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Qualche volta vi sarà capitato di provare una sensazione di inquietudine quando, poco prima di addormentarvi, vi assalgono le più svariate e profonde domande esistenziali.
Ecco, quell’effetto viene riprodotto fedelmente da una delle serie TV più riuscite degli ultimi anni: Westworld.
Westworld è un prodotto HBO del 2016 scritto da Jonathan Nolan (fratello minore di Christopher per il quale ha sceneggiato Memento, la trilogia di Batman, The Prestige e Interstellar, oltre a essere autore di Person of Interest) e la moglie Lisa Joy (Burn Notice) e basato sul film Il mondo dei robot, scritto e diretto nel 1973 dal celebre romanziere Michael Crichton (Congo, Sfera, Jurassic Park, Sol Levante).
Il produttore esecutivo non poteva essere che un esperto del genere: J.J. Abrams (Alias, Lost, Super 8, Star Wars - Episodio VII ed Episodio IX).
La trama si svolge in una realtà distopica dove il visionario direttore creativo Dr. Robert Ford (Sir Anthony Hopkins) ha realizzato un singolare parco divertimenti a tema western popolato da androidi chiamati “residenti”, in tutto e per tutto identici agli esseri umani.
Per una “modica” cifra di 40.000 dollari al giorno, gli ospiti possono divertirsi in un mondo privo di regole ed esente da qualsivoglia conseguenza morale: possono scegliere se essere degli eroi oppure sfogare i propri istinti selvaggi sui residenti, i quali sono ovviamente programmati per non arrecare danno ai visitatori e per seguire delle linee narrative che si ripetono quotidianamente in maniera identica.
A fine giornata gli androidi vengono riparati e la loro memoria resettata, pronti per essere utilizzati il giorno seguente.
Tuttavia, a causa di alcuni aggiornamenti introdotti dal Dr. Ford per rendere le macchine ancora più umane, i loro ricordi iniziano ad accumularsi e i residenti acquistano consapevolezza della propria creazione e della loro condizione di semi-schiavitù.
Da questo ultimo punto, infatti, si sviluppano i due temi predominanti della serie: l’origine della coscienza e come questa determina il libero arbitrio.
Per quanto riguarda il primo tema, in alcuni episodi di Westworld viene citato il saggio Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza (1976) dello psicologo e linguista statunitense Julian Jaynes.
In questo scritto viene spiegato come la coscienza sia una modalità di pensiero relativamente recente.
Infatti, fino all’anno mille, i due emisferi del cervello umano avrebbero costituito due entità separate ma dialoganti tra loro, ognuna caratterizzata da una funzionalità diversa: una decisiva e una esecutiva.
Jaynes sosteneva quindi che l’uomo agisse in maniera completamente inconsapevole, seguendo delle voci allucinatorie provenienti dalla parte decisionale e che attribuiva agli dei.
Successivamente, il passaggio dalla mente bicamerale alla coscienza avverrà attraverso l’evoluzione del linguaggio, più precisamente con la nascita della metafora.
Questa figura retorica, infatti, ha iniziato ad essere utilizzata come mezzo di comprensione della realtà: per capire ciò che non si conosceva lo si comparava a qualcosa di familiare, sensazione che secondo lo psicologo ha portato all’intendimento del mondo esterno e quindi alla consapevolezza di sé.
Tuttavia, nella serie si evince che un fattore determinante e necessario per il raggiungimento della coscienza è la memoria, e in particolare la sofferenza che con essa riaffiora.
Nella serie gli androidi non comprendono di avere consapevolezza di sé nel momento in cui provano dolore, bensì solo quando iniziano a ricordare di essere stati seviziati, stuprati - giorno dopo giorno, per tutta la loro esistenza - dai visitatori.
Dunque, la sofferenza in Westworld ha una valenza essenziale: è a tutti gli effetti l’unica chiave per comprendere la vita.
Tuttavia, non è tanto la capacità di provare dolore che definisce l’umanità quanto la possibilità di scegliere tra poterlo infliggere o meno.
Ecco che si presenta lo stretto nesso con la questione etica: solo la scelta tra bene e male differenzia l’uomo dalle macchine. Ma se loro non sono liberi di scegliere perché le loro decisioni sono già state programmate da altri, possiamo dire che noi stessi agiamo realmente in modo diverso?
Gli sceneggiatori di Westworld riprendono questo argomento facendo riferimento a molti parallelismi religiosi con la Genesi biblica e con la conseguente spinosa questione del libero arbitrio.
Infatti, i rimandi sono molteplici.
Il parco, in quanto luogo dove sono state poste tutte le creature appena create, può essere visto come un giardino dell’Eden e i residenti - vivendo nella più completa beatitudine dettata dall’ignoranza di ciò che esiste al di fuori di esso - come dei moderni Adamo ed Eva.
Iil primo androide creato nel parco, Dolores (Evan Rachel Wood), sente dentro di sé delle voci divine, esattamente come gli esseri umani dell’era della mente bicamerale.
Tuttavia, a differenza di quest'ultimi, sono proprio le voci che spingono Dolores a intraprendere un percorso che la porterà verso la consapevolezza di sé e del suo destino.
Con il destino entra in gioco il tema della libertà del volere umano.
Il Dr. Ford, in quanto demiurgo dei residenti e del parco di Westworld, si trova in una posizione simile al Dio della Bibbia: entrambi, infatti, conferiscono alle proprie creazioni la libertà di scegliere tra il bene e il male senza alcun tipo di costrizione.
Entrambi sono a conoscenza che ogni scelta, se obbligata, perde ogni tipo di significato.
Tuttavia, i visitatori del parco - in quanto esseri umani e padroni del proprio destino - si credono superiori alle macchine perché le credono prive di empatia e destinate a seguire le stesse identiche linee narrative ogni giorno.
In virtù di quanto abbiamo appena detto, si può ben capire come, in Westworld, i concetti di libero arbitrio e coscienza siano strettamente connessi e dipendenti l’uno dall’altro.
La serie, però, si spinge oltre ed evidenzia come anche gli esseri umani vivano in routine prestabilite e programmate: le loro esistenze.
Particolare che non li rende tanto diversi dagli androidi privi di libertà di scelta.
Un fattore che di fatto accomuna residenti e ospiti è che entrambi desiderano sentirsi liberi: i primi perché credono realmente di essere abitanti del vecchio West in cerca di libertà in una nuova terra di frontiera (infatti, agli occhi dei residenti, gli ospiti sono semplici “forestieri” appena arrivati in città), i secondi perché nel parco cercano di essere tutto ciò che non possono nella vita reale.
Tutto ciò, però, ci conduce a un paradosso: se il parco di Westworld è completamente privo di etica e non esiste conseguenza a ogni azione che si compie, come si può distinguere fra cosa è giusto e sbagliato?
La serie ci insegna che il bene perde ogni suo significato in assenza del male: l’uno non avrebbe senso di esistere senza l’altro.
Un passaggio che rappresenta appieno questo concetto è il dialogo iniziale dell’episodio pilota tra Dolores e il capo programmatore Bernard (Jeffrey Wright), in cui l’androide è sottoposta ad un test di controllo.
La conversazione non serve solo da prologo a tutta la serie, ma sottolinea anche lo stretto parallelismo tra l’esistenza artificiale e quella umana:
Bernard: “Hai mai messo in dubbio la natura della tua realtà?”
Dolores: “No.”
Bernard: “Dicci cosa pensi del tuo mondo.”
Dolores: “Alcuni scelgono di vedere la bruttezza, in questo mondo. Il disordine. Io scelgo di vedere la bellezza. Di credere che ci sia un ordine nei nostri giorni, uno scopo.”
Bernard: “Cosa pensi degli ospiti?”
Dolores: “Intende i forestieri?
Mi piace ricordare quello che mi ha insegnato mio padre: che a un certo punto o a un altro, siamo tutti nuovi in questo mondo.
I forestieri cercano le stesse cose che cerchiamo noi: un posto in cui essere liberi, e dare corpo ai nostri sogni. Un posto dalle possibilità illimitate.”
Bernard: “Hai mai percepito contraddizioni nel nostro mondo, o ripetizioni?”
Dolores: “Ogni persona ha le sue abitudini: io non sono differente.
Eppure, non smetto di emozionarmi all’idea che in un giorno qualsiasi il corso della mia vita potrebbe cambiare per un incontro casuale.”
In conclusione, il tema centrale e più profondo di Westworld è il compatibilismo filosofico, ossia quella teoria secondo la quale il libero arbitrio è conciliabile con un ordine causale prestabilito.
Anche perché, in fondo, la nostra coscienza rappresenta proprio questo compromesso: la convinzione di essere fautori del nostro destino, agire nella piena libertà e… ascoltare le nostre voci interiori.
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