.
Tarantino è un regista i cui umori fanno parte puramente del cinema, vivono e si nutrono di esso, assorbendo ogni ispirazione per poi rielaborarle in qualcosa di fresco e originale.
“Niente è originale.
Ruba da tutto ciò che suscita l’ispirazione o che alimenta la tua immaginazione.
Divora vecchi film, nuovi film, musica, libri, dipinti, fotografie, poesie, sogni, conversazioni casuali, architettura, ponti, segnali stradali, alberi, nuvole, distese d’acqua, luce e ombre.
Delle cose da cui rubare, prendi solo quelle che parlano direttamente alla tua anima.
Se lo fai, il tuo lavoro (e furto) sarà autentico.
L’autenticità è inestimabile; l’originalità non esiste. E non preoccuparti di nascondere il furto, proclamalo se ne hai voglia.
In ogni caso, ricorda sempre cosa disse Jean-Luc Godard: “Non è dove prendi le cose – ma dove le porti”
Jim Jarmusch
Innamorarsi di Quentin Tarantino significa innamorarsi del Cinema e se sei un autore, e sei davvero innamorato del Cinema, prima o poi finirai per cacciarti in una di quelle folli scommesse produttive il cui unico scopo è quello di profondere ogni cellula del tuo essere allo scopo di rendere omaggio a quella cosa che tanto ami.
I film girati a Hollywood e che parlano di Hollywood sono molti, ma quelli memorabili non sono altrettanti.
Quentin Tarantino, allo scopo di girarne uno memorabile, fa quello che ha fatto David Lynch quando ha scritto e diretto Mulholland Drive o David Robert Mitchell per il suo Under the Silver Lake, ovvero tornare a Viale del Tramonto di Billy Wilder.
C'era una volta a... Hollywood è il Viale del Tramonto di Quentin Tarantino.
Concettualmente incastonato nel filone di pellicole che fanno di Hollywood tema e scena, celebrando un sistema e un universo ormai estinto.
La sola idea di girare l'intero film in pellicola 35mm non è un vezzo, quanto piuttosto un'esigenza utile a comunicare, attraverso la grana e l'impatto estetico del formato, le analoghe sensazioni di mood e gusto che ogni opera celebrativa cerca di riportare in vita.
Esattamente come quando per omaggiare un certo cinema blaxploitation aveva concepito quel Jackie Brown fatto di richiami palesi al filone, partendo da Foxy Brown e scegliendo il formato 1.85:1.
Il regista sfrutta in maniera eccellente la propria scelta, offrendo una messa in scena che, come raramente accade, porta davvero in C'era una volta a... Hollywood la Los Angeles del 1969 sul grande schermo.
Insiste sui neon dei locali e dei drive in, utilizza le voci della radio e pompa la musica attraverso essa, mette in primo piano le guide tv, ripropone il tossire e il catarro provocato dalle sigarette e i rombi delle macchine americane dai motori muscolari e cerca di evitare la patinatura e la pulizia di messa in scena, spesso proposta nel raffigurare il passsato, evitando di trasformare la scena in una posa forzata a ricreare qualcosa di palesemente finto.
Eppure, come abbiamo già anticipato, Tarantino ha bisogno di creare una realtà parallela alla nostra nella quale muovere le sue suggestioni e i suoi personaggi, rendendoli plausibili e pulsanti, dando vita alla Hollywood da lui idealizzata.
Il Bounty Law nel quale recita Rick Dalton in C'era una volta a... Hollywood viene da quel Wanted: Dead or Alive dal quale Steve McQueen è decollato per diventare poi una leggenda, raccontando la Hollywood televisiva che muoveva una sua personale fetta della mitologia dell'industria americana.
Le sensazioni sono quindi quelle degli eroi che non perdono mai, dei cowboy televisivi dalla faccia pulita e dagli occhi chiari, dei lunchbox di latta venduti come merchandise e degli stacchi pubblicitari accompagnati dalle voci teatrali degli speaker televisivi.
Tarantino non va a scavare nella leggenda del grande cinema hollywoodiano e mette il Roman Polanski di Rosemary's Baby nella villa accanto alla più modesta casetta con piscina di Rick Dalton.
Se il Dalton di Leonardo DiCaprio è un nevrotico attore televisivo che cerca di sfuggire alla decadenza entrando nel cinema di risalto, il Cliff Booth di Brad Pitt è la mitizzazione dello stuntman, del vero cowboy americano, quello che non si è fatto addomesticare dalla civiltà e che vive ancora di istinti fatti di sguardi taglienti, cicatrici e di una parlata trascinata e profonda.
Uno vive in una casetta sulle Hollywood Hills, l'altro vive in una roulotte decadente con un fedele cane, muscolare quanto lui, spaventoso quanto le leggende metropolitane che girano sul suo conto - un po' come le leggende che girano su tutti i duri di provincia - e la sua macchina da scavezzacollo.
Rick e Cliff sono due underdog, le figure invisibili e dimenticate dello spettacolo che, stando al racconto che ne fa Tarantino, sono forse quelle che per lui sono più preziose.
Inestimabili come gli umori suscitati dai film di Sergio Corbucci, Enzo Castellari e Antonio Margheriti, e come i film action eccessivi da drive in o da grindhouse; è questo l'elemento di infantile nostalgia, quello di chi ama il cinema caciarone eppure di mestiere, a portare il regista a mettere in scena la contestata lotta tra un Bruce Lee personaggio, come sembra anche dalle interviste e da quanto ci è rimasto di lui, e Cliff.
Quando invece Tarantino si avvicina alla Hollywood degli autori del grande cinema, lo fa utilizzando una Margot Robbie/Sharon Tate che è tutto quello che romanticamente ripiangiamo della Hollywood dei tempi d'oro.
Senza bisogno di molte parole in C'era una volta a... Hollywood la Robbie porta sullo schermo una Tate piena di vita, innamorata dell'idea di poter avere il privilegio di stare sullo schermo e mettere in scena un combattimento coreografato da una personalità forte, eppure umana, come quella di Bruce Lee.
Una Sharon Tate sorridente, solare, aggraziata, talentuosa, la donna del cinema che buca lo schermo e che nel cinema ci vuole vivere e lo vuole vivere, e Tarantino con quel personaggio compie un lavoro stupendo poiché lo eleva a qualcosa di diverso, a una figura eterea come lo sono tutte le grandi attrici della Hollywood di quel periodo.
Se la Emma Stone di La La Land era trasognata eppure quotidiana e capace di esplodere nelle fantasie di Hollywood unicamente attraverso il sopra le righe del musical, la Margot Robbie di C'era una volta a... Hollywood è gli anni '60, è l'iconicità eterna dell'attrice che vive in quel costante stato di essere mitologico vivente.
C'era una volta a... Hollywood diventa fondamentale proprio nell'amore con cui il regista mette in scena tutte le sue ossessioni, i suoi giocattoli, le sue influenze, svelando alcune delle carte che ha utilizzato nel corso della sua carriera per fare Cinema e che acquistano potenza nel modo in cui esplode il finale.
La chiosa di C'era una volta a... Hollywood è forse una delle cose più sfrontate, divertenti e dolci che il regista abbia mai fatto poiché, come in Bastardi Senza Gloria, Tarantino decide di continuare a narrare la sua storia e comunica al mondo cosa, in cuor suo, avrebbe voluto e che non è stato.
Contaminando un'epoca per lui fondamentale, un totem della sua poetica, con l'intrusione di personaggi creati appositamente a tale scopo, agendo, come Lucio Fulci, da terrorista di generi.
C'era una volta a... Hollywood è veramente il Viale del Tramonto o il Mulholland Drive di Quentin Tarantino, un film fondamentale per ogni amante del Cinema, una pellicola portata sullo schermo con magnifica eleganza anche grazie a un cast di fuoriclasse, capaci di rispondere benissimo alla direzione del regista.
Un film che per una volta dà allo spettatore un finale dolce - quasi smielato per gli standard di Tarantino - e che come molti altri film complessi per messaggio e per intenti, diventerà più prezioso con il tempo e con le visioni.
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10 commenti
Antonio Petta
4 anni fa
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Giorgia Leonardi
5 anni fa
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Giorgia Leonardi
5 anni fa
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Giorgia Leonardi
5 anni fa
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Filman
5 anni fa
Capisco perfettamente che non si debba parlare della pellicola in una recensione no spoiler, ma specificare che "Once upon a time in Hollywood" (che so) appartiene ad un genere mascherandosi con un altro genere come fa "Inglorious Basterds" o , altro esempio, unisca due generi diversi appartenenti a culture diverse come "kill bill" non credo si possa definire spoiler. E si tratta comunque di analisi terra terra.
Poi, oh, magari non si poteva dire neanche questo e sto cumulando figuracce.
Non volevo fare critiche ma muovere un feed, perché finito di leggere l'articolo ho pensato le stesse cose di Lorenzo Casarini e ho scrollato i commenti per vedere se ero l'unico, altrimenti non avrei detto la mia.
L'articolo è interessantissimo e ho scoperto cose che non sapevo, ma mi ha lasciato interdetto che nella sua primissima recensione il film più atteso dell'anno sia liquidato con un paio di metafore che prive di motivazione e a visione non avvenuta appaiono banali.
Quella su Robbie è una bella chicca, ma il resto dell'articolo è sul lato nerd di Tarantino, non sul film.
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Teo Youssoufian
5 anni fa
ed è esattamente così che è intesa la recensione: Tarantino stesso ha chiesto ai giornalisti a Cannes di non svelare nulla della trama parlando del film.
Se già come policy del sito sottolineiamo la presenza di eventuali spoiler con un simbolo apposito a inizio articolo, puoi immaginare come diventi obbligatorio non farne parlando di C'era una volta a... Hollywood.
Ad Alessandro il film è piaciuto e ne ha scritto rispettando la richiesta del regista e attenendosi a quanto dettato dalla policy di CineFacts.it.
Quando il film uscirà anche in Italia, e più persone lo avranno visto, allora è quasi sicuro che ci sarà un altro contenuto - un articolo, o una puntata speciale del podcast - riguardante C'era una volta a... Hollywood contenente anche degli spoiler sul plot, debitamente segnalati.
Sinceramente non comprendo le tue rimostranze 😊
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Filman
5 anni fa
Ma era solo una mia osservazione non sono certo qua a darti suggerimenti.... "non è il mio campo!" 😂
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Alessandro Dioguardi
5 anni fa
quello che è ovvio per te, per me è una superficiale lettura di quanto scritto in recensione oltre che una presa di posizione poco rispettosa verso chi legge l'articolo.
Il pezzo è per TUTTO il pubblico.
Questo articolo lo può leggere un ragazzo di 15 anni che non sa molto di cinema, un amatore che non è mai sceso in particolari dettagli, come un esperto alla ricerca di un parere.
Nel momento in cui scrivo una recensione non posso avere la spocchia di pensare "ma tanto si sa X Y e Z".
Oltretutto, il film parla di Hollywood e sì, è nel titolo, ma di quale Hollywood e con quale occhio? Ed è questo quello che vado a spiegare.
Mi ripeto, se per te è banale, non è detto che lo sia per il resto del pubblico e sarebbe poco rispettoso e molto arrogante da parte mia presumere che tutti lo sappiano; oltre al fatto che quel cappello introduttivo serve a giustificare gli apprezzamenti che rivolgo al film, alla scrittura e alla tecnicità che mette Tarantino nel film.
Argomentare, in una recensione, è necessario.
Tralasciando questo punto, ti riposto quanto risposto a Lorenzo:
"Ho descritto gli umori che ha dato e che va a dare e che suggestioni usa per costruire i suoi due Rick e Cliff.
Capisco che aspettavi magari un parere che entrasse più nei dettagli ma il film ha tante di quelle particolarità nello storytelling, a livello proprio di espedienti narrativi che di regia, che se entro nello specifico, discutendoli, vado a distruggere l’esperienza di chi poi va in sala.
Quella discussione può essere fatta attraverso uno studio più approfondito e in un secondo momento.
Ho anticipato gli espedienti in linea generica, evitando il come vengono messi in scena, ma proprio perché essendo talmente particolari e interessanti, sono parte dell’esperienza e rovinerei il film a tutti i lettori e sarebbe una carognata.
Le recensioni tecniche, oltretutto, le lascio un po’ ai professori, cosa che io non sono, e ad analisi che richiedono più approfondimenti e studi e che non sono dedicate al pubblico massificato, che vuole solo sapere come si muove lo stomaco quando si guarda il film e quanto sarà gradevole o meno."
Credo siamo oltre l'esaustivo.
Detto questo, perdonami se t'incalzo, ma che senso ha fare la recensione della recensione?
Il protagonista qui è Quentin Tarantino e il suo film e non la mia analisi il cui valore è proporzionale ai margini entro i quali posso scrivere la recensione (parte della policy di CineFacts.it e del rispetto che nutriamo verso il lettore e verso chi ha realizzato l'opera) e verso anche al gusto del pubblico.
Io ho sempre amato leggere Canova e Ghezzi, perché la loro voce va al cuore del film in quanto opera che trasmette un sentimento artistico e rievoca sensazione e di conseguenza ho sempre avuto una voce che, quando parla di cinema, cerca di ricalcare quello spirito.
E' ovvio che se un lettore è alla ricerca di un tipo diverso di voce, non può chiedermi di cambiarla ... perché allora non hai nessun punto di riferimento Donny, sei come un bambino che entra in un cinema...
Drugo: Walter...
Walter: ... e pretende di capire...
Drugo: Walter... Walter! Si può sapere dove vuoi arrivare?!
Walter: Te lo dico subito: non c'è un motivo, non c'è proprio nessun motivo per...
Donny: Già, dove vuoi arrivare?
Drugo: Walter, qual è il punto? Guarda, lo sappiamo tutti da che parte sta la ragione e allora perché parli a vanvera?!
Walter: Cosa? No, ma vaffan... Io non... Stiamo parlando di una aggressione immotivata, Drugo...
Donny: Si può sapere di che parli?
Drugo: Del mio tappeto.
😄
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Filman
5 anni fa
3/4 di topic sono una lista di cinefacts e cose ovvie (C'era una volta a .... Hollywood è un film che parla di Hollywood, ok) e se i paragoni fatti coni pezzi da 90 della storia del cinema si fermano al contesto/ambientazione, vuol dire che l'ipermistero che aleggia attorno a questa recensione è reale e probabilmente voluta.
Giusto accennare al tipo di pop che Tarantino mette in scena, ma questo non basta a descrivere quali sono i temi portanti e le idee base del film.
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Alessandro Dioguardi
5 anni fa
Perdonami se entro in gamba tesa, ma ti devi essere perso 3/4 di recensione.
Una buona parte dell’articolo è dedicata a come Tarantino ha costruito e costruisce la sua scrittura e la sua poetica per immagini, citando autori della letteratura, registi e film dai quali ha preso spunto, generi e in quali li ha applicati e tutto per arrivate ancora a come Tarantino ha deciso di raccontare questo film.
Ho descritto gli umori che ha dato e che va a dare e che suggestioni usa per costruire i suoi due Rick e Cliff.
Capisco che aspettavi magari un parere che entrasse più nei dettagli ma il film ha tante di quelle particolarità nello storytelling, a livello proprio di espedienti narrativi che di regia, che se entro nello specifico, discutendoli, vado a distruggere l’esperienza di chi poi va in sala.
Quella discussione può essere fatta attraverso uno studio più approfondito e in un secondo momento.
Ho anticipato gli espedienti in linea generica, evitando il come vengono messi in scena, ma proprio perché essendo talmente particolari e interessanti, sono parte dell’esperienza e rovinerei il film a tutti i lettori e sarebbe una carognata.
Le recensioni tecniche, oltretutto, le lascio un po’ ai professori, cosa che io non sono, e ad analisi che richiedono più approfondimenti e studi e che non sono dedicate al pubblico massificato, che vuole solo sapere come si muove lo stomaco quando si guarda il film e quanto sarà gradevole o meno.
Se ci sarà occasione, sarà mio grandissimo piacere spulciare ogni fotogramma del film e spiegare anche con le inquadrature e i movimenti di macchina e certe finezze.
Ora non si può.
Spero di essere stato esaustivo.
E vai al cinema 😀
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